Giornata internazionale contro la violenza sulle donne

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Una delle tante ragioni per cui ho iniziato a scrivere riguarda  la violenza sulle donne per raccontare, commentare, indignarmi sulle tante forme di discriminazione, abuso, maltrattamento,  intolleranza contro la donna. Alcune abiette e lontane, altre più subdole e sottili.

Il femminicidio in atto è più evidente e denunciato, e non bastano solo le parole per fermarlo e interventi legislativi e  giudiziari per reprimerlo. Occorre una cultura che promuova il rispetto dell’identità di genere,  basata sull’affettività e sul riconoscimento delle rispettive diversità, emozioni e sentimenti,  che insegni a trasporsi nell’altro, per prevenire la violenza non solo contro le donne, ma contro tutti coloro ritenuti diversi o comunque percepiti come contrapposti. La rabbia latente esplode con un’aggressività che rivela l’incapacità di gestire le proprie emozioni e riconoscere quelle altrui non solo  in fondamentali svolte di vita, ma anche  in occasione di una partita di calcio o di  un parcheggio negato. Un delirio di onnipotenza ove l’altro viene annullato, in tutti i sensi.(da “Cicatrici di guerra:il Clan delle Cicatrici” in skipblog.it)

 

Prendiamo atto che  le morti violente di tante donne non sono dovute a balordi, in preda ad alcool o droghe, ma il più delle volte a premeditazione di chi ha una mentalità che deve essere sradicata a livello socio-culturale, non solo da noi donne che stiamo acquisendo maggiore consapevolezza, ma soprattutto dagli uomini di buona volontà che non devono soltanto prendere le distanze a parole ma intervenire ogni qualvolta si imbattano in qualche farabutto che si sente più sicuro e potente opprimendo  una donna con angherie. La violenza contro le donne è una questione MA-SCHI-LE. Le donne si sono emancipate. Ora tocca a voi, Uomini di buon volontà,  sradicare quella subdola solidarietà di genere basata sul  fingere di non vedere e di non sentire nei luoghi pubblici e  di lavoro, nei condomini.

Ora, più di prima, spetta anche a chi opera nella scuola, e siamo tanti, a segnalare in modo riservato a chi di dovere (in primis al Dirigente scolastico, e alle forze dell’ordine) quando si appurino situazioni ad alto rischio di letalità.È un obbligo giuridico e morale, sicuramente scomodo, di ogni insegnante. L’omissione è perseguibile per legge. Nella scuola dell’infanzia e primaria spesso i bambini e le madri raccontano; nelle scuole secondarie di primo e secondo grado le ragazze a volte parlano:  si può aiutare chi è in difficoltà per prevenire un inferno non solo alla donna ma anche ai figli. 

 In questi anni  non mi sono sfuggite le tante, troppe,  donne  italiane  e straniere morte, il più delle volte per mano di un uomo, più di rado per suicidio perché le violenze subite le avevano uccise dentro.

A marzo dell’anno scorso   mi ha molto colpito la notizia del suicidio di Fakhra YounasFakhra Younas , autrice del libro “Il volto cancellato”: volto, braccia, petto e soprattutto identità sfigurati con l’acido dal  marito perché lei, giovane e bellissima, aveva deciso di divorziare da quell’uomo violento, possessivo e potente, condannato poi a  pochi mesi di carcere. Fakhra fu aiutata dalla suocera a fuggire con il figlio in Italia e nel 2000 trovò aiuto a Roma nell’associazione Smileagain. Si sottopose a circa  una quarantina di interventi chirurgici, ma certe ferite interne non si sono cicatrizzate e  Fakhra, simbolo della ribellione delle donne del Pakistan, dell’ India, del Bangladesh e del Nepal, non ce l’ha fatta.

Una realtà non troppo  lontana dalla nostra, visto che quest’anno qualche farabutto  italiano ha adottato questa triste prassi. Proprio oggi una ragazza italiana, Lucia Annibali,  ha ricevuto dal Presidente della Repubblica l’Onorificenza di Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana per il coraggio, la dignità e  la forza d’animo di reagire a un’aggressione con l’acido, commissionata da un  talebano nostrano.

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In India le donne sono insorte ma le violenze, anche contro bambine piccolissime, continuano;  la giovane Malala Yousafzai, candidata al Premio Nobel per la pace, ha captato l’attenzione del mondo intero nel rivendicare i diritti civili e in particolare allo studio per le donne della città di Mingora (Pakistan), negati da un editto dei talebani.

In Italia ormai le donne denunciano di più le violenze subite e  spesso pare che i media annuncino un bollettino di guerra. Non c’è giorno che non si senta di qualche donna, giovane e meno giovane, che non muoia per mano del marito, dell’ex , del fidanzato, del compagno, dell’amante o di un familiare. Non se ne può più. Il campionario maschile è variamente assortito, da Nord a Sud, per età ed estrazione socio culturale. Il problema non è tanto limitato, come si vuole fare credere, e la cosa che più mi preoccupa è scoprire da ciò che racconta mia figlia, poco più che ventenne, che alcuni ragazzi coetanei non vogliono che la lei di turno vada a studiare in un’altra città, che esca con le amiche quando lui si concede uscite o rimpatriate tra boys o che abbia interessi propri, e pretendono di  essere continuamente aggiornati con telefonate e sms su  ogni minimo spostamento.

Siamo nel 2013: se da ragazzina  immaginavo che in un lontano futuro saremmo diventati una sorta di androidi senza nemmeno più una diversità di genere, perché l’istinto sarebbe stato soppiantato   da menti evolutissimamente perse in altri meandri, oggi  riconosco che per fortuna è rimasta l’identità di genere, ma in quanto ad evoluzione culturale non saprei proprio a che punto siamo arrivati. 

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Anche in Italia c’è tanto da riflettere e da fare per diffondere la cultura di genere. Lo dobbiamo alle vittime di abusi e maltrattamenti ma soprattutto alle   oltre cento vittime  che “non contano”, o contano molto, ma molto meno dei loro mariti, compagni, partner, padri che le hanno uccise. Contiamole e osserviamole  una alla volta per non smarrire i loro passi e  la loro storia.  L’amore dona vita. I killer e i violenti non amano. Quelle donne hanno amato un uomo che non le meritava..
 Il Campidoglio si accenderà di rosso, e tante iniziative sono previste nelle città italiane per dire “No alla violenza contro le donne” a ricordo delle vittime  di ogni età e nazionalità. L’artista messicana Elina Chauvet, che ben conosce il femminicidio di  Ciudad Juárez, ha importato in Italia  le “Zapatos Rojos”, scarpe rosse,  per non dimenticare il cammino interrotto  delle tante donne  uccise. Formano un percorso  di  solidarietà per  quelle che in tutto il mondo  hanno subito e subiscono violenza.

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Quanto mi dai?

