Tiramisù

Un dolce ipercalorico, delicato ed energetico. Le dosi sono per un grande tiramisù o due teglie di cm 33 x 25 .

 Ingredienti:

 

4 uova

100 g zucchero

500 g mascarpone

2 pacchi di savoiardi

500 g panna per dolci

Cointreau

caffè freddo (circa 20 tazze)

cacao

 Crema:  

Lavorare gli ingredienti in tre recipienti diversi. 

  1. Separare i tuorli dagli albumi .
  2. Con una frusta sbattere i rossi d’uovo e lo zucchero  fino ad ottenere una spuma.
  3. A parte montare a neve i 4 albumi.
  4. Montare la panna.
  5. Versare delicatamente in una terrina prima la spuma di zucchero e tuorli, poi le chiare d’uovo montate a neve e infine la panna.
  6. Mescolare delicatamente per amalgamare la crema
  7. Aggiungere un cucchiaio di Cointreau
  8. In una terrina rettangolare a bordi alti alternare uno strato di savoiardi imbevuti di caffè e uno di crema per due volte.
  9. Cospargere con cacao.
  10. Lasciare riposare in frigo.

Giornata internazionale contro la violenza sulle donne

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Una delle tante ragioni per cui ho iniziato a scrivere riguarda  la violenza sulle donne per raccontare, commentare, indignarmi sulle tante forme di discriminazione, abuso, maltrattamento,  intolleranza contro la donna. Alcune abiette e lontane, altre più subdole e sottili.

Il femminicidio in atto è più evidente e denunciato, e non bastano solo le parole per fermarlo e interventi legislativi e  giudiziari per reprimerlo. Occorre una cultura che promuova il rispetto dell’identità di genere,  basata sull’affettività e sul riconoscimento delle rispettive diversità, emozioni e sentimenti,  che insegni a trasporsi nell’altro, per prevenire la violenza non solo contro le donne, ma contro tutti coloro ritenuti diversi o comunque percepiti come contrapposti. La rabbia latente esplode con un’aggressività che rivela l’incapacità di gestire le proprie emozioni e riconoscere quelle altrui non solo  in fondamentali svolte di vita, ma anche  in occasione di una partita di calcio o di  un parcheggio negato. Un delirio di onnipotenza ove l’altro viene annullato, in tutti i sensi.(da “Cicatrici di guerra:il Clan delle Cicatrici” in skipblog.it)

 

Prendiamo atto che  le morti violente di tante donne non sono dovute a balordi, in preda ad alcool o droghe, ma il più delle volte a premeditazione di chi ha una mentalità che deve essere sradicata a livello socio-culturale, non solo da noi donne che stiamo acquisendo maggiore consapevolezza, ma soprattutto dagli uomini di buona volontà che non devono soltanto prendere le distanze a parole ma intervenire ogni qualvolta si imbattano in qualche farabutto che si sente più sicuro e potente opprimendo  una donna con angherie. La violenza contro le donne è una questione MA-SCHI-LE. Le donne si sono emancipate. Ora tocca a voi, Uomini di buon volontà,  sradicare quella subdola solidarietà di genere basata sul  fingere di non vedere e di non sentire nei luoghi pubblici e  di lavoro, nei condomini.

Ora, più di prima, spetta anche a chi opera nella scuola, e siamo tanti, a segnalare in modo riservato a chi di dovere (in primis al Dirigente scolastico, e alle forze dell’ordine) quando si appurino situazioni ad alto rischio di letalità.È un obbligo giuridico e morale, sicuramente scomodo, di ogni insegnante. L’omissione è perseguibile per legge. Nella scuola dell’infanzia e primaria spesso i bambini e le madri raccontano; nelle scuole secondarie di primo e secondo grado le ragazze a volte parlano:  si può aiutare chi è in difficoltà per prevenire un inferno non solo alla donna ma anche ai figli. 

 In questi anni  non mi sono sfuggite le tante, troppe,  donne  italiane  e straniere morte, il più delle volte per mano di un uomo, più di rado per suicidio perché le violenze subite le avevano uccise dentro.

A marzo dell’anno scorso   mi ha molto colpito la notizia del suicidio di Fakhra YounasFakhra Younas , autrice del libro “Il volto cancellato”: volto, braccia, petto e soprattutto identità sfigurati con l’acido dal  marito perché lei, giovane e bellissima, aveva deciso di divorziare da quell’uomo violento, possessivo e potente, condannato poi a  pochi mesi di carcere. Fakhra fu aiutata dalla suocera a fuggire con il figlio in Italia e nel 2000 trovò aiuto a Roma nell’associazione Smileagain. Si sottopose a circa  una quarantina di interventi chirurgici, ma certe ferite interne non si sono cicatrizzate e  Fakhra, simbolo della ribellione delle donne del Pakistan, dell’ India, del Bangladesh e del Nepal, non ce l’ha fatta.

Una realtà non troppo  lontana dalla nostra, visto che quest’anno qualche farabutto  italiano ha adottato questa triste prassi. Proprio oggi una ragazza italiana, Lucia Annibali,  ha ricevuto dal Presidente della Repubblica l’Onorificenza di Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana per il coraggio, la dignità e  la forza d’animo di reagire a un’aggressione con l’acido, commissionata da un  talebano nostrano.

