La valigia

 

La valigia. Di cuoio, tela, plastica o metallo, con manici o rotelle, di varia grandezza per contenere quanto può esser utile in viaggio. Non è solo un accessorio ma anche un  testimone di quelle parentesi, più o meno incidenti, che formano il percorso della vita.

Viaggi unici o a cadenza periodica, con destinazione prefissata o senza meta e ritorno, viaggi di lavoro e di studio, di divertimento, di trasferimenti più o meno definitivi. Ho sempre osservato lungo le banchine dei porti e  delle stazioni , ai check – in degli aeroporti e in autostrada il bagaglio dei viaggiatori, talvolta per captare frammenti di esistenza.

Valigie violate  durante i controlli negli aeroporti, talvolta smarrite, valigie in attesa, allineate e solitarie, nella speranza che qualcuno, già disperato per aver perso gli effetti personali, le riconosca e le   riprenda. Valigie leggere di chi insegue riposo, svago e lavoro, di chi ama conoscere  luoghi, persone e culture diverse e valigie pesanti  di chi va oltre per lasciare certezze franate o  ricongiungersi ad affetti lontani, per sfuggire a realtà rivisitate con occhi diversi o per inseguire prospettive di vita migliore.

 Per anni ho immaginato una valigia  di cartone. Quella che lo accompagnò nel dopoguerra. Uno strano presentimento lo aveva indotto a  tornare a casa e scoprì che sua  madre, ancora giovane, da poche ore  era partita improvvisamente per un viaggio senza ritorno. Allora raccolse i ricordi, il senso di colpa per non averla accompagnata (ma non fu avvisato per timore che gli fosse troncata  la possibilità di  carriera in Accademia ), i sogni e le sue giovani forze di diciannovenne e partì con il fratello maggiore in cerca di fortuna. Il mare l’accolse e viaggiò per molto tempo e per lunghi periodi, inizialmente per lenire un dolore, poi per costruire un futuro alle sue sorelle e alla sua nuova famiglia.

 La sua valigia era sempre pronta: per partenze dovute ad emergenze  improvvise su navi negli oceani e nei porti di tutto il mondo. Una valigia foriera di imprevisti , distacchi e di attese…ma era certo che sarebbe tornato e che in tanti l’avremmo sempre aspettato.

Una volta fece una valigia per non abbassare ingiustamente  la testa in  controversie di lavoro. Scelse la lontananza ma poi mise umilmente da parte l’orgoglio per privilegiare gli affetti. Dopo tanti anni, quando temeva di lasciare tutto per sempre, ha cercato di giustificarsi. Gli ho risparmiato le parole. Non doveva  scusarsi. Ho apprezzato quel suo gesto , anche se allora lo interpretai con i moti del cuore in quanto ignara delle vere ragioni che mi furono spiegate anni dopo. Quella valigia esprimeva il tentativo di affermazione della sua dignità di persona oltre che di lavoratore, con un atto di rivolta soffocato poi dal ruolo di padre.A volte però si è più grandi nel sottomettersi mantenendo le distanze e assumendosi altre responsabilità, che nel mettere alle strette scappando.

 Più volte ho fatto e visto fare le valigie. Erano  piene di malinconica incertezza , solidi affetti e gagliarde speranze che hanno consentito di conoscere luoghi stupendi e persone speciali.

Sin da bambina ho avuto la mia valigia piena di magliette e costumi da bagno. L’aspettavo per tutto l’anno perché segnava la mia vacanza estiva a casa dei nonni, il mio recupero di radici, di aneddoti e racconti di capitani, missionari e di tante donne, di spensieratezza estiva e complicità  con i cuginetti che non volevo più lasciare a fine agosto.

Più tardi alla valigia seguì un borsone leggero pieno di libri, ideali, cambi di stagione e nostalgia di casa che si affievolì col tempo. Il ritorno quindicinale a casa, divenne via via sempre meno frequente:  mensile, trimestrale ed infine solo durante le feste comandate. Peregrinando in treno  su e giù per l’Italia mi sentivo un’apolide, o meglio  un’extracomunitaria di casa mia,  finchè finì il nomadismo studentesco e decisi di divenire stanziale, mettendo su famiglia, e dopo qualche anno iniziai a lavorare.

