Nei vecchi quartieri popolari della città, ma anche nei nuovi e nuovissimi, si aprono bianche, pulitissime e illuminatissime botteghe dette “Friggitorie” in cui, in certi padelloni gargantueschi frigge in permanenza una quantità colossale di olio. Dentro quest’olio bollentissimo mani pronte e abilissime gettano “panzarotti” (piccoli rotolini di patate lesse, schiacciate a crema, avvolti nel pan grattugiato e con una fogliolina di prezzemolo all’interno), “pastacrisciute” ( un pizzico di pasta di farina lievitata, ma non soda, ancora quasi liquida, che poi si gonfia d’aria e si dora in quel bagno di olio bollentissimo), i “tittoli” (triangolini di polenta gialla, impastata e raffreddata), le “vurracce”(ciuffetti di borragine, intinti nella pastella di farina, quella che serve alle pastecrisciute), le “palle ‘e riso” (piccoli globi di riso lesso, avvolti nel pane grattugiato). Questo nelle “ friggitorie”; e nelle case private di una volta, nelle dimore patrizie, il gran fritto alla napoletana si arricchiva ancora di “calzoncini” (piccole pizzette imbottite di uovo oppure di salame e di ricotta), di fegato di vitella, di cime di cavolfiori passati nell’uovo battuto, di cervella dorata, di dadini o palline di ricotta passata nella farina e nell’uovo, di mozzarella tagliata a fette e impanata, di zucchini e di melanzane a fettine passate nella pastella, di patatine affettate e anch’esse passate nell’uovo. Un trionfo, una gioia dorata e croccante, odorosa calda, fatta più d’aria che d’altro…
(“Breviario della cucina napoletana”, Mario Stefanile)