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In India le donne sono insorte ma le violenze, anche contro bambine piccolissime, continuano;  la giovane Malala Yousafzai, candidata al Premio Nobel per la pace, ha captato l’attenzione del mondo intero nel rivendicare i diritti civili e in particolare allo studio per le donne della città di Mingora (Pakistan), negati da un editto dei talebani.

In Italia ormai le donne denunciano di più le violenze subite e  spesso pare che i media annuncino un bollettino di guerra. Non c’è giorno che non si senta di qualche donna, giovane e meno giovane, che non muoia per mano del marito, dell’ex , del fidanzato, del compagno, dell’amante o di un familiare. Non se ne può più. Il campionario maschile è variamente assortito, da Nord a Sud, per età ed estrazione socio culturale. Il problema non è tanto limitato, come si vuole fare credere, e la cosa che più mi preoccupa è scoprire da ciò che racconta mia figlia, poco più che ventenne, che alcuni ragazzi coetanei non vogliono che la lei di turno vada a studiare in un’altra città, che esca con le amiche quando lui si concede uscite o rimpatriate tra boys o che abbia interessi propri, e pretendono di  essere continuamente aggiornati con telefonate e sms su  ogni minimo spostamento.

Siamo nel 2013: se da ragazzina  immaginavo che in un lontano futuro saremmo diventati una sorta di androidi senza nemmeno più una diversità di genere, perché l’istinto sarebbe stato soppiantato   da menti evolutissimamente perse in altri meandri, oggi  riconosco che per fortuna è rimasta l’identità di genere, ma in quanto ad evoluzione culturale non saprei proprio a che punto siamo arrivati. 

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Anche in Italia c’è tanto da riflettere e da fare per diffondere la cultura di genere. Lo dobbiamo alle vittime di abusi e maltrattamenti ma soprattutto alle   oltre cento vittime  che “non contano”, o contano molto, ma molto meno dei loro mariti, compagni, partner, padri che le hanno uccise. Contiamole e osserviamole  una alla volta per non smarrire i loro passi e  la loro storia.  L’amore dona vita. I killer e i violenti non amano. Quelle donne hanno amato un uomo che non le meritava..
 Il Campidoglio si accenderà di rosso, e tante iniziative sono previste nelle città italiane per dire “No alla violenza contro le donne” a ricordo delle vittime  di ogni età e nazionalità. L’artista messicana Elina Chauvet, che ben conosce il femminicidio di  Ciudad Juárez, ha importato in Italia  le “Zapatos Rojos”, scarpe rosse,  per non dimenticare il cammino interrotto  delle tante donne  uccise. Formano un percorso  di  solidarietà per  quelle che in tutto il mondo  hanno subito e subiscono violenza.

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Quanto mi dai?

 

“I bambini del limbo diventeranno farfalle”: Giornata mondiale per i diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza

La sua famiglia era numerosa e G. era il quinto di otto figli.  A stento imparava a leggere e scrivere ma maneggiava molto bene il denaro, grazie a un intelligenza pratica. “A che mi serve studiare e prendere un diploma? Io imparo a rubbà: gli altri faticano, e poi  io me lo rubo.”  Il lavoro era inteso come fatica, soggezione, subordinazione, dipendenza e lui  non capiva l’altra forma di schiavitù che lo legava a una mentalità basata sulla sopraffazione, sulla legge del più forte e del taglione, sull’illecito. Abiezione, miseria, degrado e ignoranza erano principi fondanti in contesti dove aveva già imparato a sopravvivere ispirandosi, come altri,  alle regole dell’ “Osserva, taci, squaglia, schierati per avere lavoro e protezione. Impara a usare presto le armi per una guerra che prima o poi ti coinvolgerà”

 A sette anni fumava le sigarette di contrabbando, che  si vendevano sfuse per iniziare precocemente  i piccoli al vizio del fumo e qualche anno dopo all’eroina in un percorso di distruzione.Alle 8.00  di mattina, sulla banchina della stazione, i ragazzini arrivavano in piccoli gruppi, solidali nelle risa scherzose da cui trapelava l’ entusiasmo e la baldanza dell’ adolescenza, e indossavano i costumi di scena,  si truccavano  per andare a vendere un po’ di piacere. Altri tornavano dopo una nottata di lavoro, in silenzio e sfatti. A volte in coppia si trascinavano lungo i binari per raccattare quel che rimaneva nelle siringhe vuote e racimolare così una dose, annaspando come farfalle che hanno perso la polverina dalle ali.

Di pomeriggio doveva badare ad un fratellino di due anni insieme ai suoi compagni di strada. Aveva un forte senso di protezione per i più piccoli, affetto per i genitori e i fratelli , generosità e solidarietà tra simili. Talvolta  andava con gli amici a raccogliere cani randagi per ottenere in cambio qualche spicciolo. Lo pagavano per quella carne da macello che, molti anni più tardi, si scoprì che serviva all’addestramento dei cani da combattimento. Il sangue è sangue, umano o animale che sia…il cuore non esisteva, il ribrezzo e la paura erano sintomi di fragilità. La sua era stata violata da tempo. Tutto apparteneva al corso naturale delle cose in un contesto infernale. Chi non c’è mai stato, non può capire, non può sopportare la vista di case fatiscenti dove si convive con i ratti e  dove la speranza vive in  una fede popolare e superstiziosa che conforta, rassicura e dà la forza di andare avanti e sopravvivere.

