Ai piedi della collina di Capodimonte si estende il rione Sanità, un noto quartiere popolare di Napoli che nel 1898 diede i natali a Totò in Via Santa Maria Antesaecula e in seguito ha ispirato trame e personaggi di numerosi film e opere teatrali. Qui hanno abitato popoli provenienti dal Sud e dall’Est del mondo, africani e cinesi, e sono passati nobili, papi, re e cardinali. Qui è molto forte il senso di appartenenza ai vicoli, ai palazzi, agli usi e costumi, ai riti sacri e profani dettati dalla religione e dalla magia.
Napoli ha un cuore e un ventre, in cui è dislocato un patrimonio nascosto, archeologico e artistico, da scoprire attraverso una stratigrafia che s’addentra nelle viscere della terra.
L’invisibile Napoli sotterranea si articola in un labirinto di cunicoli, pozzi e cisterne, ipogei e cave greche, catacombe, gallerie di epoca romana, ossari e tombe scavati nel tufo. È una città oscura, luogo di passaggio e tramite tra il mondo conosciuto e quello sconosciuto e silenzioso dell’Oltretomba, dove si confondono storia e leggende, fede e superstizione. Un mondo sommerso col quale i napoletani si conciliano per esorcizzare la paura della morte e, seppur limitatamente ancor oggi, si alleano offrendo preghiere e cure ad ignoti defunti, anime pezzentelle del Purgatorio, in cambio di grazie e favori, quali una guarigione, un matrimonio o numeri vincenti al lotto nella speranza di ingraziarsi la buona sorte per sopravvivere ad un’esistenza complicata, ad un atavico destino reso avverso dalle epidemie di peste e colera, dalle alluvioni e terremoti, dalle dominazioni del dio o del potente di turno accettati con fatalistica rassegnazione.
Un universo buio, lugubre, sospeso in un sonno eterno, che porta al nulla o a qualcosa, ove si smarriscono le coordinate di spazio e tempo.
Napoli è simbiosi di vita e di morte, entrambe celebrate e consacrate attraverso funzioni, devozioni e rituali che confluiscono nel radicato culto dei morti.
I sepolcri più antichi sono gli ipogei greci della Sanità e dei Vergini, situati a 10-11 metri di profondità dal livello della strada. Le necropoli risalgono al IV e II secolo a. C. e sono ricche di sarcofagi dipinti e scolpiti che ricordano le tombe anatoliche, macedoni ed alessandrine. Per lungo tempo rimasero sepolte dalla “lava”, cioè dal fiume alluvionale di detriti e fango che fino agli anni ’60 ha afflitto questa zona. In effetti sin dal tempo dei greci si estraeva il tufo , impiegato per le costruzioni, dando così luogo a immense grotte e cavità. Prima ancora che le cave di tufo fossero adibite ad ossari , le famiglie dell’aristocrazia greco-napoletana, che fuse elementi greci e sanniti, vi costruirono eleganti sepolcri. Da qui il nome di “Valle delle tombe”. Nelle stesse aree sotterranee dagli ipogei si è poi passati nel II secolo alle catacombe paleocristiane di San Gennaro, San Gaudioso e San Severo, che prendono nome dalle spoglie dei martiri.
Nelle vicinanze del santuario della Madonna del Buon Consiglio (zona di Capodimonte) si estende il vasto complesso cimiteriale delle catacombe di San Gennaro, nate tra il II e IV secolo e articolate su due piani e in più corridoi, a differenza di quelle romane. Divennero luogo religioso e di sepoltura quando accolsero i resti del vescovo Agrippino e nel V secolo furono dedicate a San Gennaro , il cui corpo pare sia stato collocato qui per lunghissimo tempo. Oltre a reperti e affreschi di interesse artistico sono un luogo suggestivo, cosparso di nicchie e loculi, grandi e piccoli. Pare che vicino al santo potessero riposare solo i puri di cuore, quali i bambini, e questo spiega la presenza di piccoli loculi sulle pareti.