 

“I bambini del limbo diventeranno farfalle”: Giornata mondiale per i diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza

La sua famiglia era numerosa e G. era il quinto di otto figli.  A stento imparava a leggere e scrivere ma maneggiava molto bene il denaro, grazie a un intelligenza pratica. “A che mi serve studiare e prendere un diploma? Io imparo a rubbà: gli altri faticano, e poi  io me lo rubo.”  Il lavoro era inteso come fatica, soggezione, subordinazione, dipendenza e lui  non capiva l’altra forma di schiavitù che lo legava a una mentalità basata sulla sopraffazione, sulla legge del più forte e del taglione, sull’illecito. Abiezione, miseria, degrado e ignoranza erano principi fondanti in contesti dove aveva già imparato a sopravvivere ispirandosi, come altri,  alle regole dell’ “Osserva, taci, squaglia, schierati per avere lavoro e protezione. Impara a usare presto le armi per una guerra che prima o poi ti coinvolgerà”

 A sette anni fumava le sigarette di contrabbando, che  si vendevano sfuse per iniziare precocemente  i piccoli al vizio del fumo e qualche anno dopo all’eroina in un percorso di distruzione.Alle 8.00  di mattina, sulla banchina della stazione, i ragazzini arrivavano in piccoli gruppi, solidali nelle risa scherzose da cui trapelava l’ entusiasmo e la baldanza dell’ adolescenza, e indossavano i costumi di scena,  si truccavano  per andare a vendere un po’ di piacere. Altri tornavano dopo una nottata di lavoro, in silenzio e sfatti. A volte in coppia si trascinavano lungo i binari per raccattare quel che rimaneva nelle siringhe vuote e racimolare così una dose, annaspando come farfalle che hanno perso la polverina dalle ali.

Di pomeriggio doveva badare ad un fratellino di due anni insieme ai suoi compagni di strada. Aveva un forte senso di protezione per i più piccoli, affetto per i genitori e i fratelli , generosità e solidarietà tra simili. Talvolta  andava con gli amici a raccogliere cani randagi per ottenere in cambio qualche spicciolo. Lo pagavano per quella carne da macello che, molti anni più tardi, si scoprì che serviva all’addestramento dei cani da combattimento. Il sangue è sangue, umano o animale che sia…il cuore non esisteva, il ribrezzo e la paura erano sintomi di fragilità. La sua era stata violata da tempo. Tutto apparteneva al corso naturale delle cose in un contesto infernale. Chi non c’è mai stato, non può capire, non può sopportare la vista di case fatiscenti dove si convive con i ratti e  dove la speranza vive in  una fede popolare e superstiziosa che conforta, rassicura e dà la forza di andare avanti e sopravvivere.

 Spesso G. non andava a scuola. Un giorno, a lezioni iniziate,  vi  entrò di nascosto da una finestrella del bagno per prendere il biglietto che aveva  colorato  per la Festa della Mamma. Un regalo che poteva fare anche lui, che non ne riceveva mai, a una donna di 36 anni che ne dimostrava il doppio  negli occhi spenti, nel  fisico  fiacco e trascurato,  proprio di chi è provato da stenti e dalla fatica di barcamenarsi  per crescere tanti figli.

 

 

 “Qui per cambiare le cose i bambini andrebbero tolti alle famiglie appena nati o soffocati nella culla in tenera età.”: parole sferzanti  e ciniche di chi s’adoprava ogni giorno in un contesto ingestibile con l’amara consapevolezza che il  terzo e quarto mondo non era fuori dall’Europa, ma anche in Italia. Per lungo tempo si è finto di non vedere, di non sapere finchè la devianza giovanile non è scoppiata come emergenza sociale. “Si ammazzino tra loro, è una selezione naturale,  “civilmente” conveniente , per noi e non per loro.  Arginiamoli  e chiudiamoli nei loro ghetti sempre più deprivati dove sono radicati e che dà loro un senso di appartenenza.” Come le tradizioni popolari, le processioni e i gran pavesi  variopinti  di panni stesi tra i balconi.

In quei rioni riecheggiano canti e grida,  sfrecciano motorini , passeggiano ragazzine con occhi di donna e i bambini giocano con ciò che trovano. Lì però i sogni e la fantasia emergono ancora ascoltando fiabe narrate dalla maestra , il canto serve ad esprimere il proprio talento e libera dal male, la scuola aiuta a recuperare e a riconoscere l’identità di bambino.

 In quel contesto e  in poco tempo, con un impatto traumatico in una realtà che si pensa lontana, si impara più che in  tanti anni di formazione ed esperienza professionale pur bestemmiando contro Dio, la latitanza  e l’ indifferenza delle istituzioni, la mala sorte, e si apprezzano quei privilegi  a noi concessi da una sorte benevola. La vita porta altrove e a distanza di tanti anni resta forte il ricordo di G. , diventato adulto troppo presto. Di un bambino come lui  aveva scritto anni prima Giancarlo Siani, che non dimentico, come non dimentico certe esperienze che hanno lasciato  una sorta di imprinting dentro.

 Oggi le cose stanno cambiando e c’è molta più consapevolezza ed attenzione a riguardo delle violazioni dell’infanzia. Per altri bambini e ragazzi si può fare qualcosa nel  proprio piccolo raggio d’azione, prevenire il disagio per evitare la dispersione scolastica, far sentire una voce diversa, trasmettere  non solo conoscenze ma anche affetto, valori e modelli positivi, incanalare l’intelligenza dei ragazzi a rischio di devianza creando e sostenendo alternative di vita, e soprattutto impedire e reprimere ogni forma di sfruttamento.  È un obbligo morale  rivendicare e garantire l’infanzia che non deve essere negata  sia perché è riconosciuto  il diritto di non perderla mai, sia perché non potrà più essere recuperata.

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Questo post è  per la Giornata Mondiale dei diritti dell’Infanzia e per ricordare Marcello D’Orta, maestro di scuola e di vita , autore di tanti libri  tra i quali l’indimenticabile e famoso  “Speriamo che me la cavo” che ha narrato con  intelligente ironia e affettuosa malinconia la contraddittoria napoletanità, l’emarginazione e la miseria  ma soprattutto i sogni, le speranze e l’arte di arrangiarsi i dei più piccoli in una quotidianità difficile, se non impossibile da capire e tanto più da vivere, esorcizzata dalla vitalità dei bambini. Nell’umanità degli scugnizzi e dei bambini di Arzano ho rivisto i miei primi alunni, bambini  di quartieri difficili della provincia di Napoli dove ho iniziato a lavorare e ho capito che la mia strada sarebbe stata l’insegnamento.

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La mia casa è tutta sgarrupata, i soffitti sono sgarrupati, i mobili sono sgarrupati, le sedie sgarrupate, il pavimento sgarrupato, i muri sgarrupati, il bagnio sgarrupato. Però ci viviamo lo stesso, perché è casa mia, e soldi non cene stanno. Mia madre dice che il Terzo Mondo non tiene neanche  la casa sgarrupata, e perciò non ci dobbiamo lagniare: il Terzo Mondo è molto più terzo di noi!