 Spesso G. non andava a scuola. Un giorno, a lezioni iniziate,  vi  entrò di nascosto da una finestrella del bagno per prendere il biglietto che aveva  colorato  per la Festa della Mamma. Un regalo che poteva fare anche lui, che non ne riceveva mai, a una donna di 36 anni che ne dimostrava il doppio  negli occhi spenti, nel  fisico  fiacco e trascurato,  proprio di chi è provato da stenti e dalla fatica di barcamenarsi  per crescere tanti figli.

 

 

 “Qui per cambiare le cose i bambini andrebbero tolti alle famiglie appena nati o soffocati nella culla in tenera età.”: parole sferzanti  e ciniche di chi s’adoprava ogni giorno in un contesto ingestibile con l’amara consapevolezza che il  terzo e quarto mondo non era fuori dall’Europa, ma anche in Italia. Per lungo tempo si è finto di non vedere, di non sapere finchè la devianza giovanile non è scoppiata come emergenza sociale. “Si ammazzino tra loro, è una selezione naturale,  “civilmente” conveniente , per noi e non per loro.  Arginiamoli  e chiudiamoli nei loro ghetti sempre più deprivati dove sono radicati e che dà loro un senso di appartenenza.” Come le tradizioni popolari, le processioni e i gran pavesi  variopinti  di panni stesi tra i balconi.

In quei rioni riecheggiano canti e grida,  sfrecciano motorini , passeggiano ragazzine con occhi di donna e i bambini giocano con ciò che trovano. Lì però i sogni e la fantasia emergono ancora ascoltando fiabe narrate dalla maestra , il canto serve ad esprimere il proprio talento e libera dal male, la scuola aiuta a recuperare e a riconoscere l’identità di bambino.

 In quel contesto e  in poco tempo, con un impatto traumatico in una realtà che si pensa lontana, si impara più che in  tanti anni di formazione ed esperienza professionale pur bestemmiando contro Dio, la latitanza  e l’ indifferenza delle istituzioni, la mala sorte, e si apprezzano quei privilegi  a noi concessi da una sorte benevola. La vita porta altrove e a distanza di tanti anni resta forte il ricordo di G. , diventato adulto troppo presto. Di un bambino come lui  aveva scritto anni prima Giancarlo Siani, che non dimentico, come non dimentico certe esperienze che hanno lasciato  una sorta di imprinting dentro.

 Oggi le cose stanno cambiando e c’è molta più consapevolezza ed attenzione a riguardo delle violazioni dell’infanzia. Per altri bambini e ragazzi si può fare qualcosa nel  proprio piccolo raggio d’azione, prevenire il disagio per evitare la dispersione scolastica, far sentire una voce diversa, trasmettere  non solo conoscenze ma anche affetto, valori e modelli positivi, incanalare l’intelligenza dei ragazzi a rischio di devianza creando e sostenendo alternative di vita, e soprattutto impedire e reprimere ogni forma di sfruttamento.  È un obbligo morale  rivendicare e garantire l’infanzia che non deve essere negata  sia perché è riconosciuto  il diritto di non perderla mai, sia perché non potrà più essere recuperata.

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Questo post è  per la Giornata Mondiale dei diritti dell’Infanzia e per ricordare Marcello D’Orta, maestro di scuola e di vita , autore di tanti libri  tra i quali l’indimenticabile e famoso  “Speriamo che me la cavo” che ha narrato con  intelligente ironia e affettuosa malinconia la contraddittoria napoletanità, l’emarginazione e la miseria  ma soprattutto i sogni, le speranze e l’arte di arrangiarsi i dei più piccoli in una quotidianità difficile, se non impossibile da capire e tanto più da vivere, esorcizzata dalla vitalità dei bambini. Nell’umanità degli scugnizzi e dei bambini di Arzano ho rivisto i miei primi alunni, bambini  di quartieri difficili della provincia di Napoli dove ho iniziato a lavorare e ho capito che la mia strada sarebbe stata l’insegnamento.

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La mia casa è tutta sgarrupata, i soffitti sono sgarrupati, i mobili sono sgarrupati, le sedie sgarrupate, il pavimento sgarrupato, i muri sgarrupati, il bagnio sgarrupato. Però ci viviamo lo stesso, perché è casa mia, e soldi non cene stanno. Mia madre dice che il Terzo Mondo non tiene neanche  la casa sgarrupata, e perciò non ci dobbiamo lagniare: il Terzo Mondo è molto più terzo di noi!

