“Alla fine eravamo arrivati in cima, anche se Triora era in realtà il punto di avvio per salire ancora più in alto,verso la tesa della Nava e il Collardente, verso il passo del Pellegrino, il Carmo del Corvo e la Croce dei Campi,che si alzavano come muraglie azzurre alle spalle dell’abitato. Come descriverla?
Da lontano sembrava solo una cresta dentata,un grumo di pietra e d’ardesia che faceva da cappello ad un picco. Da vicino era piuttosto un merletto grigio: le mura della cinta si alzavano e si abbassavano seguendo il contorno del terreno,in cima a una gradinata di terrazze e di fasce che salivano dalla valle come lo scalone di un gigante.
All’interno poi le case si accatastavano e s’incastravano una dentro l’altra,e quando un viottolo le separava in basso allora si univano fra loro più in alto,con arcate di mattoni e di sassi. Il paese aveva un aspetto solido,compatto, sembrava girare le spalle al mondo, dal quale venivano soltanto rogne, guai e vento gelido,e si avvolgeva intorno ai vicoli che gli si infilavano dentro,entravano nelle case, sfondavano gli atri, si aprivano all’improvviso in loggiati e piazzette, e tornavano a immergersi nel buio dei sottopassi,in un continuo su e giù che il sole riusciva a illuminare soltanto quando era a picco, sul mezzogiorno.” (da Strega di Remo Guerrini)
La storia di Battistina, una ragazza ritenuta diversa, è ambientata nella città di Triora al tempo dell’ Inquisizione. Nel 1588 nell’ antica rocca della città arriva una spedizione organizzata dalla Repubblica di Genova, composta dall’arguto e spietato Giulio Scribani, Commissario straordinario deciso a debellare le streghe, dall’esperto Juan Ferdinando Centurione, che con la sua logica preveggente intuisce le cause della stregoneria contro l’ottusità dei vicari dell’Inquisizione, e da Niccolò, giovane scrivano che scoprirà nella piccola strega dodicenne un’attrazione per la vita . La caccia alla “setta abominevole di donne” descritta , di fatto è avvenuta. I personaggi sono realmente esistiti e furono condannati a supplizi dei quali restano traccia nel Museo delle streghe di Triora .La vicenda è documentata storicamente dall’autore, Remo Guerrini, che ha ricreato un’atmosfera calata nella civiltà contadina tra superstizioni e credenze popolari, riti e cerimonie infernali, condanne e torture dell’epoca. Un libro di alta poesia sia nelle descrizioni paesaggistiche che in quelle caratteriali dei protagonisti. Una storia particolare e avvincente, a volte amara, a volte delicata dove la piccola Battistina si muove in una natura alla quale scopre di appartenere più di quanto immagini, mossa dalla curiosità e dalla saggezza pratica di chi impara presto a sopravvivere tra gli stenti che incattiviscono gli uomini. Inizialmente afferma la sua innocente e spontanea vitalità , libera da ogni schema, poi, braccata dal pregiudizio, fa della sua diversità una prerogativa individuale da difendere con precoce determinazione femminile contro le ottuse, brutali e dogmatiche certezze di quel tempo. La piccola strega colpevole , come tante altre sorelle, di comprendere i misteri e parlare il linguaggio della natura, rivendica la libertà di essere ciò che è . Nell’orgoglio trova la forza di non cedere al supplizio e con orgoglio si ricongiunge alla madre Terra, che con le sue erbe, acque,vite,venti, rocce ha sempre dolcemente cullato i sensi e il cuore di una bambina straordinaria.
“Fu anche un inverno strano (a cavallo tra il 1587 e 1588), soprattutto perché Battistina completò la sua istruzione in modo che mai si sarebbe aspettata ,visto che i suoi maestri furono un vecchio gipeto, una giovane lontra e una volpe distratta.
Il gipeto fu il primo. Era grande quasi quanto lei, aveva una barbetta lunga e nera sotto il becco, gli occhi gialli e un bel paio di calzoni di piume candide. Da lui Battistina imparò a sbattere contro una pietra le ossa dei cervi e delle capre morti da poco, proprio come contro un’incudine, e a nutrirsi con il midollo che c’era dentro. La prima volta le fece un po’ schifo, poi si accorse che, dopo aver succhiato, le veniva un gran caldo nello stomaco e una gran forza nelle gambe.
Decise così che da quell’uccello saggio e silenzioso c’era molto da imparare. Il gipeto, ora che era avanti negli anni e d’inverno gli era venuta meno la voglia di accoppiarsi, se ne stava su uno spuntone del bricco di Borniga, appeso sul precipizio, e passava il tempo con lo sguardo perso nel cielo grigio. Ma quando in quella sterminata lavagna compariva un minuscolo punto nero allora arruffava le piume, allargava le ali grandi come lenzuola e si lasciava cadere nell’abisso. Solo dopo un po’ Battistina si accorgeva che quel punto nero era in realtà un altro rapace, magari un’aquila che ritornava al nido con una preda fa gli artigli. Allora il gipeto si avvicinava all’aquila con la sua ombra immensa, e le andava addosso finchè l’altra non mollava il coniglio o l’agnello, che però precipitavano solo per poco, visto che il gipeto li riprendeva al volo e se li portava sul suo bricco. Dal gipeto Battistina imparò l’arte di starsene seduta a guardare il mondo dall’alto, e la facilità con la quale si ruba ai ladri, che mise in pratica più volte facendo sparire una pagnotta a un contadino che ne aveva portate via due al fornaio di Verdeggia, e prendendosi il mantello d’orbace di un giovanotto che se l’era tolto per infilarsi in un pollaio d’altri, appena fuori Realdo.