(Da “Speriamo che me la cavo. Sessanta temi di bambini napoletani” di Marcello D’Orta)

 Quale parabola preferisci?” Svolgimento. Io, la parabola che preferisco è la fine del mondo, perché non ho paura, in quanto che sarò già morto da un secolo. Dio separerà le capre dai pastori, una a destra e una a sinistra. Al centro quelli che andranno in purgatorio, saranno più di mille migliardi!  Più dei cinesi! E Dio avrà tre porte: una grandissima, che è l’inferno; una media, che è il purgatorio; e una strettissima, che è il paradiso. Poi Dio dirà: “Fate silenzio tutti quanti!”. E poi li dividerà. A uno qua e a un altro là. Qualcuno che vuole fare il furbo vuole mettersi di qua, ma Dio lo vede e gli dice: “Uè, addò vai!”. Il mondo scoppierà, le stelle scoppieranno, il cielo scoppierà, Corzano si farà in mille pezzi, i buoni rideranno e i cattivi piangeranno. Quelli del purgatorio un po’ ridono e un po’ piangono, i bambini del limbo diventeranno farfalle. Io, speriamo che me la cavo. »

(Dal film “Speriamo che me la cavo” –regia Lina Wertmüller)

 

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Per la Sardegna

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Ci sono buchi in Sardegna che sono case di fate, morti che sono colpa di donne vampiro, fumi sacri che curano i cattivi sogni e acque segrete dove la luna specchiandosi rivela il futuro e i suoi inganni. Ci sono statue di antichi guerrieri alti come nessun sardo è stato mai, truci culti di santi che i papi si sono scordati di canonizzare, porte di pietra che si aprono su mondi ormai scomparsi, e mari di grano lontani dal mare, costellati di menhir contro i quali le promesse spose si strusciano nel segreto della notte, vegliate da madri e nonne. C’è una Sardegna come questa, o davanti ai camini si racconta che ci sia, che poi è la stessa cosa, perché in una terra dove il silenzio è ancora il dialetto piú parlato, le parole sono luoghi piú dei luoghi stessi, e generano mondi.

 (Michela Murgia da Viaggio in Sardegna)

#ForzaSardegna

“L’arte non è quello che vedi ma quello che fai vedere agli altri” (Edgar Degas)

Dal 23 ottobre il Museo dell’Ara Pacis a Roma ospita la mostra Gemme dell’Impressionismo. Dipinti della National Gallery of Art di Washington”, che per la prima volta hanno lasciato l’America.

Andrew-Mellon-con-i-figli-Ailsa-e-Paul-1913-ca.-National-Gallery-of-Art-Washington-Archivio-del-Museo-215x300Alla fine degli anni ’20 il magnate  Andrew W. Mellon iniziò quella che sarebbe diventata una delle più importanti collezioni d’arte del mondo e nel 1936 scrisse al presidente statunitense Franklin Delano Roosevelt con l’intenzione di offrirla allo stato americano. Dopo la sua morte, nel 1937, i figli Paul  e Ailsa, amanti del bello, della poesia  e dell’arte, continuarono a coltivare la passione paterna e ad ampliare  la collezione Mellon che si arricchì  sempre più anche grazie a donazioni private. Nel 1941 fu inaugurata la National Gallery of Art di Washington con parte della vasta collezione perché solo nel 1978 i fratelli Mellon  donarono i capolavori dei grandi impressionisti e post impressionisti, quali Manet, Monet, Degas, Renoir, Pissarro, Toulose –Lautrec, Sisley, Cèzanne,Gauguin,Van Gogh,Seurat, Bonnard che fino ad allora avevano custodito nelle proprie abitazioni private. 

La mostra “Gemme dell’Impressionismo” vanta 68 opere, a partire da Boudin(1824-1898), maestro di Monet, fino ai post impressionisti Bonnard (1867-1947) e Vuillard (1868-1940), esposte secondo  aree tematiche che vanno  dal paesaggio  al ritratto , dalle figure femminili alle natura morta, fino alla rappresentazione della vita moderna. Un importante  evento che rivela  il gusto raffinato dei Mellon  e regala al pubblico dipinti di unica e straordinaria bellezza.

Boudin_Eugene_Spiaggia di Trouville_1863_Washington_National Gallery

 

Si parte dai precursori del movimento artistico, cioè da Boudin e dai suoi inconfondibili paesaggi e  spiagge bretoni, in particolare di Trouville e Deauville. 

Nei dipinti en plein Air, realizzati cioè all’aperto, l’impressionista  coglie la luce del momento  che cambia con la prospettiva, la naturalezza dei colori, i cambiamenti atmosferici così ben resi e capaci di trasformare lo stesso paesaggio in ore diverse. Non  a caso Sisley  era solito dire “ il cielo è la prima cosa che dipingo”. 

campo di tulipani di van gogh

Tra questi spicca “Il campo di tulipani” di Van Gogh (1883) che al fratello  Theo scrisse “ ultimamente, mentre dipingevo,  ho sentito una certa potenza coloristica che si andava risvegliando in me, più forte e più  di quella sentita fino ad ora. Può darsi che il mio nervosismo di questi giorni sia dovuto a una sorta di rivoluzione del mio metodo di lavoro, di cui sono andato alla ricerca e a cui stavo già pensando da molto tempo”. 

 

Johan Barthold Jongkind - The Towpath, 1864

 

Ben rappresentata la nuova resa pittorica dei paesaggi rurali nelle opere di Camille  Pissarro per il quale sono “Beati coloro che vedono il bello in posti semplici e umili dove gli altri non vedono nulla” e di Johan Barthold Jongkind  di cui Claude Monet scrisse “ e a lui devo la definitiva educazione dei miei occhi” (a destra  l’Alzaia).

 

 

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L’opera  “Cogliendo fiori” di Renoir illustra la  locandina della mostra in quanto ben rappresentativa dell’impressionismo francese .  

 

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Nei “villaggi sul mare in Bretagna” di Odilon Redon  emerge l’iniziale  credo artistico dell’artista che con linee e colori vuole rappresentare non tanto l’aspetto esteriore degli oggetti, quanto le forze psichiche che ne costituiscono l’anima.  Questo paesaggio di sicuro la trasmette.

 

studio_per_la_grande_jatte_galleryNello studio per la famosa “Grande Jatte” di Seurat  è ben evidente la nuova tecnica pittorica ove “se si considera un decimetro quadrato ricoperto di un tono di colore uniforme, su ogni centimetro quadrato  di tale superficie, in un vorticoso movimento di macchioline, si trovano tutti gli elementi costitutivi delle tonalità”.

 

Tra i ritratti di “George Moore nel giardino”, ad opera  di Manet, e di “Claude Monet” ,ad 92994-primary-0-440x400opera di Renoir, e negli autoritratti di Edgar Degas, Henry Fantini Latour, Edouard Vuillard e Paul Gauguin esplode l’innovazione dell’impressionismo che ritrae non più per celebrare il personaggio ma per coglierne l’essenza e  attraverso l’acutezza dello sguardo ne fa captare  il carattere. Nel 1860, a riguardo della ritrattistica, Baudelaire disse “una bella testa di uomo conterrà qualcosa di ardente e di triste- dei bisogni spirituali, delle ambizioni tenebrosamente represse- l’idea di una potenza …”, come si può notare nell’autoritratto di Degas. 