(Da “Speriamo che me la cavo. Sessanta temi di bambini napoletani” di Marcello D’Orta)

 Quale parabola preferisci?” Svolgimento. Io, la parabola che preferisco è la fine del mondo, perché non ho paura, in quanto che sarò già morto da un secolo. Dio separerà le capre dai pastori, una a destra e una a sinistra. Al centro quelli che andranno in purgatorio, saranno più di mille migliardi!  Più dei cinesi! E Dio avrà tre porte: una grandissima, che è l’inferno; una media, che è il purgatorio; e una strettissima, che è il paradiso. Poi Dio dirà: “Fate silenzio tutti quanti!”. E poi li dividerà. A uno qua e a un altro là. Qualcuno che vuole fare il furbo vuole mettersi di qua, ma Dio lo vede e gli dice: “Uè, addò vai!”. Il mondo scoppierà, le stelle scoppieranno, il cielo scoppierà, Corzano si farà in mille pezzi, i buoni rideranno e i cattivi piangeranno. Quelli del purgatorio un po’ ridono e un po’ piangono, i bambini del limbo diventeranno farfalle. Io, speriamo che me la cavo. »

(Dal film “Speriamo che me la cavo” –regia Lina Wertmüller)

 

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Un pezzo di una Napoli diversa, dove l’umanesimo o diventa umanità, o muore.

Per la Sardegna

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Ci sono buchi in Sardegna che sono case di fate, morti che sono colpa di donne vampiro, fumi sacri che curano i cattivi sogni e acque segrete dove la luna specchiandosi rivela il futuro e i suoi inganni. Ci sono statue di antichi guerrieri alti come nessun sardo è stato mai, truci culti di santi che i papi si sono scordati di canonizzare, porte di pietra che si aprono su mondi ormai scomparsi, e mari di grano lontani dal mare, costellati di menhir contro i quali le promesse spose si strusciano nel segreto della notte, vegliate da madri e nonne. C’è una Sardegna come questa, o davanti ai camini si racconta che ci sia, che poi è la stessa cosa, perché in una terra dove il silenzio è ancora il dialetto piú parlato, le parole sono luoghi piú dei luoghi stessi, e generano mondi.

 (Michela Murgia da Viaggio in Sardegna)

#ForzaSardegna

“L’arte non è quello che vedi ma quello che fai vedere agli altri” (Edgar Degas)

Dal 23 ottobre il Museo dell’Ara Pacis a Roma ospita la mostra Gemme dell’Impressionismo. Dipinti della National Gallery of Art di Washington”, che per la prima volta hanno lasciato l’America.

Andrew-Mellon-con-i-figli-Ailsa-e-Paul-1913-ca.-National-Gallery-of-Art-Washington-Archivio-del-Museo-215x300Alla fine degli anni ’20 il magnate  Andrew W. Mellon iniziò quella che sarebbe diventata una delle più importanti collezioni d’arte del mondo e nel 1936 scrisse al presidente statunitense Franklin Delano Roosevelt con l’intenzione di offrirla allo stato americano. Dopo la sua morte, nel 1937, i figli Paul  e Ailsa, amanti del bello, della poesia  e dell’arte, continuarono a coltivare la passione paterna e ad ampliare  la collezione Mellon che si arricchì  sempre più anche grazie a donazioni private. Nel 1941 fu inaugurata la National Gallery of Art di Washington con parte della vasta collezione perché solo nel 1978 i fratelli Mellon  donarono i capolavori dei grandi impressionisti e post impressionisti, quali Manet, Monet, Degas, Renoir, Pissarro, Toulose –Lautrec, Sisley, Cèzanne,Gauguin,Van Gogh,Seurat, Bonnard che fino ad allora avevano custodito nelle proprie abitazioni private. 

La mostra “Gemme dell’Impressionismo” vanta 68 opere, a partire da Boudin(1824-1898), maestro di Monet, fino ai post impressionisti Bonnard (1867-1947) e Vuillard (1868-1940), esposte secondo  aree tematiche che vanno  dal paesaggio  al ritratto , dalle figure femminili alle natura morta, fino alla rappresentazione della vita moderna. Un importante  evento che rivela  il gusto raffinato dei Mellon  e regala al pubblico dipinti di unica e straordinaria bellezza.

Boudin_Eugene_Spiaggia di Trouville_1863_Washington_National Gallery

 

Si parte dai precursori del movimento artistico, cioè da Boudin e dai suoi inconfondibili paesaggi e  spiagge bretoni, in particolare di Trouville e Deauville. 

Nei dipinti en plein Air, realizzati cioè all’aperto, l’impressionista  coglie la luce del momento  che cambia con la prospettiva, la naturalezza dei colori, i cambiamenti atmosferici così ben resi e capaci di trasformare lo stesso paesaggio in ore diverse. Non  a caso Sisley  era solito dire “ il cielo è la prima cosa che dipingo”. 

campo di tulipani di van gogh

Tra questi spicca “Il campo di tulipani” di Van Gogh (1883) che al fratello  Theo scrisse “ ultimamente, mentre dipingevo,  ho sentito una certa potenza coloristica che si andava risvegliando in me, più forte e più  di quella sentita fino ad ora. Può darsi che il mio nervosismo di questi giorni sia dovuto a una sorta di rivoluzione del mio metodo di lavoro, di cui sono andato alla ricerca e a cui stavo già pensando da molto tempo”. 