Fino all’XI secolo vi furono sepolti i vescovi napoletani, subirono saccheggi tra il XIII e XVIII secolo e infine furono restaurate dopo il trasferimento dell’ossario nel Cimitero delle Fontanelle.
Dopo circa 40 anni di chiusura ora sono state riaperte al pubblico e vi si accede o dalla collina di Capodimonte, a fianco della chiesa della Madre del Buon Consiglio, o dalla Basilica di San Gennaro fuori le mura, situata all’interno dall’ospedale di San Gennaro dei Poveri nel rione Sanità.
L’intero quartiere Sanità è dominato dalla cupola della Basilica di Santa Maria della Sanità, rivestita di maioliche smaltate gialle e verdi . Fu costruita dai Domenicani tra il 1602 e il 1613 , su progetto di Giuseppe Donzelli detto Fra Nuvolo. E’ nota come la chiesa di San Vincenzo,detto o’ Munacone in onore del domenicano Vincenzo Ferreri, uno dei tanti santi protettori della città. Una sontuosa scala a tenaglia, che porta all’altare maggiore, incornicia la cripta dalla quale si accede alle nascoste catacombe paleocristiane di San Gaudioso, risalenti al V sec. d. C. dove fu sepolto Settimio Celio Gaudioso, vescovo di Abitine, una località non identificata dell’Africa proconsolare.
La catacomba di San Gaudioso è il secondo cimitero paleocristiano di Napoli per ampiezza e importanza, dopo quello di San Gennaro. Ha subito trasformazioni, per cui è difficile definirne l’estensione o l’esistenza di locali più antichi di quelli attuali. Fu abbandonato all’ incirca nell’anno mille e in seguito le “ lave” lo invasero nascondendone l’ingresso.
In un’edicola nell’angolo nord della cripta, nel 1579 si scoprì un’immagine della Madonna alla quale iniziarono ben presto a rivolgersi alcuni devoti. È la più antica raffigurazione mariana dell’arte paleocristiana di Napoli, forse del V o VI secolo. La pittura è quasi svanita e la si nota osservandola da lontano: la Madonna, seduta e velata, ha in braccio il Bambino che stende il braccio destro spiegando le prime tre dita della mano quasi per benedire o indicarela Trinità, mentre la mano sinistra è sul globo sormontato dalla croce e appoggiato sul ginocchio della madre. A questa Madonna si attribuirono una serie di miracoli e divenne oggetto di culto popolare e meta di pellegrinaggi. Un frate domenicano, Antonino da Camerota, in poco tempo raccolse elemosine per costruire una chiesa in onore della Vergine. Fu accusato di superstizione, idolatria, raggiro ed estorsione di denaro ma il processo fu insabbiato e nel 1581 il frate fu scarcerato e riabilitato. Ripresero i lavori di costruzione della chiesa che fu ultimata in pochi anni.
Caratteristica delle catacombe di San Gaudioso sono le nicchie a forma di sedile, dette “cantarelle” che servivano per una particolare tecnica di inumazione : il morto veniva sistemato nella nicchia dotata di un vaso a due manici sottoposto e ricavato nel tufo ( da kantharos , coppa greca a calice con due anse, da cui cantaro che nelle basiliche cristiane era la vasca per le abluzioni e da cui è derivato più prosaicamente il vocabolo napoletano o’ cantaro, cioè il vaso da notte). Il defunto veniva messo a “scolare” fino alla decomposizione, così poi i suoi resti venivano deposti in un ossario comune o in una tomba privata .Si pensa che gli “schiatta muort” in origine fossero coloro incaricati di incastrare i defunti in questi sedili e dalle cantarelle sia derivato l’imprecazione napoletana “Puozze sculà!”, che di fatto è un pessimo augurio.