Ero una pendolare come tanti con una valigetta sempre piena di carte , di impegni e di corse contro il tempo. Dopo aver cambiato in quattro anni quattro sedi di lavoro e quattro case, traslocando con due pargoletti al seguito, proclamai solennemente che in futuro avrei viaggiato solo per divertimento e che il mio prossimo trasloco sarebbe stato solo per riposare beatamente in un loculo. Come non detto, perché la vita è imprevedibile.

 Così per un lungo periodo mi sono fermata per ammortizzare i frequenti cambiamenti, ma in casa mia c’è sempre una valigia pronta: la sua. Partenze, attese  e ritorni e  l’istinto di fare valigie…credo facciano ormai parte del nostro DNA, da generazioni. Ha contagiato anche i nostri figli che ora per motivi di studio e vacanza, domani per seguire orme ataviche, impazienti di partire preannunciano futuri viaggi.

 Memore ancora del mio girovagare per stazioni  e aeroporti a mo’ di peripatetica profuga, trascinando su un carrello i bagagli sui quali stavano ben appollaiati i miei figli irrequieti con tutto l’occorrente necessario per accudirli nei periodi di ricongiungimento familiare,  ora mi accontento di un semplice trolley per  pause periodiche, brevi  e di assoluto riposo a casa mia nel Nord. Sì perché i cambiamenti fanno parte della vita, c’è chi li sopporta e chi li cerca, e due anni fa non ho perso l’occasione di vivere nella bellissima Roma.

 Viaggiare non è solo interruzione, distacco o lontananza  da ciò che dà calore e certezza perché conosciuto, ma è scoperta del nuovo grazie a un’ottica diversa, senso di avventura e curiosità, “abbandono di un programma ordinario a favore del caso, rinuncia del quotidiano  per lo straordinario” (Herman Hesse).

È l’inizio di una  parentesi per costruire una vita interessante, dinamica e  mai monotona, per sentire l’alternanza della dolce melodia, che ancora al passato, e di ritmiche originalmente diverse, briose e allegre che fanno danzare  verso inesplorati orizzonti .  

“Viaggiare è come sognare: la differenza è che non tutti, al risveglio, ricordano qualcosa, mentre ognuno conserva calda la memoria della meta da cui è tornato.”   ( Edgar Allan Poe) manon smetteremo di esplorare. E alla fine di tutto il nostro andare ritorneremo al punto di partenza per conoscerlo per la prima volta.” (Thomas  Stearns Eliot), perché “il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi” (Voltaire).

 

 Dedicato a mio padre.

 

Donne del Risorgimento: Rose Montmasson e Giuditta Tavani Arquati

Il Risorgimento è stato un processo storico  complesso, un  intrigo di diplomazia  e  di alleanze, un’illuminazione  di ideali liberali che contagiò gli intellettuali, una partecipazione di  masse conquistate  dalla speranza di cambiamento e poi in parte disilluse. Tante sono le interpretazioni del Risorgimento, ma  certamente  ci fu una generale intraprendenza di tanti giovani che osarono combattere per ció in cui credevano. 

L’ideale di un’unica Italia, libera dagli stranieri, mosse i cuori e armò  le braccia, infervorò gli animi come la bella Gigogin quello del giovane  Mameli.

In occasione delle celebrazioni ufficiali per i 150 anni dell’unitá d’Italia sul  monumento commemorativo di Mameli, reso immortale dai versi del nostro inno nazionale,  c’erano fiori e corone, ma il cimitero monumentale del Verano  a Roma  custodisce le spoglie di altri patrioti e patriote, tra i quali non posso tralasciare  Rose Montmasson, piú nota come Rosalia Montmasson Crispi, l’unica donna che partecipò alla spedizione dei Mille.