 

Johan Barthold Jongkind - The Towpath, 1864

 

Ben rappresentata la nuova resa pittorica dei paesaggi rurali nelle opere di Camille  Pissarro per il quale sono “Beati coloro che vedono il bello in posti semplici e umili dove gli altri non vedono nulla” e di Johan Barthold Jongkind  di cui Claude Monet scrisse “ e a lui devo la definitiva educazione dei miei occhi” (a destra  l’Alzaia).

 

 

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L’opera  “Cogliendo fiori” di Renoir illustra la  locandina della mostra in quanto ben rappresentativa dell’impressionismo francese .  

 

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Nei “villaggi sul mare in Bretagna” di Odilon Redon  emerge l’iniziale  credo artistico dell’artista che con linee e colori vuole rappresentare non tanto l’aspetto esteriore degli oggetti, quanto le forze psichiche che ne costituiscono l’anima.  Questo paesaggio di sicuro la trasmette.

 

studio_per_la_grande_jatte_galleryNello studio per la famosa “Grande Jatte” di Seurat  è ben evidente la nuova tecnica pittorica ove “se si considera un decimetro quadrato ricoperto di un tono di colore uniforme, su ogni centimetro quadrato  di tale superficie, in un vorticoso movimento di macchioline, si trovano tutti gli elementi costitutivi delle tonalità”.

 

Tra i ritratti di “George Moore nel giardino”, ad opera  di Manet, e di “Claude Monet” ,ad 92994-primary-0-440x400opera di Renoir, e negli autoritratti di Edgar Degas, Henry Fantini Latour, Edouard Vuillard e Paul Gauguin esplode l’innovazione dell’impressionismo che ritrae non più per celebrare il personaggio ma per coglierne l’essenza e  attraverso l’acutezza dello sguardo ne fa captare  il carattere. Nel 1860, a riguardo della ritrattistica, Baudelaire disse “una bella testa di uomo conterrà qualcosa di ardente e di triste- dei bisogni spirituali, delle ambizioni tenebrosamente represse- l’idea di una potenza …”, come si può notare nell’autoritratto di Degas. 

Il ritratto è un diffuso tema pittorico, interpretato però in modo nuovo perché privilegia Gauguin_Paul_Autoritratto dedicato a Carriere_1888-1889_Washington_National Gallery of Art l’uomo moderno con il suo abito e le sue  consuetudini sociali, osservato in casa o per strada. Lo stesso Monet ritrae la moglie per evidenziare una figura parigina dell’epoca. 

Ben presto Parigi diviene capitale delle Arti, soprattutto grazie a grandi esposizioni d’arte dette Salons e  organizzate  sin dal ‘700 consentendo al pubblico di conoscere gli  artisti emergenti.

Purtroppo però essi sono controllati dalle brocca di latte e frutta di Cèzanneistituzioni accademiche  per cui vengono escluse circa  4000 opere di artisti , poi riconosciuti grandi esponenti dell’impressionismo.  Così proprio un grande escluso, Gustave Courbet, nel 1855 crea il suo  padiglione del “realismo”, e nel 1863 il gruppo degli impressionisti dà vita al Salon dés refusès (dei rifiutati)  per fare conoscere il nuovo modo di dipingere e concepire l’arte. Nonostante ciò,  proprio  Cèzanne, che guarda ai vecchi canoni artistici per aprirsi a insolite sperimentazioni pittoriche ,  spesso e a lungo ne resta  escluso.

La sezione  “Donne, amiche, modelle” si apre con “La sorella dell’artista alla finestra” , berthe morisotfamoso dipinto di Berthe Morisot, amica di Manet di cui forse fu innamorata  anche se finì con lo sposare suo fratello Eugène. Esclusa dall’École des Beaux-Arts, faticò non poco a inserirsi  nel fermento artistico dell’epoca, ma il suo talento alla fine travalicò i confini imposti dal mondo maschile dei pittori. A suo dire “ i veri pittori capiscono con il pennello in mano” nel momento in cui si trovano a trasmettere la loro percezione, impressione  del visibile.

L’universo femminile, protagonista della vita moderna, è un tema privilegiato dagli impressionisti. Le figure femminili dell’epoca osservate quasi di sottecchi in casa e nei giardini, così come nelle sale da ballo e  nei caffè, non sono più personaggi mitici o letterari.  La donna moderna non rispecchia più gli  schemi idealizzanti del passato: le raffinate signore della borghesia o le donne di ambienti più modesti sono  colte nei comuni rituali quotidiani, nel risveglio, dinanzi alla toilette, durante la vestizione, prima dell’entrata in scena sul palcoscenico di un teatro o della vita domestica.