Il ritratto è un diffuso tema pittorico, interpretato però in modo nuovo perché privilegia Gauguin_Paul_Autoritratto dedicato a Carriere_1888-1889_Washington_National Gallery of Art l’uomo moderno con il suo abito e le sue  consuetudini sociali, osservato in casa o per strada. Lo stesso Monet ritrae la moglie per evidenziare una figura parigina dell’epoca. 

Ben presto Parigi diviene capitale delle Arti, soprattutto grazie a grandi esposizioni d’arte dette Salons e  organizzate  sin dal ‘700 consentendo al pubblico di conoscere gli  artisti emergenti.

Purtroppo però essi sono controllati dalle brocca di latte e frutta di Cèzanneistituzioni accademiche  per cui vengono escluse circa  4000 opere di artisti , poi riconosciuti grandi esponenti dell’impressionismo.  Così proprio un grande escluso, Gustave Courbet, nel 1855 crea il suo  padiglione del “realismo”, e nel 1863 il gruppo degli impressionisti dà vita al Salon dés refusès (dei rifiutati)  per fare conoscere il nuovo modo di dipingere e concepire l’arte. Nonostante ciò,  proprio  Cèzanne, che guarda ai vecchi canoni artistici per aprirsi a insolite sperimentazioni pittoriche ,  spesso e a lungo ne resta  escluso.

La sezione  “Donne, amiche, modelle” si apre con “La sorella dell’artista alla finestra” , berthe morisotfamoso dipinto di Berthe Morisot, amica di Manet di cui forse fu innamorata  anche se finì con lo sposare suo fratello Eugène. Esclusa dall’École des Beaux-Arts, faticò non poco a inserirsi  nel fermento artistico dell’epoca, ma il suo talento alla fine travalicò i confini imposti dal mondo maschile dei pittori. A suo dire “ i veri pittori capiscono con il pennello in mano” nel momento in cui si trovano a trasmettere la loro percezione, impressione  del visibile.

L’universo femminile, protagonista della vita moderna, è un tema privilegiato dagli impressionisti. Le figure femminili dell’epoca osservate quasi di sottecchi in casa e nei giardini, così come nelle sale da ballo e  nei caffè, non sono più personaggi mitici o letterari.  La donna moderna non rispecchia più gli  schemi idealizzanti del passato: le raffinate signore della borghesia o le donne di ambienti più modesti sono  colte nei comuni rituali quotidiani, nel risveglio, dinanzi alla toilette, durante la vestizione, prima dell’entrata in scena sul palcoscenico di un teatro o della vita domestica.

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“La donna è senza dubbio una luce, uno sguardo, un invito alla felicità, e talvolta il suono di una parola, ma soprattutto un’armonia generale, non solo nel gesto e nel movimento delle membra, ma anche nelle mussole, nei veli, negli ampi e cangianti nembi di stoffa per cui si avvolge, e che sono come gli attributi e il fondamento della sua divinità.(Charles Baudelaire in “La peintre de la vie moderne”,1863)

Chi non riconosce le ballerine di Degas, la giovane donna che si pettina e Madame Henriot di Renoir oppure Carmen Gaudin , la modella che  Toulouse Lautrec scelse  per la folta e spettinata capigliatura ramata? Donne reali, che vivono accanto e si possono incontrare ovunque. 

giovane donna che si pettina-renoirballerine_dietro_le_quinte_galleryMostre:Gemme dell'impressionismo da Washington a Roma

Con l’Impressionismo anche la natura morta si rinnova , si abbandona  la cura del particolare per cedere a una visione d’insieme resa con semplici, ma non casuali, disposizioni di oggetti e pennellate di luce che giocano sulle tonalità del colore, come si può vedere nella “Natura morta con ostriche,1862” di Édouard Manet, nella splendida “Natura morta con uva  e garofano, 1880” di  Henry Fantin- Latour  e nella famosa “Brocca e frutta” di Paul Cézanne. Cambia la composizione, l’elemento portante spesso non è centrale, ma luce e colore lo evidenziano, a volte scomponendo volumi.

Manet_Edouard_Natura morta con ostriche_1862_Washington_National Gallery of ArtNatura morta con uva e garofano- Henri Fantin-Latour

 

L’eredità dell’Impressionismo passa a Pierre Bonnard e Édouard Vuillard,  artisti che segnano il passaggio verso il simbolismo, rivelando gusto per l’ornamento e l’uso irrealistico del colore.

Vuillard_Edouard_Bambina con la sciarpa rossa_1891ca_Washington_National Gallery of Art

La prospettiva piatta, tipica delle stampe giapponesi, come la frammentazione della visione in scene quotidiane con insoliti tagli visivi caratterizzano la loro produzione artistica. Il soggetto non è al centro della tela, anzi a volte  è visibile solo in parte, come in “La scatola dei colori dell’artista  e rose” (1892) e la “Bambina con la sciarpa rossa” di Vuillard (1891).

Di Bonnard si notino “ Due cani in una strada deserta” del 1894 e  la “Tavola apparecchiata in giardino”(1908) ove si rispecchiano la sua concezione dell’arte pittorica in quanto “ non si tratta di dipingere la vita, ma di rendere vivente la pittura”.

A distanza di tempo sono sicuramente viventi-anzi  immortali- queste preziose gemme dell’Impressionismo. 

598px-Two_Dogs_in_a_Deserted_Street,_Pierre_Bonnard,_c1894Bonnard_Pierre-Table_Set_in_a_GardenTavolo con scatola dei colori dell’artista e rose-Édouard Vuillard

 

Edouard Vuillard - Vase of Flowers on a Mantelpiece, 1900

 

Immagini dal web

 

Gemme dell’Impressionismo. 
Dipinti della National Gallery of Art di Washington. Da Monet a Renoir da van Gogh a Bonnard

Museo dell’Ara Pacis 
Lungotevere in Augusta, Roma

23 ottobre 2013 – 23 febbraio 2014 

 

Poesia per Gianni Rodari – Bruno Tognolini

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Poesia per Gianni Rodari 

 

Mia figlia si svegliava con le tue rime in musica
A tua figlia dicevi fiabe ad alta voce
Anch’io a mia figlia leggevo ad alta voce
Ho studiato con tua figlia all’università
Il mio mestiere è diventato il tuo

C’è un fiume di padri e di figli, di rime e di fogli
C’è un giro di grandi stagioni, di madri e di mogli
C’è il rosso coraggio delle primavere
Le figlie son vere, le fiabe son finte
Ma tu non temere, le guerre che hai perso son vinte
C’è il rosso di foglie che cadono, qui nell’autunno
Nel tempo del sonno e del danno
Le foglie son vere, le figlie son molte
Le rime che lasci cadere
Son state raccolte
E ormai dureranno le estati della filastrocca
La gente ora sa che sapevi suonare
Suonare ci tocca
Ti abbiamo seguito, abbiamo accordato la rima
Le fiabe son vere, c’è un nuovo mestiere
Che non c’era prima

I poeti per bambini intagliano teatrini del mondo
I poeti per bambini costruiscono giocattoli dell’anima
I poeti per bambini son Piccoli Zii per i figli di tutti

Contro i Grandi Fratelli ignoranti, meschini e corrotti
Tutti noi stamburanti di rima
Tutti noi musicanti di Brema
Noi poeti un po’ gatti, un po’ galli, un po’ cani e somari
Camminiamo sulle strade aperte
Da Gianni Rodari

  

Da “Filastrocche” di Bruno Tognolini

 

Quanto mi dai?