 Rose Montmasson (1823-1904) , originaria della Savoia, giunse a Torino nel 1849 dove inizió a lavorare come lavandaia e stiratrice. Qui conobbe Francesco Crispi, un giovane rivoluzionario, esule in Piemonte dopo il fallimento dei moti rivoluzionari siciliani del 1848. Rose condivise col suo uomo una vita avventurosa. Prima lo seguì in esilio in Piemonte e a Malta, dove si sposarono, poi a Parigi ove rimasero finché non furono accusati di complotto con Felice Orsini, ed infine a Londra ove, nuovamente in fuga, raggiunsero Mazzini. Rientrati in Italia nel 1859, collaborarono per la realizzazione dello sbarco in Sicilia. Rose si recó con un vapore postale in Sicilia e a Malta per avvisare della spedizione dei Mille i patrioti siciliani e i rifugiati. Fece in tempo a rientrare a Genova e, contro la volontá  del marito, travestita da uomo s’imbarcó con le camicie rosse a Quarto.

Durante la battaglia di Calatafimi s’adopró per portare in salvo e curare i feriti, imbracciando il fucile se necessario. I siciliani la ribattezzarono Rosalia, nome che compare sulla sua lapide. 

Dopo l’unitá d’Italia cambiarono molte cose, anche i sogni. Crispi divenne parlamentare e abbandonó i repubblicani per schierarsi con i monarchici. Ben presto ripudió Rosalia, denunciando   l’irregolaritá del matrimonio, celebrato a Malta  da un prete sospeso a divinis per le sue simpatie patriottiche, e nel 1878 convoló a nuove nozze con Lina Barbagallo, un’aristocratica di Lecce dalla quale, cinque anni prima, aveva avuto una figlia. In effetti  Rosalia  consideró  la scelta politica del consorte un vero e proprio tradimento di quegli ideali che li avevano uniti e per i quali avevano combattuto insieme. Scoppió uno scandalo e  Crispi fu accusato di bigamia. In veritá fu poi assolto, ma non dalla regina Margherita di Savoia  che si rifiutó  di stringergli la mano e gli tolse il saluto.

 Rosalia rimase a Roma dove morí in povertá. La sua salma é in un loculo concesso gratuitamente dal Comune di Roma.

 

Un’altra patriota sepolta al Verano é Giuditta Tavani Arquati (1832-1867) che, incinta del quarto figlio, morí col marito , con il figlio dodicenne Antonio e altri cospiratori durante il massacro nel lanificio Ajani a Trastevere. La tentata insurrezione contro il governo di  Pio IX e  la mancata rivolta del popolo romano contro il Papa Re  anticiparono la disfatta garibaldina di Mentana del 1867. In effetti la vera unitá d’Italia si ebbe nel 1870 quando la breccia di porta Pia segnó la fine dello Stato pontificio.

Due anni fa ho celebrato e festeggiato il 150 ˚ dell’Unitá d’Italia  non solo con un tricolore esposto sul balcone, ma ho voluto ringraziare idealmente nel cimitero del Verano tutti coloro, e sono davvero tanti, che hanno contribuito alla storia e alla cultura dell’Italia. Dopo avere girovagato a lungo e letto  centinaia di lapidi (ahimé non basta la mappa), mi sono emozionata dinanzi al piccolo ritratto di Rosalia, l’ umile lavandaia che divenne un’intrepida patriota. In Via della Lungaretta 97 a Trastevere ho invece  scovato una targa e un busto che  ricordano  Giuditta Tavani Arquati, divenuta  il simbolo della lotta per la liberazione di Roma.

 

 

 Rosalia Montmasson e Giuditta Tavani Arquati sono due protagoniste del Risorgimento italiano, che sfidarono i tempi e i costumi con scelte di vita che  all’epoca dovevavo apparire- a dir poco-  inusuali. Entrambe tradite, piú che dalle dinamiche del cuore e del potere, soprattutto dalla storia… una storia che ancora oggi, a mio parere, risulta scritta e interpretata  dagli  uomini.

 

Le donne del Risorgimento

In occasione del 152° anniversario dell’Unità d’Italia riprendo post a me cari , scritti in occasione del 150°,  per ricordare  personaggi, a volte poco noti, del nostro Risorgimento.