Auguste-Renoir.-Madame-Monet-e-suo-figlio-1874-olio-su-tela-300x220

“La donna è senza dubbio una luce, uno sguardo, un invito alla felicità, e talvolta il suono di una parola, ma soprattutto un’armonia generale, non solo nel gesto e nel movimento delle membra, ma anche nelle mussole, nei veli, negli ampi e cangianti nembi di stoffa per cui si avvolge, e che sono come gli attributi e il fondamento della sua divinità.(Charles Baudelaire in “La peintre de la vie moderne”,1863)

Chi non riconosce le ballerine di Degas, la giovane donna che si pettina e Madame Henriot di Renoir oppure Carmen Gaudin , la modella che  Toulouse Lautrec scelse  per la folta e spettinata capigliatura ramata? Donne reali, che vivono accanto e si possono incontrare ovunque. 

giovane donna che si pettina-renoirballerine_dietro_le_quinte_galleryMostre:Gemme dell'impressionismo da Washington a Roma

Con l’Impressionismo anche la natura morta si rinnova , si abbandona  la cura del particolare per cedere a una visione d’insieme resa con semplici, ma non casuali, disposizioni di oggetti e pennellate di luce che giocano sulle tonalità del colore, come si può vedere nella “Natura morta con ostriche,1862” di Édouard Manet, nella splendida “Natura morta con uva  e garofano, 1880” di  Henry Fantin- Latour  e nella famosa “Brocca e frutta” di Paul Cézanne. Cambia la composizione, l’elemento portante spesso non è centrale, ma luce e colore lo evidenziano, a volte scomponendo volumi.

Manet_Edouard_Natura morta con ostriche_1862_Washington_National Gallery of ArtNatura morta con uva e garofano- Henri Fantin-Latour

 

L’eredità dell’Impressionismo passa a Pierre Bonnard e Édouard Vuillard,  artisti che segnano il passaggio verso il simbolismo, rivelando gusto per l’ornamento e l’uso irrealistico del colore.

Vuillard_Edouard_Bambina con la sciarpa rossa_1891ca_Washington_National Gallery of Art

La prospettiva piatta, tipica delle stampe giapponesi, come la frammentazione della visione in scene quotidiane con insoliti tagli visivi caratterizzano la loro produzione artistica. Il soggetto non è al centro della tela, anzi a volte  è visibile solo in parte, come in “La scatola dei colori dell’artista  e rose” (1892) e la “Bambina con la sciarpa rossa” di Vuillard (1891).

Di Bonnard si notino “ Due cani in una strada deserta” del 1894 e  la “Tavola apparecchiata in giardino”(1908) ove si rispecchiano la sua concezione dell’arte pittorica in quanto “ non si tratta di dipingere la vita, ma di rendere vivente la pittura”.

A distanza di tempo sono sicuramente viventi-anzi  immortali- queste preziose gemme dell’Impressionismo. 

598px-Two_Dogs_in_a_Deserted_Street,_Pierre_Bonnard,_c1894Bonnard_Pierre-Table_Set_in_a_GardenTavolo con scatola dei colori dell’artista e rose-Édouard Vuillard

 

Edouard Vuillard - Vase of Flowers on a Mantelpiece, 1900

 

Immagini dal web

 

Gemme dell’Impressionismo. 
Dipinti della National Gallery of Art di Washington. Da Monet a Renoir da van Gogh a Bonnard

Museo dell’Ara Pacis 
Lungotevere in Augusta, Roma

23 ottobre 2013 – 23 febbraio 2014 

 

Poesia per Gianni Rodari – Bruno Tognolini

autunno

 

Poesia per Gianni Rodari 

 

Mia figlia si svegliava con le tue rime in musica
A tua figlia dicevi fiabe ad alta voce
Anch’io a mia figlia leggevo ad alta voce
Ho studiato con tua figlia all’università
Il mio mestiere è diventato il tuo

C’è un fiume di padri e di figli, di rime e di fogli
C’è un giro di grandi stagioni, di madri e di mogli
C’è il rosso coraggio delle primavere
Le figlie son vere, le fiabe son finte
Ma tu non temere, le guerre che hai perso son vinte
C’è il rosso di foglie che cadono, qui nell’autunno
Nel tempo del sonno e del danno
Le foglie son vere, le figlie son molte
Le rime che lasci cadere
Son state raccolte
E ormai dureranno le estati della filastrocca
La gente ora sa che sapevi suonare
Suonare ci tocca
Ti abbiamo seguito, abbiamo accordato la rima
Le fiabe son vere, c’è un nuovo mestiere
Che non c’era prima

I poeti per bambini intagliano teatrini del mondo
I poeti per bambini costruiscono giocattoli dell’anima
I poeti per bambini son Piccoli Zii per i figli di tutti

Contro i Grandi Fratelli ignoranti, meschini e corrotti
Tutti noi stamburanti di rima
Tutti noi musicanti di Brema
Noi poeti un po’ gatti, un po’ galli, un po’ cani e somari
Camminiamo sulle strade aperte
Da Gianni Rodari

  

Da “Filastrocche” di Bruno Tognolini

 

Quanto mi dai?

I recenti fatti di cronaca di minorenni che svendono il loro corpo o si esibiscono via mms o in portali a luci rosse  in cambio di una ricarica, abiti griffati, droga e soldi  non sono tristi episodi ma un fenomeno sociale da non sottovalutare, che  dimostra quanto sia grande la crisi di identità in cui cadono gli adolescenti in Italia.

