La pasta ha origini remote e si può fare risalire a quando l’uomo riuscì a mantenere compatto nell’acqua bollente l’impasto di acqua e farina; inizialmente la pasta, strappata in piccoli pezzi, veniva aggiunta a minestre di legumi e verdure, poi iniziò ad essere modellata con le dita. Nel I sec a. C. si cuocevano in acqua o in olio i lagana, strisce di schiacciata di farina , citate da Cicerone e Orazio, da cui discendono le lasagne.
Di antica origine sono anche i vermicelli e gli ziti . I primi, fatti a mano, erano corti, storti e simili a vermiciattoli , invece gli ziti , detti anche zite o maccheroni della zita ( cioè della sposa) erano preparati per il pranzo nuziale. Controversa è l’origine dei maccheroni, derivante dal genovese macaròn o dal siciliano maccaruni. In verità maccheroni e vermicelli erano prodotti in Liguria, Sardegna e poi in Campania, ma si ritiene che fino al XV secolo fossero una produzione siciliana acquisita tramite gli arabi che fecero conoscere la pasta secca ai popoli coi quali commerciavano. Ben presto la pasta fu apprezzata come alimento non deteriorabile e facilmente trasportabile. Sin dal Medioevo la pasta era un piatto riservato ai ricchi ma, viaggiando da Nord a Sud e viceversa, si esportavano anche cibi e ricette così i maccheroni trionfarono a Napoli come piatto tipico, gradito quotidianamente dai lazzari, borghesi e nobili .
All’inizio del Cinquecento maccheroni e vermicelli erano largamente diffusi nel napoletano per cui si resero necessari interventi legislativi per regolamentarne la produzione e la vendita e per riconoscere le categorie dei vermicellari, poi dei maccheronari.
Nel Seicento i napoletani attuarono una vera e propria rivoluzione gastronomica e da mangiafoglie (mangiatori di minestre di verdure) divennero mangiamaccheroni. La pasta, importata dalla Sicilia e dalla Sardegna che coltivavano grano duro, nella prima metà del Seicento fu prodotta a Napoli e dintorni (Gragnano, Torre Annunziata e località costiere le cui condizioni climatiche ne favorivano l’essiccazione) . Nella Valle dei Mulini , presso Gragnano, sorgevano trenta mulini ove si macinava il grano e si produceva la semola. Poichè i mulini erano distanti dalle abitazioni, le donne di casa preparavano i maccheroni e tutti insieme, padroni e lavoranti, li consumavano a pranzo . Ben presto una clientela sempre più allargata iniziò a recarsi ai mulini per comprare i maccheroni . Dalla macinazione del grano si passò quindi ad una produzione artigianale e poi industriale della pasta. Dal primo pastificio , fondato da Montella e Garofalo nel 1789, Gragnano arrivò ad averne un centinaio nell’Ottocento, grazie anche al re Francesco I che promosse lo sviluppo dell’industria pastaria con sistemi che rendevano più organizzata e igienicamente sicura la produzione della pasta.
Il popolo prediligeva i maccheroni “vierdi vierdi”, cioè duri come i frutti acerbi , a differenza dei nobili che li lasciavano cuocere anche per un paio di ore per consumarli scotti, fino a quando in “Cucina teorica-pratica” del 1837 il nobile gastronomo napoletano Ippolito Cavalcanti Duca di Buonvicino ufficialmente sancì la regola della cottura al dente. Se i ricchi potevano permettersi di condire la pasta con burro, zucchero, cannella e spezie, il popolo mangiava i maccheroni in bianco, poco sgocciolati, con un po’ di pepe, a volte formaggio (pecorino o caciocavallo), oppure un filo d’olio d’oliva o strutto. Solo nel Seicento nel Regno di Napoli si iniziò ad usare il pomodoro come condimento per la pasta , superando pregiudizi radicati in molti paesi fino al Settecento perché si riteneva che lo sgargiante pomodoro fosse velenoso ed utilizzabile solo per decorazioni o preparati medicinali. Nell’Ottocento il sugo al pomodoro fu finalmente apprezzato come condimento ideale per la pasta, insaporito anche con olio, cipolla, aglio,basilico, peperoncino.
Re Ferdinando IV, (poi I), amava la pasta e molto poco la formalità tant’è che soprannominò “lasagnone” il figlio Francesco. Alla sua corte si consumavano di frequente ravioli, vermicelli al burro , tagliolini e maccheroni con salsicce o pomodoro e ad ogni pranzo di gala non mancava l’ ipersostanzioso timballo di maccheroni, che tutt’oggi vale per primo, secondo e contorno.
Il re sposò la plebea consuetudine di mangiare i maccheroni portandoli alla bocca con le mani e rivolgendo gli occhi al cielo perché “ ‘O maccarone se magna guardanno ‘ncielo!” . In verità questo gesto era quasi un invito a ringraziare Dio per la bontà concessa, sebbene suscitasse lo sdegno della raffinata sua consorte, la regina Maria Carolina. Ben presto questa pratica da unti e bisunti si trasformò in un’attrazione turistica (della serie: vedi un po’ ch’a s’adda fa’ pe’ campà) e i “maccaroni eaters” ( mangia maccheroni) guadagnarono con la loro fame cronica una fama internazionale. Comunque sia, grazie ad attori napoletani, maccheroni e vermicelli sbarcarono in Francia con la maschera popolare dell’affamato Pulcinella, esperto “abbrancatore” di pasta.
La pasta però si diffuse all’estero anche per merito di grandi cuochi come Francesco Leonardi che, dopo avere servito re e nobili del Bel Paese e non solo, con le sue ricette a base di pasta conquistò la corte di Caterina II Imperatrice di tutte le Russie.
“I maccheroni sono un’acuta invenzione della miseria. Essi costituivano la più semplice, la più razionale, la più essenziale utilizzazione del grano. Si mangiavano verdi e sciularielli.
Se ne prendeva un ciuffo con tre dita e si facevano cadere in bocca: la bocca li assorbiva, li succhiava, quasi senza colpo di dente ( ecco perché in napoletano si dice sciularielli )…
Il maccaronaro era lo snack -bar dei lazzari…
Lo stato di animo di Pulcinella, il suo permanente stato di animo, è la fame; il suo sogno costante, e mai del tutto appagato, i maccheroni; i maccheroni che erano già nel sei, nel sette e nell’ottocento il piatto unico, la pietanza nazionale dei napoletani…
I maccheroni sono la spina dorsale della gastronomia della libertà. I maccheroni chiedono una salsa o un complemento”
(Alberto Consiglio, Sentimento del gusto ovvero della cucina napoletana)
La pasta al pomodoro ormai è un piatto conosciuto in tutto il mondo. Oggi la fantasia culinaria di piatti a base di pasta si sbizzarrisce in sempre nuovi abbinamenti con salse ed alimenti di origine animale o vegetale che sono una nutriente ed energetica tentazione gastronomica, ma anche una conquista dell’estro creativo che amalgama sapori,colori, odori e buon gusto senza porre limiti alla storia della pasta.
Notizie tratte da “Maccheronea” di Lejla Mancusi Sorrentino- Grimaldi & C. Editori ( un libro da divorare!), immagine dal web.
Pingback: Di che pasta sei? | SkipBlog
Pingback: La lunga e incerta storia della pizza | SkipBlog