Sulle pareti dei cunicoli ci sono dipinti del VI secolo e particolari effigi funerarie del XVII secolo: sotto i teschi veri, incorporati nel muro nel Seicento, i corpi venivano dipinti con le vesti e i simboli del rango del defunto. Ai lati del cranio si segnavano le iniziali del nome e cognome del defunto, accompagnati da una citazione biblica. Qui trovarono sepoltura frati domenicani e aristocratici come il magistrato Diego Longobardo, morto nel 1632, le nobildonne Maria De Ponte e la principessa di Montesarchio Sveva Gesualda. Uomini e donne erano separati anche nella sepoltura eccetto due personaggi le cui mani si intrecciano sui rispettivi cuori. Una credenza popolare vuole siano gli sposi che morirono di crepacuore alla vista del fantasma del Capitano spagnolo, ossequiato da lei e offeso da lui nel Cimitero delle Fontanelle, che si presentò alle nozze.
Unico “ borghese” dipinto è il pittore Giovanni Balducci, al quale si attribuiscono gli affreschi delle catacombe, il cui nome compare per esteso e viene raffigurato con una riga nella mano destra e una tavolozza nella sinistra.
La morte domina sul tempo, che scorre inesorabile come la sabbia nella clessidra, e sull’ effimero potere dei mortali rappresentato dalla corona e dallo scettro.
A Napoli si dice “ Basta a’ salute, tira a’ campà” perché in fondo “a tutto c’è rimedio, tranne alla morte”. Saggezza popolare che spiega l’inconfondibile vitalità e ilarità partenopea maturata tenendo gli occhi aperti anche nelle tenebre, dove lo sguardo guarisce dagli affanni del mondo.
“Sono nato in Rione Sanità, il più famoso di Napoli.
La domenica pomeriggio le famiglie napoletane usavano riunirsi nelle case dell’una o dell’altra, e là chi suonava la chitarra, chi diceva la poesia, e chi cantava. I giovanotti guardavano le ragazze, gli tenevano la mano, si innamoravano”
Il Principe Antonio De Curtis, in arte Totò
Napoli sotterrane è scura
come l’anima.
Napoli abbacinata è sole
come il cuore.
Napoli bambina è santa
come giocare nei vicoli
Napoli d’a nobiltà è bugia
come si fa accussì.
Napoli sfruttata è puttana
come la guerra.
Napoli dei mariuoli è ‘na piaga
come chi la tiene in catene.
Napoli d’a cartulina
è nu suonno diventato incubo.
Napoli con il moccio al naso
come ‘nu guaglione ribelle.
Napoli sopra i motorini fa scippi
invece d’a rivoluzione.
Napoli ‘nnammurata è eterna
come ll’ammore.
Napoli carne, sangue e polvere
comm’ a morte; ll’ammore.
@Transit: Napoli suscita un amore “sofferto” in chi la vive e la scopre nelle sue luci e ombre. I tuoi versi rendono molto bene l’idea della complessita’ (Napoli sopra i motorini fa scippi, invece d’a rivoluzione – riusciremo a riscattarci , caro Transit )
Napoli non e’ amore a prima vista perche’ bisogna leggerla tra le righe e capirla. È una città che meraviglia nel bene e nel male, un sorriso compiaciuto e un pugno allo stomaco, una metropoli dalle emozioni contrastanti e contraddittorie che ti scaraventano dal buio alla luce quando meno te l’aspetti. Nelle sue bellezze e umanita’ nascoste pero’ ti commuove come quando riconosci un talento o un cuore gentile in una persona che a prima vista appare insignificante. A volte volgare.
Tanti segreti nascosti nelle viscere della terra.
Saluti a presto.
@Web sul blog:Benvenuto nel blog! Se la terra potesse parlare, chissà quanti bei racconti ci svelerebbe
L’emozione più grande – non l’unica! – che ho provato leggendo questo post, come sempre ricco di aspetti di storia e di arte, nonché di costume, é stato scoprire più da vicino – faccio per dire! – le presenze greche e romane in Napoli.
@Adriano Maini: la mitica Partenope ancora appare nel golfo
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