I recenti fatti di cronaca di minorenni che svendono il loro corpo o si esibiscono via mms o in portali a luci rosse  in cambio di una ricarica, abiti griffati, droga e soldi  non sono tristi episodi ma un fenomeno sociale da non sottovalutare, che  dimostra quanto sia grande la crisi di identità in cui cadono gli adolescenti in Italia.

Se di fatto esiste un disagio giovanile sul quale riflettere, riconosco però che esiste anche disagio nel ruolo genitoriale. Alcuni genitori rifuggono il proprio ruolo educativo, altri cercano di trasmettere i cosiddetti sani principi ma si trovano a combattere contro quelli propinati da altre agenzie “educative” più accattivanti  che ostentano prototipi femminili che spesso si fanno strada nel mondo dello spettacolo, e non solo, in cambio di prestazioni che nulla hanno a che vedere con il merito, la competenza e la bravura.

Nella nostra società, grazie all’imperante consumismo, si considerano sempre più l’aspetto materiale della vita e l’esteriorità delle persone e di fatto esiste il culto dell’apparire, enfatizzato anche a  livello mediatico. Se anni fa le bambine giocavano con le bambole, compagne del loro immaginario infantile, oggi tendono ad identificarsi nelle bambole  in carne ed ossa, belle, ricche e di successo… sempre in vetrina. Modelli da emulare.

L’ambito abito griffato, che fa tendenza, è divenuto una sorta di status symbol che rassicura e viene percepito come garanzia di omologazione, di consenso sociale e di un senso di appartenenza indiretta all’Olimpo della passerella dove però tra variopinti voile, trine e nastri si snodano anche diverse interpretazioni estetiche della femminilità. L’abito di valore copre la persona, compensa la mancanza di valori e di spessore della persona (Erich Fromm parlava di avere o essere…).

Spesso l’adolescente evade, anche con alcool e droga,  e si rifugia in un mondo fantastico perché non accetta quello reale, talvolta simula precocemente quello reale per sentirsi più grande. Realtà e finzione si confondono in un gioco vero o simulato ove conta riscuotere conferme, consensi e anche soldi per potere apparire sempre più. Perché se appare, esiste.

Nella fase del no assoluto, la ragazzina trasgredisce per affermare se stessa nel graduale processo di costruzione della propria identità. Questo è il periodo più critico per l’adolescente, in balìa di se stessa e delle pulsioni emotive che non sa ancora decifrare. Talvolta non ha “paletti fissi”e trasgredisce sempre più, perché non ha interiorizzato valori o non li condivide abbastanza (i valori si acquisiscono se trasmessi con l’esempio ed input univoci ).Tutto fa spettacolo sul palcoscenico del sè egocentrico , spesso frustrato da insuccessi e timori, mancanza di punti di riferimento, solitudine e noia per cui le ragioni dell’ “usa e getti” (corpo compreso, inteso come bene di facile consumo), del “tutto e subito” divengono il mezzo di una prima affermazione sociale.

 La giovane età è però sempre un’attenuante. Responsabili sono gli adulti, che come genitori  a volte abdicano al ruolo educativo, incapaci di mettersi in gioco o più semplicemente ineducati loro stessi.  Nessuno insegna  a fare il genitore. Genitori si diventa: gradualmente si cresce e si matura con i figli avvalendosi della propria educazione, esperienza, buonsenso e umiltà di mettersi in discussione, di ascoltare e cercare di capire disancorandosi da se stessi, di chiedersi se si sbaglia o meno tra varie perplessità e responsabilità, a volte anche stanchezza. Per quanti sforzi si facciano non è detto che si riesca al meglio, perchè ogni adolescente ha una personalità propria, infatti capita che gli stessi input educativi possano produrre reazioni diverse in due o più figli.Delegare agli altri è più comodo, come il dire sì a ogni richiesta è più facile, perchè il no deve essere motivato e mantenuto. Sostenere gli adolescenti nel processo di crescita significa impegnare tutte le proprie risorse interiori  con un atto d’amore che implica non solo affetto e disponibilità ma anche  fermezza, energia, costanza e coerenza (insomma un’ardua impresa!)

  Maledettamente responsabili sono  soprattutto quegli adulti che abusano in vario modo, anche se c’è un libero consenso della minore, perché è un consenso   comunque immaturo di chi è ancora sospeso tra la fragile emotività, che ancora all’infanzia nel bisogno di dare e ricevere tenerezza,  e l’istintiva, naturale, apparentemente precoce pulsione ad affermarsi con un’identità e un ruolo ancora in divenire.

Infanzia e adolescenza non sono solo fasi della vita ma dovrebbero essere percepiti come valori di cui tutti dovrebbero farsi carico perché “Per fare crescere un bambino ci vuole un intero villaggio” (proverbio africano).

 

Artist Chris Buzelli

Nell’adolescenza … “la vita inizia a pulsare forte con tante, contrastanti emozioni che morsicano il cuore, con un carico di energia che ha bisogno di venire fuori per non implodere dentro. A quell’età l’intuizione prevale ancora  sulla logica, che sgomitola fili ingarbugliati, e  non riesce a trovare risposte opportune ai quesiti sempre più incalzanti, alle perplessità e ai timori del domani. Al cambiamento apparente  del corpo e della voce si sovrappongono l’inquietudine, il dubbio, un senso di inadeguatezza e  una  latente insicurezza  di fronte a un presente in cui bisogna ripensarsi per ripensare nuove e più confortanti certezze. Troppa confusione e nostalgia di àncore e del futuro, mai messe a fuoco in maniera nitida, chissà come  riescono a rendere   possibile il miracolo della crescita perché la miopia dell’adolescenza in fondo è il motore della vita, la spinta alla ricerca, alla scoperta di sé e del mondo” (da “La nuotatrice in skipblog.it)

Chi interrompe e fuorvia l’armoniosa e graduale costruzione di identità  dei ragazzi compie uno dei reati più odiosi e abietti, la cui gravità non è comprensibile a tutti, soprattutto a coloro che non si fanno scrupoli pur di godere o arricchirsi. Ben venga l’iniziativa del Ministero della Pubblica Istruzione di promuovere l’educazione all’affettività nelle scuole di ogni ordine e grado, perché è da lì che bisogna ripartire per fronteggiare quest’emergenza educativa, sperando di riuscire a vederne i frutti nelle prossime generazioni.