 “Il Risorgimento delle donne. Da icona del patriottismo a patriota” è  un bellissimo  filmato  didattico realizzato da  Annalisa Costagli e Giacomo Verde che attraverso la pittura, scritti e foto hanno documentato la presenza attiva e  il contributo delle donne, di diversa estrazione socio-culturale, all’unità e all’indipendenza dell’Italia, alle prime forme di democrazia e alle pari dignità dei sessi.

 Protagoniste poco conosciute del Risorgimento, le donne operarono senza visibilità né  riconoscimento di ruoli politici, promuovendo nei salotti il  fermento intellettuale dell’epoca , partecipando alla lotta risorgimentale come combattenti e assistenti dei feriti, continuando a lavorare nei campi o in casa, in attesa di lettere o notizie dei familiari lontani.

In occasione della celebrazione dell’Unità d’Italia  è doveroso ricordare anche questo aspetto della storia italiana   perché come scrisse  Cristina Trivulzio di Belgiojoso nel 1866

 

“Vogliano le donne felici ed onorate dei tempi avvenire rivolgere tratto tratto il pensiero ai dolori ed alle umiliazioni delle donne che le precedettero nella vita, e ricordare con qualche gratitudine i nomi di quelle che loro apersero e prepararono la via alla non mai prima goduta, forse appena sognata, felicità!”

 Qui il link per “Il Risorgimento delle donne. Da icona del patriottismo a patriota”

 Buona visione!

La porta rossa

Il rosso capta l’attenzione, ferma la corsa, espelle nel gioco, segnala neutralità e tregua per aiuti umanitari, richiede intervento immediato per imminente pericolo di vita.

Il  rosso simboleggia l’amore romantico e quello carnale dei sensi che, come un vino corposo, inebriano e sfrenano, scaldano e suggellano legami. Indica un debito da pagare in denaro o già  saldato col sangue del martirio , della Passione, della rivoluzione  che cambiò la storia, di un toro che rincorre il drappo traditore. Il rosso stoppa e ammutolisce quando avvampa sulle guance  per eccessiva timidezza e vergogna in cuori sensibili e preziosi come rubini .

Rosso è il fuoco che dà luce e calore, purifica o distrugge .

 Rosso è il colore di una porta, simile ad altre, ma questa  volta è tanto rossa. Mi siedo di fronte e, mentre aspetto che si schiuda, il suo rosso cinabro mi attrae. Segna un confine tra la vita normale e quella sospesa. È un varco che all’ inizio si teme di oltrepassare. Incute soggezione. Lì davanti si perde ogni ruolo, ogni condizionamento, età, esperienza.  L’anima si contrae nella sua nudità.  Si veste di speranza mentre il corpo scompare sotto un camice verde per accedere al limbo. 

L’atmosfera ovattata della sala regala risposte alle vanità di tutti i giorni. Non è un mondo fatato ma lì si riesce a credere a ogni benefico incantesimo e a trovare parole magicamente banali per distrarre e infrangere quella densità emotiva che paralizza. Poi l’anima  si riveste dei soliti panni  e, allontanandosi da quella frontiera, respira, si distende, si allarga,  diventa  leggera e più forte. E ogni cosa  è ridimensionata nei suoi colori e spessori, perché quella porta cambia prospettiva, recupera e filtra l’essenza della vita rendendola linearmente semplice e lieve.

 

Il grande pi greco

 

La data  14 marzo richiama il 3,14 cioè il  ᴫ (pi greco) ed è un giorno dedicato all’affascinante Signor ᴫ

Il grande pi greco

 

 Degno di meraviglia è il numero pi greco

tre virgola uno quattro uno.

Le sue cifre seguenti sono ancora tutte iniziali,

cinque nove due, perché non ha mai fine.

Non si fa abbracciare sei cinque tre cinque con lo sguardo,

otto nove con il calcolo,

sette nove con l’immaginazione,

e neppure tre due tre otto per scherzo, o per paragone

quattro sei con qualsiasi cosa

due sei quattro tre al mondo.

Il più lungo serpente terrestre dopo una dozzina di metri s’interrompe.

Così pure, anche se un po’ più tardi,  fanno i serpenti delle favole.