La giovane lontra l’incontrò invece più in basso,dove il torrente che scende da Verdeggia s’incrocia con il rio Infernetto, e insieme formano un torrente un po’ più grande che, più a valle ancora, va a immettersi nel Capriolo. L’acqua era gelida, ma la lontra non se ne curava. Giocava da sola:si tuffava, raccattava un sasso dal fondo, lo portava a galla tenendolo sulla pancia, poi se lo metteva sul muso e con un colpo secco dal collo lo scaraventava in aria. Se la pietra, invece che finire sulla riva, ricadeva in acqua la lontra si lanciava rapidissima, per recuperarla prima che toccasse il fondo. Battistina restò accucciata su uno scoglio per un’intera mattinata, e per un’intera mattinata la lontra giocò davanti a lei. Battistina imparò che la solitudine non è nemica del divertimento, e imparò anche altre cose: che per entrare nell’acqua è meglio adoperare uno scivolo d’erba piuttosto che rovinasi i piedi sulle rocce, che se si vuol catturare un pesce con le mani bisogna aver pazienza e avvicinarsi da sotto e da dietro, e perfino che si può scoprire il rango di un animale o di una persona dai suoi escrementi. Quelli della lontra, per esempio, puzzavano di pesce e contenevano le squame di quello che aveva mangiato.
Che la volpe fosse distratta Battistina lo stabilì, invece, quando l’inverno prese ad addolcirsi: mentre a dicembre e a gennaio era infatti impossibile trovar tracce del suo passaggio, a febbraio la volpe cominciò a lasciare in giro il suo pelo, a ciuffi e batuffoli dorati, appesi ai rami più bassi delle piante, impigliati agli arbusti e ai rovi, perfino dentro ai cespugli. Come se l’approssimarsi della primavera le avesse fatto perdere la testa.
Dalla volpe imparò a non perdersi nei boschi. E come la volpe segnava le piante che voleva riconoscere strofinandogli contro il culo e lasciandoci sopra odore di mandorle ( il che era segno di grandissima stregoneria), così Battistina iniziò a segnare tronchi e sentieri togliendo le foglie a un ramo basso sempre nello stesso modo, tre da una parte e tre dall’altra. E imparò pure che spesso è meglio fingersi morti e seppellirsi nell’erba piuttosto che scappare ( e così sfuggì a un gruppo di gendarmi che andava dietro a un contrabbandiere verso il passo di Collardente), che quando una preda è troppo difficile da maneggiare è meglio lasciarla perdere ( a dire il vero la volpe faceva di peggio ai ricci e ai rospi velenosi che non riusciva ad azzannare:gli pisciava addosso), e che nella stagione dell’amore c’è una cosa che fa diventare matto il maschio, leccargli il muso (ma questo si promise di verificarlo più avanti).
In realtà, perché gipeto, lontra e volpe distratta le consentissero di gironzolare intorno e la considerassero come una specie di parente tonta da sopportare con benevolenza, non se lo chiese mai. Pensò che per una strega come lei , fosse naturale vivere da bestia fra le bestie. Mangiò ghiande e castagne raccolte fra le radici degli alberi prima che arrivassero i legittimi proprietari, sfilò le uova di sotto alle chiocce e le bevve ancora tiepide, arrostì di nascosto nei seccatoi ormai freddi i pesci avanzati dalla lontra e andò di notte a mungere le vacche di Greppo e Bregalla, tanto che i contadini continuarono per settimane a immaginarsi, per via di quelle mammelle improduttive,nuove maledizioni scagliate contro le loro stalle.”
Da “Strega” di Remo Guerrini. Ed.Interno Giallo .
Vi informo che di recente il libro è stato ristampato nella collana Time Crime e si può trovare anche on line
Un commento con i fiocchi cara amica mia…
e poi mi ricordo Triora, un paesino della Liguria così suggestivo e stregato che mi pento sempre di non visitare più spesso…
Un caro abbraccio!
@nella: un bel paesino dell’entroterra ligure noto per il museo delle streghe che documenta una triste pagina di storia
Un libro bellissimo, mi fa piacere che l’abbiano ristampato. E poi a Verdeggia ci sono un po’ delle mie radici. Ciao Marì, buon fine settimana.
@filo: proprio tu mi prestasti questo libro, che mi piacque tanto . Alla nuova edizione troverò presto un posto nella mia libreria .
Buon week end anche a te
Conosco a grandi linee, abitando in provincia di Imperia, la vicenda delle streghe di Triora, ma non immaginavo che se ne potesse trarre un romanzo dai toni così lirici, come quelli dei passi da te selezionati!
@Adriano Maini: è un libro storicamente ben ambientato,ma anche molto introspettivo e poetico.