 

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Sorprese di melanzane al cioccolato

Ho deciso di  mettere in pratica le nuove ricette di piatti e dolci scambiate con amiche di spiaggia. Infatti uno degli argomenti tipici delle conversazioni delle donne sono le curiosità e i gemellaggi gastronomici regionali, i cosiddetti cavalli di battaglia dell’arte culinaria  cui difficilmente le donne rinunciano. Se si è un po’ persa la tradizione del corredo di lenzuola e asciugamani ricamati a mano, ingombranti e costosissimi, sopravvivono ancora le tradizioni gastronomiche familiari, tramandate di madre in  figlia, arricchite di varianti originalmente innovative, di sperimentazioni interculturali e contaminazioni di cotture accelerate con il microonde e la pentola a pressione.

 Saper cucinare è una passione, un’arte che soddisfa chi vi si dedica e chi assapora. È espressione di creatività e di gusto nel miscelare odori e sapori in connubi seducenti la vista e il palato.

Mia suocera ha ereditato da sua madre questa ricetta e me l’ha regalata. I suoi dolci di melanzane al cioccolato sono rinomati in famiglia e nel vicinato.

Lei amava cucinare ed era un’ottima cuoca, sperimentava piatti nuovi ritagliando ricette dai giornali o trascrivendole quando le trasmettevano in tv. Selezionava gli ortaggi, le verdure fresche e la frutta più bella che acquistava direttamente dai contadini, coltivava piante aromatiche e usava un po’ tutte le spezie. Essiccava l’origano e i pomodori, si procurava le ‘nserte di pomodorini del Vesuvio per poterli utilizzare poi anche fuori stagione, preparava sottaceti e sottoli, marmellate, conserve di pomodoro, acciughe sotto sale e olive in salamoia. D’inverno non faceva  mai mancare in tavola dissetanti spremute d’arance, colte nel giardino di casa, perché contengono tanta vitamina C che fa bene ai ragazzi. Usava i limoni per il limoncello e per condire le insalate ed era magistralmente esperta nel riconoscere e cucinare i vari pezzi di carne e il pesce fresco.

Aveva  quello che io definisco un magico dono cioè il  sapere dosare gli ingredienti “a occhio”, perciò per  riuscire a risalire alla dose e alla proporzione degli ingredienti, qualche estate fa  mi sono cimentata con lei nella preparazione di questi dolci. Eravamo un po’ accomunate dallo stesso interesse per la cucina e dalla “golosa felicità” dello stesso uomo: suo figlio, che è il mio consorte.

 Ingredienti:

 8 melanzane (lunghe)

300g di cioccolato fondente

300g di biscotti novellini

200 g di zucchero

100-150g di cedro o arancia candita a pezzetti

40g di cacao amaro

1 cucchiaino di cannella in polvere

1 bustina di vanillina

2 uova

 Esecuzione: 

  1. Tritare finemente i biscotti.
  2. Sbattere le uova intere.
  3. Lavare, tagliare le melanzane a pezzi, lessarle in  poca acqua a fuoco lento per un’ora circa.   Mescolarle e schiacciarle  con un cucchiaio di legno fino a quando non saranno completamente scotte.
  4. Passarle nel passaverdura per ottenere una crema di melanzane senza semi.
  5. Aggiungere 200g di  cioccolato fondente spezzettato e scioglierlo nella crema di melanzane.
  6. Versare nella crema così ottenuta  i canditi, il cacao in polvere, lo zucchero, i biscotti sbriciolati, la cannella, la vanillina e infine le uova sbattute.
  7. Mescolare con delicatezza amalgamando tutti gli ingredienti.
  8. Se il composto risulta troppo liquido, aggiungere altri biscotti tritati
  9. Sciogliere i restanti 100 g di cioccolato fondente: una  parte serve a foderare la teglia, la rimanente a ricoprire i dolci.
  10. Versare parte del cioccolato sciolto nella teglia.
  11. Adagiarvi a cucchiaiate il composto dandogli la forma di medaglioni un po’ schiacciati  e coprirli con il rimanente cioccolato .
  12. Infornare a180°.
  13. Controllare la cottura: le sorprese sono pronte quando inizia ad asciugarsi il cioccolato nella teglia.
  14. Lasciare raffreddare prima a temperatura ambiente e poi in frigo.

 

Ah dimenticavo! Questo dolce non aveva un nome preciso. Mia figlia ha suggerito sorprese di melanzane al cioccolato

 

Piccoli e grandi eroi sul Gianicolo

Sulla sommità del Gianicolo , suggestivo luogo della memoria che ricorda le radici e le lotte per l’Italia , domina l’imponente monumento equestre di Giuseppe Garibaldi, realizzato da Emilio Gallori e inaugurato nel 1895. Sul basamento spiccano  le figure allegoriche dell’Europa e dell’America, oltre a gruppi di bronzo che rievocano le imprese più importanti dell’Eroe dei due mondi( lo sbarco a Marsala, la resistenza di Boiada, la difesa di Roma). 

monumento Garibaldi-Gianicolo

La storia è soggetta a diverse e mutevoli  interpretazioni, ma le prodezze di Garibaldi divennero poi memorabili sia per la destra che la sinistra. A mio parere proprio la forte e carismatica personalità di Garibaldi suscitava e suscita tutt’oggi un certo fascino. Egli  temprò il carattere per mare, navigando prima in Oriente col padre Domenico, capitano mercantile, e altri armatori,  poi combattendo nel  Sud America  per lo stato Rio Grande do Sul, di cui comandò la flotta di guerra, nella ribellione contro il  governo brasiliano. È passato alla storia come l’uomo d’azione, l’avventuriero, il  rivoluzionario, l’anticlericale, il  promotore della libertà, della giustizia e dell’amicizia tra i popoli, il difensore dell’identità nazionale. Animato contraddittoriamente da  ideali nazionali e cosmopoliti, da militarismo e pacifismo, fu critico non solo del pontefice ma anche dei politici di professione e della politica piemontese. Accolto freddamente  dal governo sardo quando rientrò nel 1848 dal Sud America  poiché i tempi erano propizi per la libertà e la  rivoluzione di Palermo faceva ben sperare,  poi espulso dai territori del  Piemonte  ove ritirò dopo la disfatta della Repubblica Romana e  il tentativo di raggiungere Venezia che resisteva agli austriaci, abbandonò ogni ambizione quando capì che la monarchia sabauda poteva essere la soluzione per l’unità d’Italia, e al re Vittorio Emanuele consegnò il Sud , rifiutando però la nomina a generale  con le annesse ricompense. I suoi ideali  in fin dei conti  furono sfruttati da una politica sabauda  che si rivelò più di conquista che di liberazione, soprattutto del ricco Sud Italia.La sua popolarità lo fece diventare simbolo dell’unità nazionale, richiamata nelle  tante piazze e strade d’Italia che portano il suo nome, facendo dimenticare lo spirito rivoluzionario degli anni giovanili e  quello antipolitico della vecchiaia. Garibaldi da lassù guarda Roma, capitale di quell’Italia libera e unita in cui  tanti, come lui, avevano creduto.  

patrioti  sul Gianicolo

 

I tanti, più noti, sono ricordati in  84 busti marmorei che in occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia sono stati ripuliti e restaurati. Sono erme di patrioti garibaldini, politici ed intellettuali, combattenti per la difesa e la liberazione di Roma, compresi  quattro garibaldini stranieri (l’inglese John Peard , il finlandese Herman Lijkanen,  l’ungherese Istvàn Türr  e il bulgaro Petko Voivoda).

stele studenti padovani- Gianicolo

 

 

Nel parco del Gianicolo ci sono anche quattro stele  dedicate agli studenti che da ogni parte confluirono a Roma per difendere  la breve  Repubblica Romana. Se la passione è il  motore dei grandi cambiamenti,  in questi busti se ne trova conferma.