La fila delle cifre che compongono il numero Pi greco

non si ferma al margine del foglio,

riesce a proseguire sul tavolo, nell’aria,

su per il muro, il ramo, il nido, le nuvole, diritto nel cielo,

per tutto il cielo atmosferico e stratosferico.

Oh come è corta, quasi quanto quella di un topo, la coda della cometa!

Quanto è debole il raggio di una stella, che s’incurva nello spazio!

Ed ecco invece due tre quindici trecento diciannove

il mio numero di telefono il tuo numero di camicia

l’anno mille novecento settanta tre sesto piano

numero di abitanti sessanta cinque centesimi

giro dei fianchi due dita una sciarada e una cifra,

in cui vola vola e canta, mio usignolo

e si prega di mantenere la calma,

e così il cielo e la terra passeranno,

ma il Pi greco no, quello no,

lui sempre col suo bravo ancora cinque,

un non qualsiasi otto,

un non ultimo sette,

stimolando, oh sì, stimolando la pigra eternità

a durare.

 

Wislawa Szymborska

Da Cicatrici di guerra: il Clan delle Cicatrici

Una delle tante ragioni per cui ho iniziato a scrivere riguarda  la violenza contro le donne per raccontare, commentare , indignarmi sulle tante forme di discriminazione, abuso, maltrattamento, intolleranza contro la donna, alcune abiette e lontane , altre più subdole e sottili . Pian piano riprenderò questo tema, purtroppo sempre attuale.

Il femminicidio in atto è più evidente e denunciato, e non bastano solo le parole per fermarlo e interventi giudiziari per reprimerlo. Occorre una cultura che promuova il rispetto dell’identità di genere,  basata sull’ affettività e sul riconoscimento delle rispettive diversità, emozioni e sentimenti,  che insegni a trasporsi nell’ altro, per prevenire la violenza non solo contro le donne, ma contro tutti coloro ritenuti diversi o comunque percepiti come contrapposti. La rabbia latente esplode con un’aggressività che rivela l’incapacità di gestire le proprie emozioni e riconoscere quelle altrui non solo  in fondamentali svolte di vita, ma anche  in occasione di una partita di calcio o di  un parcheggio negato.

 Spesso in  occasione della Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne ho esortato a uscire dal silenzio .Oggi parlo del segreto, di quelle cose che  le donne non riescono a  dire ma, se svelate, con consapevolezza e aiuto-  ascolto esterno, può consentire alle vittime di violenza a recuperare l’istinto alla vita, quello che Clarissa Pinkola Estés nel saggio “Donne che corrono coi lupi” ed Frassinelli , definisce la Donna Selvaggia intesa come forza psichica potente, istintuale e creatrice, a volte soffocata da paure, insicurezze e stereotipi.

Non basta segnalare il  crimine, occorre trovare dentro di sè la forza di svelare il segreto per poter reagire. Ci sono strutture e persone in grado di recepire e aiutare nei centri anti violenza. Tante sono le denunce ma  un’esigua percentuale di donne si presenta ai colloqui per una consulenza psicologica, sebbene sia tutelata la loro privacy, perché permane non solo la paura di ritorsioni ma soprattutto la remora di svelare il segreto, di rivivere l’esperienza dolorosa.  Parlare ed elaborare il lutto ci fanno risorgere dalla zona morta, ci consentono di lasciarci alle spalle il culto mortale dei segreti. Dal lutto usciremo bagnate dal pianto non dalla vergogna. Solo così forse si  potrà tornare a vivere, anche se cambiate. È un atto d’amore  verso noi stesse oltre che una testimonianza utile per tutti.

 Da Cicatrici di guerra:il Clan delle Cicatrici 

 Le lacrime sono un fiume che vi conduce a qualche parte. Il pianto crea attorno alla barca un fiume che porta la vostra vita- anima. Le lacrime sollevano la vostra barca al di sopra degli scogli, delle secche, portandovi in un posto nuovo, migliore.