Se di fatto esiste un disagio giovanile sul quale riflettere, riconosco però che esiste anche disagio nel ruolo genitoriale. Alcuni genitori rifuggono il proprio ruolo educativo, altri cercano di trasmettere i cosiddetti sani principi ma si trovano a combattere contro quelli propinati da altre agenzie “educative” più accattivanti  che ostentano prototipi femminili che spesso si fanno strada nel mondo dello spettacolo, e non solo, in cambio di prestazioni che nulla hanno a che vedere con il merito, la competenza e la bravura.

Nella nostra società, grazie all’imperante consumismo, si considerano sempre più l’aspetto materiale della vita e l’esteriorità delle persone e di fatto esiste il culto dell’apparire, enfatizzato anche a  livello mediatico. Se anni fa le bambine giocavano con le bambole, compagne del loro immaginario infantile, oggi tendono ad identificarsi nelle bambole  in carne ed ossa, belle, ricche e di successo… sempre in vetrina. Modelli da emulare.

L’ambito abito griffato, che fa tendenza, è divenuto una sorta di status symbol che rassicura e viene percepito come garanzia di omologazione, di consenso sociale e di un senso di appartenenza indiretta all’Olimpo della passerella dove però tra variopinti voile, trine e nastri si snodano anche diverse interpretazioni estetiche della femminilità. L’abito di valore copre la persona, compensa la mancanza di valori e di spessore della persona (Erich Fromm parlava di avere o essere…).

Spesso l’adolescente evade, anche con alcool e droga,  e si rifugia in un mondo fantastico perché non accetta quello reale, talvolta simula precocemente quello reale per sentirsi più grande. Realtà e finzione si confondono in un gioco vero o simulato ove conta riscuotere conferme, consensi e anche soldi per potere apparire sempre più. Perché se appare, esiste.

Nella fase del no assoluto, la ragazzina trasgredisce per affermare se stessa nel graduale processo di costruzione della propria identità. Questo è il periodo più critico per l’adolescente, in balìa di se stessa e delle pulsioni emotive che non sa ancora decifrare. Talvolta non ha “paletti fissi”e trasgredisce sempre più, perché non ha interiorizzato valori o non li condivide abbastanza (i valori si acquisiscono se trasmessi con l’esempio ed input univoci ).Tutto fa spettacolo sul palcoscenico del sè egocentrico , spesso frustrato da insuccessi e timori, mancanza di punti di riferimento, solitudine e noia per cui le ragioni dell’ “usa e getti” (corpo compreso, inteso come bene di facile consumo), del “tutto e subito” divengono il mezzo di una prima affermazione sociale.

 La giovane età è però sempre un’attenuante. Responsabili sono gli adulti, che come genitori  a volte abdicano al ruolo educativo, incapaci di mettersi in gioco o più semplicemente ineducati loro stessi.  Nessuno insegna  a fare il genitore. Genitori si diventa: gradualmente si cresce e si matura con i figli avvalendosi della propria educazione, esperienza, buonsenso e umiltà di mettersi in discussione, di ascoltare e cercare di capire disancorandosi da se stessi, di chiedersi se si sbaglia o meno tra varie perplessità e responsabilità, a volte anche stanchezza. Per quanti sforzi si facciano non è detto che si riesca al meglio, perchè ogni adolescente ha una personalità propria, infatti capita che gli stessi input educativi possano produrre reazioni diverse in due o più figli.Delegare agli altri è più comodo, come il dire sì a ogni richiesta è più facile, perchè il no deve essere motivato e mantenuto. Sostenere gli adolescenti nel processo di crescita significa impegnare tutte le proprie risorse interiori  con un atto d’amore che implica non solo affetto e disponibilità ma anche  fermezza, energia, costanza e coerenza (insomma un’ardua impresa!)

  Maledettamente responsabili sono  soprattutto quegli adulti che abusano in vario modo, anche se c’è un libero consenso della minore, perché è un consenso   comunque immaturo di chi è ancora sospeso tra la fragile emotività, che ancora all’infanzia nel bisogno di dare e ricevere tenerezza,  e l’istintiva, naturale, apparentemente precoce pulsione ad affermarsi con un’identità e un ruolo ancora in divenire.

Infanzia e adolescenza non sono solo fasi della vita ma dovrebbero essere percepiti come valori di cui tutti dovrebbero farsi carico perché “Per fare crescere un bambino ci vuole un intero villaggio” (proverbio africano).

 

Artist Chris Buzelli

Nell’adolescenza … “la vita inizia a pulsare forte con tante, contrastanti emozioni che morsicano il cuore, con un carico di energia che ha bisogno di venire fuori per non implodere dentro. A quell’età l’intuizione prevale ancora  sulla logica, che sgomitola fili ingarbugliati, e  non riesce a trovare risposte opportune ai quesiti sempre più incalzanti, alle perplessità e ai timori del domani. Al cambiamento apparente  del corpo e della voce si sovrappongono l’inquietudine, il dubbio, un senso di inadeguatezza e  una  latente insicurezza  di fronte a un presente in cui bisogna ripensarsi per ripensare nuove e più confortanti certezze. Troppa confusione e nostalgia di àncore e del futuro, mai messe a fuoco in maniera nitida, chissà come  riescono a rendere   possibile il miracolo della crescita perché la miopia dell’adolescenza in fondo è il motore della vita, la spinta alla ricerca, alla scoperta di sé e del mondo” (da “La nuotatrice in skipblog.it)

Chi interrompe e fuorvia l’armoniosa e graduale costruzione di identità  dei ragazzi compie uno dei reati più odiosi e abietti, la cui gravità non è comprensibile a tutti, soprattutto a coloro che non si fanno scrupoli pur di godere o arricchirsi. Ben venga l’iniziativa del Ministero della Pubblica Istruzione di promuovere l’educazione all’affettività nelle scuole di ogni ordine e grado, perché è da lì che bisogna ripartire per fronteggiare quest’emergenza educativa, sperando di riuscire a vederne i frutti nelle prossime generazioni.