 

 

MameliPorzi Antonietti ColombaSacchiTurr

 

 

viale Lorenzo Brunetti

La mia attenzione però è stata attirata  da questa targa, dedicata al tredicenne Lorenzo Brunetti, di cui il viale del Gianicolo porta il nome.  Lorenzo morì  col padre Angelo Brunetti, più noto come Ciceruacchio (1800- 1849 ), il cui monumento, realizzato da Ettore Ximenes e inaugurato nel 1907, è stato trasferito da Trastevere al Gianicolo. 

Ciceruacchio, soprannominato così  dalla madre in quanto paffuto, era  figlio di un maniscalco, divenne  poi carrettiere e infine  oste. Generoso e  coraggioso s’adoprò per il bene del popolo in occasione del colera e dell’alluvione.  Non era istruito ma in compenso 250px-Ciceruacchio_a_Ripettaera dotato di buona capacità dialettica, espressa solo in   romanesco, con la quale  interpretava e trasmetteva gli umori della gente comune, e  capì che l’istruzione per tutti poteva essere un mezzo per acquisire maggiore consapevolezza e dignità di vita. Fu  apprezzato  anche da nobili e governanti, oltre  Mazzini e Garibaldi  che gli chiesero consigli e collaborazione durante la breve vita della Repubblica Romana. Incoraggiò il papa Pio IX a promuovere riforme liberali e donò vino per festeggiare la liberazione dei prigionieri politici nel 1846.  Dopo il voltafaccia del pontefice, Ciceruacchio  si schierò contro la politica del papa re che non realizzò le riforme tanto attese dal popolo. Da buon patriota e capopopolo difese la Repubblica Romana nel 1849 e , dopo la sua caduta , seguì Garibaldi con l’intento di raggiungere Venezia. Costretto ad approdare  in prossimità del delta del Po, fu denunciato alle autorità dalla gente del posto e nella notte del 10 agosto 1849 fu fucilato insieme ai suoi due figli Luigi e  Lorenzo. 

Righetto- GianicoloNel parco del Gianicolo  tra i grandi citati nella storia del Risorgimento Italiano,  è ricordato anche  il giovane trasteverino Righetto, simbolo dei ragazzini caduti in difesa della Repubblica Romana nel 1849.  Roma era soggetta a pesanti attacchi da parte dei francesi corsi in aiuto del papa e Trastevere era particolarmente bombardata. Una banda di ragazzini, guidati da Righetto, un dodicenne senza famiglia che lavorava presso un fornaio,  pensò di  difendere la gente del quartiere   avvisandola della caduta della bombe  e precipitandosi a spegnerne la miccia  con uno straccio bagnato. Nel giugno del 1849 sulla piccola spiaggia della Renella, sotto ponte Sisto, Righetto morì con la sua inseparabile cagnetta  Sgrullarella a causa di una bomba che gli cadde sulle mani.

 Altre generazioni di altri tempi, animate da quella grande passione che rende fieri e coraggiosi  in ogni circostanza.

Noi, italiani del Duemila, riusciremo mai a scrivere pagine di storia di cui i posteri si sentiranno orgogliosi?

 Qui la splendida interpretazione di Nino Manfredi in un estratto del film “In nome del popolo sovrano” di Luigi Magni, recentemente scomparso.

  

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“Ciò che facciamo in vita riecheggia per l’Eternità”: la Street Art di Banksy

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Il misterioso Banksy continua a stupire e a suscitare commenti, ora di encomio, ora di condanna. Che dire, se non che è il più famoso e  quotato street artist del mondo, che ha lasciato traccia del suo passaggio a partire da Bristol e Londra per sconfinare in altre città d’Europa, della Palestina, dell’America. Alcuni stencil  sono ormai rappresentativi dell’arte contemporanea: originali, a volte sarcasticamente provocatori, trasmettono un messaggio mai banale per un mondo più vivibile, equo, pacifico e pulito.

 rat I tanti ratti che anni or sono comparvero sui muri di Londra, Parigi e New York  rappresentavano una nuova forma d’arte (rat è l’anagramma di art) che spesso viene fuori di notte e nei posti più impensati, a volte squallidi e anonimi delle città. Odiati, cacciati e perseguitati, eppure capaci di mettere in ginocchio intere civiltà , infestano e contagiano. Un po’ come l’arte di Banksy.

 Alcune sue opere, che rivisitano quadri famosi,  sono misteriosamente apparse anche  nei grandi musei del mondo, come questo ritratto di una donna dell’Ottocento riconoscibile per una maschera antigas.

 bansky-d02_427220banksybristol

maidinlondon3---banskyco_427080Chi non ricorda invece Leita? È la domestica a grandezza naturale che cerca di nascondere la spazzatura sotto il tappeto su un muro di Chalk Farm, nella periferia nord di Londra, alludendo a coloro  che  ignorano  i grandi problemi del mondo. Se si pensa che i graffiti sporcano i muri, questo ha abbellito il muro di  uno sporco quartiere londinese, forse con la speranza di ripulire  qualche coscienza.  

 

banksy_santa_teresa_primaA mio avviso, non è un caso che le opere di Banksy siano comparse anche a Napoli. In via Benedetto Croce  una  Santa Teresa del Bernini, in estasi forse per panino e patatine, rappresentava  il consumismo fino a quando non è stata poi cancellata da un anonimo writer nel maggio 2010.

 

 

Invece in via dei Tribunali, esattamente nella piazza della basilica dei  Gerolomini presso una bottega di roba vecchia, si può ammirare una  Madonna con la pistola: allusione alla violenza malavitosa che ammazza tanti figli dei quali non resta che il dolore e la pietà di tante Madri? Oppure invocazione a  una grande  fede (nella giustizia)  che può sconfiggere la camorra?

graffito napoliHo scoperto questo stencil  per caso quando riuscii a visitare la splendida chiesa dei Gerolamini in occasione di una sua rara apertura al pubblico. Ignoravo chi fosse l’artista  ma ho captato la bellezza di questa Madonna immortalandola  prontamente con una foto.

art-balloon-banksy-girl-no-future-paint-Favim.com-74013Banksy narra di un mondo di pace, giustizia e delle tante forme di libertà attraverso scimmie, ratti, anziani, soldati, poliziotti e soprattutto bambini e ragazzi.

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I suoi bambini con il palloncino volano via in cerca di luce  e sogni  oppure,  imbronciati, sono accovacciati in terra in attesa del futuro.