Esistono oceani di lacrime che le donne non hanno mai pianto, perché sono state addestrate a portare i segreti della madre e del padre, i segreti degli uomini, i segreti della società, e i loro segreti giù nella tomba. Il pianto della donna è stato considerato piuttosto pericoloso, perché allenta le serrature e i chiavistelli sui segreti che porta. In verità, per il bene dell’anima selvaggia, è meglio piangere. Per le donne le lacrime sono l’avvio dell’iniziazione nel Clan elle Cicatrici, questa tribù eterna di donne di ogni colore, di tutte le nazionalità, di tutte le lingue, che attraverso le epoche hanno vissuto qualcosa di grande, e hanno conservato l’orgoglio.

Tutte le donne hanno storie personali ampie nella portata e possenti nel numen, come nelle favole. Ma c’è un tipo di storia, in particolare, connessa con i segreti delle donne, specie quelli legati alla vergogna; contengono alcune delle storie più importanti cui una donna possa dedicare il suo tempo.

Per la maggior parte delle donne queste storie segrete sono incastonate non come pietre preziose in una corona, ma come nera ghiaia sotto la pelle dell’anima.

…i segreti di un maggior numero di donne riguardano la violazione di un codice sociale o morale della cultura, della religione, o del sistema personale dei valori. Alcuni di questi atti, eventi, scelte, in particolare e connesse alle libertà femminile in tutti gli aspetti dell’esistenza, erano spesso considerati dalla cultura vergognosamente sbagliati per le donne, ma non per gli uomini.

Il problema delle storie segrete avvolte nella vergogna è che separano la donna dalla sua natura istintiva, che è prevalentemente gioiosa e libera. Quando nella psiche c’è un oscuro segreto, la donna non può avvicinarsi a esso, e anzi si protegge da qualunque contatto con ciò che potrebbe rammentarglielo o far sì che la sofferenza già cronica diventi ancora più intensa…..

 

Di solito i segreti presentano gli stessi temi che si ritrovano nei drammi…i segreti, come le fiabe e i sogni, seguono inoltre gli stessi modelli e le stese strutture del dramma. Ma i segreti, invece di seguire la struttura eroica, seguono la struttura tragica. Il dramma eroico  inizia con un’eroina in viaggio. Talvolta non è desta da un punto di vista psicologico. Talvolta è troppo gentile e non percepisce il pericolo. Talvolta è già stata maltrattata e si abbandona alle mosse disperate della creatura in cattività. Comunque inizi, l’eroina cade poi negli artigli di qualcosa o qualcuno, e viene amaramente messa alla prova. Poi, grazie alla sua intelligenza e alle persone che di lei si curano, viene liberata e si leva più alta.

Nella tragedia l’eroina è ghermita, costretta, o portata agli inferi e poi sopraffatta, mentre nessuno ode le sue grida,ovvero le sue implorazioni vengono ignorate. Perde la speranza, perde il contatto con la preziosità della sua vita, e crolla…Il modo per ritrasformare una tragedia in dramma eroico  è svelare il segreto, parlarne con qualcuno, scrivere un altro finale, esaminare la parte in esso avuta e i propri attributi nel reggerlo. Si scoprono in pari misura dolore e saggezza…

 La persona che ha conservato un segreto a proprio detrimento resta sepolta dalla vergogna. In questa condizione universale, il modello medesimo è archetipo:l’eroina è stata costretta a fare qualcosa oppure, per la perdita dell’istinto, è rimasta intrappolata in qualcosa. Tipicamente, è impotente di fronte alla triste situazione. È in qualche modo legata alla segretezza da un giuramento o dalla vergogna. Si adatta per paura di perdere l’amore, il rispetto, la sussistenza esistenziale. Le donne sono state avvertite che taluni eventi, scelte e circostanze della loro esistenza, di solito connessi al sesso, all’amore, al denaro, alla violenza e/o ad altre difficoltà imperversanti nella condizione umana, sono estremamente vergognosi e pertanto non degni di assoluzione….

Nell’archetipo del segreto, un incantesimo viene gettato come una rete nera su parte della psiche femminile, e lei viene spinta a credere che il segreto non dovrà mai esser rivelato, e inoltre deve credere che, se lo rivelerà, tutte le persone per bene con le quali avrà a che fare l’ insulteranno per l’eternità. Questa ulteriore minaccia, insieme alla vergogna, fa sì che la donna non porti un fardello solo ma due.