 

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Sorprese di melanzane al cioccolato

Ho deciso di  mettere in pratica le nuove ricette di piatti e dolci scambiate con amiche di spiaggia. Infatti uno degli argomenti tipici delle conversazioni delle donne sono le curiosità e i gemellaggi gastronomici regionali, i cosiddetti cavalli di battaglia dell’arte culinaria  cui difficilmente le donne rinunciano. Se si è un po’ persa la tradizione del corredo di lenzuola e asciugamani ricamati a mano, ingombranti e costosissimi, sopravvivono ancora le tradizioni gastronomiche familiari, tramandate di madre in  figlia, arricchite di varianti originalmente innovative, di sperimentazioni interculturali e contaminazioni di cotture accelerate con il microonde e la pentola a pressione.

 Saper cucinare è una passione, un’arte che soddisfa chi vi si dedica e chi assapora. È espressione di creatività e di gusto nel miscelare odori e sapori in connubi seducenti la vista e il palato.

Mia suocera ha ereditato da sua madre questa ricetta e me l’ha regalata. I suoi dolci di melanzane al cioccolato sono rinomati in famiglia e nel vicinato.

Lei amava cucinare ed era un’ottima cuoca, sperimentava piatti nuovi ritagliando ricette dai giornali o trascrivendole quando le trasmettevano in tv. Selezionava gli ortaggi, le verdure fresche e la frutta più bella che acquistava direttamente dai contadini, coltivava piante aromatiche e usava un po’ tutte le spezie. Essiccava l’origano e i pomodori, si procurava le ‘nserte di pomodorini del Vesuvio per poterli utilizzare poi anche fuori stagione, preparava sottaceti e sottoli, marmellate, conserve di pomodoro, acciughe sotto sale e olive in salamoia. D’inverno non faceva  mai mancare in tavola dissetanti spremute d’arance, colte nel giardino di casa, perché contengono tanta vitamina C che fa bene ai ragazzi. Usava i limoni per il limoncello e per condire le insalate ed era magistralmente esperta nel riconoscere e cucinare i vari pezzi di carne e il pesce fresco.

Aveva  quello che io definisco un magico dono cioè il  sapere dosare gli ingredienti “a occhio”, perciò per  riuscire a risalire alla dose e alla proporzione degli ingredienti, qualche estate fa  mi sono cimentata con lei nella preparazione di questi dolci. Eravamo un po’ accomunate dallo stesso interesse per la cucina e dalla “golosa felicità” dello stesso uomo: suo figlio, che è il mio consorte.

 Ingredienti:

 8 melanzane (lunghe)

300g di cioccolato fondente

300g di biscotti novellini

200 g di zucchero

100-150g di cedro o arancia candita a pezzetti

40g di cacao amaro

1 cucchiaino di cannella in polvere

1 bustina di vanillina

2 uova

 Esecuzione: 

  1. Tritare finemente i biscotti.
  2. Sbattere le uova intere.
  3. Lavare, tagliare le melanzane a pezzi, lessarle in  poca acqua a fuoco lento per un’ora circa.   Mescolarle e schiacciarle  con un cucchiaio di legno fino a quando non saranno completamente scotte.
  4. Passarle nel passaverdura per ottenere una crema di melanzane senza semi.
  5. Aggiungere 200g di  cioccolato fondente spezzettato e scioglierlo nella crema di melanzane.
  6. Versare nella crema così ottenuta  i canditi, il cacao in polvere, lo zucchero, i biscotti sbriciolati, la cannella, la vanillina e infine le uova sbattute.
  7. Mescolare con delicatezza amalgamando tutti gli ingredienti.
  8. Se il composto risulta troppo liquido, aggiungere altri biscotti tritati
  9. Sciogliere i restanti 100 g di cioccolato fondente: una  parte serve a foderare la teglia, la rimanente a ricoprire i dolci.
  10. Versare parte del cioccolato sciolto nella teglia.
  11. Adagiarvi a cucchiaiate il composto dandogli la forma di medaglioni un po’ schiacciati  e coprirli con il rimanente cioccolato .
  12. Infornare a180°.
  13. Controllare la cottura: le sorprese sono pronte quando inizia ad asciugarsi il cioccolato nella teglia.
  14. Lasciare raffreddare prima a temperatura ambiente e poi in frigo.

 

Ah dimenticavo! Questo dolce non aveva un nome preciso. Mia figlia ha suggerito sorprese di melanzane al cioccolato