Sul lato palestinese del muro che divide Israele e la Cisgiordania i  bambini perquisiscono i poliziotti,  volano via,  aprono squarci in trompe l’oeil su un mondo sereno dove finalmente possono giocare , non più alla guerra, e i ragazzi lanciano fiori anziché pietre.Un palestinese apprezzò questi  stencil , ma poi disse all’artista britannico  di tornarsene a casa , perché il suo popolo  non voleva  un muro così bello, in quanto lo odiava e sperava che fosse abbattuto.

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SIZED.Mon-21-WIDE-privateDa ottobre Banksy è a New York e sui muri della città sta lasciando  tracce artistiche del suo silenzioso,  inconfondibile passaggio  insieme a un numero telefonico  per ricevere ulteriori informazioni sull’ opera. Inoltre egli aggiorna  il suo sito con le foto delle sue più recenti realizzazioni accompagnate da un video.

flower throwerGiorni fa Banksy ha dato alcuni suoi disegni ad un anziano venditore ambulante in Central Park che li ha venduti per 60 dollari l’uno, mentre valgono almeno cento volte di più.  Tra questi c’era  una versione del famoso  “Flower Thrower”, l’uomo che lancia i fiori, che compare  sulla copertina del catalogo di Wall and Piece, la sua retrospettiva del 2005, e “Laugh Now”.

La bancarella era la tredicesima  installazione di “Better Out Than In”, il progetto che ha portato l’artista a New York per un mese provocando una vera e propria caccia  al tesoro. Sì le opere dell’artista di Bristol  sono un tesoro, valgono centinaia di migliaia di euro e, in questo caso,  hanno fatto la fortuna di chi le ha acquistate per pochi dollari. A volte sono asportate dai muri , ma perdono un po’ del loro valore in quanto ciascuna opera è ispirata da un determinato contesto socio culturale e urbano, lo interpreta, lo commenta, lo irride, lo valorizza e gli appartiene.

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Nel quartiere Queens di New York Bansky scrive:” Ciò che facciamo in vita riecheggia per l’Eternità”. Un uomo cancella la frase con una spugna, come forse i graffiti dell’artista sono cancellati da altri writers o dalle autorità, oppure si fa riferimento ai colpi di spugna del tempo sulla memoria.

meat_truck04_1224517Curiosa questa installazione mobile- scusate il gioco di parole-  “Le sirene degli agnelli”: un camion per il trasporto del bestiame gira per Meatpacking District, il quartiere dei macelli convertiti in ristoranti,  facendo riecheggiare  i versi degli animali condannati al macello. Qui gli animali sono simpaticissimi peluche, che  rievocano ricordi infantili e suscitano un sorriso poi  trattenuto dai contrastanti lamenti.

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Altra installazione vagante è un vecchio camion splendidamente affrescato con un mondo paradisiaco ove lo spettatore, comune passante di città , può  smarrire lo sguardo e la fantasia e ritrovare un po’ di serenità.

 

upper-west-sidesized_1230229Opere che fanno discutere: questa si trova nell’ Upper West Side e il  proprietario del muro l’ha protetta con una lastra di plexiglass , mentre il sindaco di New York Bloomberg sostiene che Banksy rovina la proprietà privata  per cui gli ha dichiarato guerra.

 

 

Questo bellissimo stencil   invece si trova a Brooklyn. Mentre alcune case d’asta pensavano a come rimuoverlo per venderlo, è stato sfregiato da altri writers. Purtroppo questo è  il rischio che corrono le opere d’arte di strada.

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Un  piccolo omaggio alle vittime dell’11 settembre è apparso su un muro di Tribeca.

 

 

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Un palloncino incerottato rappresenta gli sforzi che un cuore spezzato fa per sopravvivere .

 

 

day3E infine non poteva mancare il riferimento ai più comuni graffitari, quelli che comunicano come sanno fare, lasciando semplici tracce del loro passaggio, a volte ritenute inopportune, offensive, sporche. Metafora del cane graffitaro, a me tanto cara.

Grazie, Banksy!

 

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Immagini dal web 

In Artsy.net  altre opere di Banksy.

 

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Roma, 16 ottobre 1943

Pare che ogni terra, ogni popolo abbia paura di ospitare l’innominabile nell’eterno  riposo.

Non saprei se provochi più sdegno il massacro di  tante persone inermi alle Fosse Ardeatine o il fatto che egli non abbia mai mostrato un minimo segno di pentimento o  di pietà per le vittime, e abbia sempre  ostentato arroganza e superbia.

Roma non dimentica. Anch’io non dimentico quel 16 ottobre 1943.Queste targhe parlano da sé, come le pietre d’inciampo che si trovano  nella capitale, non solo nel ghetto ebraico, ma ovunque ci siano state vittime della violenza nazifascista, anche dinanzi ad alcune  caserme dei carabinieri  come quella di Via Giulio Cesare  ove ce ne sono 12. Il 7 ottobre duemila carabinieri italiani furono deportati da Roma nei campi di prigionia per tante ragioni, perché aiutarono i disertori o altre persone o perché ritenuti inaffidabili, in fondo l’8 settembre  giovanissimi allievi carabinieri andarono a combattere sul Ponte della Magliana e morirono  per difendere  Roma.

targa ghetto ebraico roma

 

“La mattina di sabato 16 ottobre 1943 le SS irruppero nel ghetto di Roma e deportarono circa 1040 persone ad Auschwitz. Ne tornarono solo 17. Su 288 bambini e ragazzi da 0 a 15 anni, ne sopravvisse solo uno, Enzo Camerino nato nel 1928. Tra 288 giovanissimi c’erano 10 ragazzi di quindici anni, 15 di quattordici, 19 di tredici, 17 di dodici,16 di undici, 17 di dieci,10 di nove,16 di otto anni e 16 di sette,23 di sei,21 di cinque,24 di quattro,23 di tre,25 di due anni e 13 di un anno. Con loro muoiono 2 bimbi di 10 mesi, uno di 9, due di 8,due di 7,5 di sei, 2 di  cinque mesi, due di 4, tre di tre mesi, uno di 15 giorni e un neonato venuto alla luce poche ore dopo l’arresto della madre. Si aggiungano un bimbo e una bimba dei quali non si conosce l’età.

targa casa settimio calò

 

Di mattina presto un merciaio ambulante, Settimio Calò di 44 anni, abitante nel Portico d’Ottavia n 19 uscì da casa per fare la coda in una tabaccheria. Al ritorno trovò la casa vuota: i tedeschi avevano portato via la moglie, Clelia Frascati di 43 anni, e i 10 figli: Bellina di 22 anni, Esterina di 20, Rosa di 18, Ines di 16, Raimondo di 14, David di 13, Elena di 11, Angelo di 8, Nella di 6, Lello Samuele di circa 6 mesi. Con loro anche il cuginetto Settimio di 12 anni che quella notte per caso era stato ospitato dai Calò. Morirono tutti nelle camere a gas appena arrivati ad Auschwitz il 23 ottobre 1943. (informazioni  tratte da “Il futuro spezzato- i nazisti contro i bambini”, di Lidia Beccaria Rolfi e Bruno Maida. Libro dedicato alla piccola Sissel Vogelmann e a tutti i bambini assassinati.)

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