Questo minaccioso incantesimo è un passatempo solamente tra le persone che occupano uno spazio angusto e nero nei loro cuori. Tra le persone che provano amore e calore per la condizione umana, è vero il contrario. Aiuteranno a disseppellire il segreto, perché sanno che produce una ferita che non si rimarginerà finchè alla cosa non saranno dati voce e testimone…

 

La donna dai capelli d’oro. 

C’era una volta una donna strana ma assai bella dai lunghi capelli d’oro sottili come grano filato. Era povera, non aveva né madre né padre, e viveva da sola nei boschi e tesseva su un telaio fatto con rami di noce scuro. Un tipo brutale, che era figlio del carbonaio, cercò di costringerla al matrimonio, e lei nel disperato tentativo di comprarne la rinuncia, gli regalò una ciocca di capelli d’oro.

Ma lui non sapeva o non si curava del fatto che era oro spirituale, non denaro, quello che gli aveva dato, e quando volle vendere i capelli come una qualsiasi mercanzia al mercato, la gente lo canzonò e pensò che fosse pazzo.

 

In collera, di notte tornò alla capanna della donna, la uccise con le sue mani e ne seppellì il corpo accanto al fiume. Per molto tempo nessuno si accorse della sua assenza. Nessuno si curava del suo cuore e della sua salute.Ma nel sepolcro i capelli d’oro della donna presero a crescere e a diventare sempre più lunghi. I magnifici capelli ondulati si sollevarono in spire attraverso la terra nera, e crebbero sempre di più fino a ricoprire la tomba di un campo di ondeggianti giunchi d’oro.I pastori tagliarono i giunchi per farne flauti, e quando presero a suonarli, i piccoli flauti cantarono e non smisero più di cantare.

 

Qui giace la donna dai capelli d’oro

Assassinata e nel suo sepolcro,

uccisa dal figlio del carbonaio

perché desiderava vivere.

 

E così l’uomo che aveva tolto la vita alla donna ai capelli d’oro fu scoperto e portato in giudizio,e coloro che vivono nei boschi selvaggi del mondo, come facciamo noi, furono di nuovo al sicuro.

 Se il messaggio manifesto è l’invito a stare attenti quando ci si trova nei luoghi solitari del bosco, il messaggio profondo è che la forza vitale della bella donna solitaria, personificata nei capelli continua a crescere e a vivere e a emanare conoscenza conscia anche se tacitata e sepolta…Questo frammento è bello e prezioso, e inoltre ci parla della natura dei segreti e anche, forse, di che cosa viene ucciso nella psiche quando la vita di una donna non è tenuta nel debito conto. In questo racconto, l’assassino della donna che vive nei boschi è il segreto. Lei rappresenta una kore, quell’aspetto della psiche femminile che è la donna-che-non –si-sposerà-mai. La parte della donna che vuole stare in solitudine è mistica e solitaria in un modo bello, ed è occupata a selezionare e tessere idee, pensieri e imprese. È questa donna solitaria e ripiegata su se stessa che è soprattutto ferita da traumi o dal dover mantenere un segreto… questo senso integrale dell’io che ha bisogno di avere poco attorno per essere felice; questo cuore della psiche femminile che tesse nel bosco sul telaio di noce scuro, ed è in pace.

Nella favola nessuno indaga sull’assenza di questa donna vitale…Non è insolito nelle favole né nella vita reale…

Spesso la donna che ha dei  segreti incontra la medesima reazione. Sebbene la gente percepisca talvolta che al centro il suo cuore è trafitto, per caso o intenzionalmente chiude gli occhi sulla sua evidente ferita.

Ma in parte il miracolo della psiche selvaggia è che, per quanto una donna sia “uccisa”, sebbene sia ferita, la sua vita psichica continua , e risale in superficie, cresce, e nei momenti di pienezza canta, canta. Allora l’ingiusto male subito viene appreso a livello conscio, e la psiche inizia la ricostruzione.

 È interessante non vi pare? che la forza vitale di una donna possa continuare a crescere anche se lei è apparentemente senza vita. È la promessa che anche nelle condizioni più misere la vitale forza selvaggia manterrà vive e fiorenti le nostre idee, anche se, per un po’, sotto terra. Col tempo riusciranno a spuntare. Questa forza vitale non lascerà tutto quieto finchè non saranno rivelate le circostanze e il luogo del delitto.

Come per i pastori della storia, ciò implica respirare profondamente e liberare il respiro- dell’anima o pneuma attraverso le canne, per conoscere come stanno veramente le cose nella psiche e che cosa bisognerà fare. Occorre cantare. Il lavoro di scavo seguirà…

Quando una donna mantiene un segreto vergognoso, l’enorme quantità di auto biasimo e tortura che deve sopportare è tremenda a vedersi…La donna selvaggia ( con istinto alla vita) non può vivere così. I segreti vergognosi diventano ossessivi…sono come un filo spinato che le si stringe attorno alle budella se cerca di liberarsi. Sono distruttivi non soltanto per la sua salute mentale, ma anche per le sue relazioni con la DonnaSelvaggia. La Donna selvaggia scava, getta tutto per aria, mette in fuga. Non seppellisce né dimentica. Se per caso seppellisce, rammenta che cosa e dove, e ben presto si preoccuperà di dissotterrarla.

Questa favola e altre simili sono medicamenti da applicare a queste segrete ferite; sono un incoraggiamento, un consiglio e una risposta. Dietro alla saggezza della favola sta il fatto che, nelle donne come negli uomini,le ferite inferte all’io, all’anima e alla psiche con i segreti o altro, fanno parte dell’esistenza dei più. Né può essere evitata la cicatrizzazione. Ma esistono delle cure, ed è assicurata la guarigione…Reprimere il materiale segreto circondato dalla vergogna, dalla paura,dal senso di colpa o dall’umiliazione in effetti sbarra tutte le altre parti dell’inconscio prossime al luogo del segreto….Se tuttavia una donna desidera serbare i suoi istinti e la capacità di muoversi liberamente nella psiche, può rivelare il suo o i suoi segreti a un essere umano degno di fiducia, tutte le volte che lo ritiene necessario. Di solito una ferita non viene disinfettata e poi abbandonata a se stessa:viene pulita e medicata più volte mentre va guarendo… Chi lo ascolta lo fa col cuore aperto e trasale, rabbrividisce, prova quel dolore senza crollare…così una donna comincia a riprendersi dalla vergogna ricevendo il soccorso e le cure che le mancarono al momento del trauma…ma rimarrà certo una cicatrice. Al cambiare del tempo la cicatrice dorrà ancora. Questa è la natura del vero lutto… Quando un segreto non viene confidato il lutto continua, per tutta la vita. …Parlare ed elaborare il lutto ci fanno risorgere dalla zona morta, ci consentono di lasciarci alle spalle il culto mortale dei segreti. Dal lutto usciremo bagnate dal pianto non dalla vergogna.

 

Nel lutto,  la Donna Selvaggia sarà con noi. Lei e l’Io istintuale. Può sopportare le nostre urla, i nostri lamenti e il nostro desiderio di morire senza morire. Applicherà i migliori medicamenti là dove il dolore è più  insopportabile…Proverà dolore per il nostro dolore, e lo sopporterà, senza fuggire. Anche se molte saranno le cicatrici, è bene ricordare che, nella resistenza alla tensione e alla pressione, la cicatrice è più forte della pelle.

 

Donna non sempre è… danno!

Tutti gli uomini a prescindere dall’ estrazione socio- culturale e dalle coordinate spazio-temporali , si trovano prima o poi a confrontarsi con una donna e anche, almeno una volta nella vita, a dovere fronteggiare le ire di una donna. Forse per alcuni sarebbe più semplice destreggiarsi in una mareggiata che in una miriade di scuse e argomentazioni nel tentativo di ammansire la ferina dolce metà  che, chissà perché, quando si adira ha una luce diversa negli occhi che la rende più bella e disarmante. Forse alcuni uomini riuscirebbero maggiormente ad orientarsi in una foresta tropicale che nei meandri della mente femminile, incapaci di capire che cosa possano avere mai detto di così grave da provocare un terremoto emotivo o che cosa mai sia stato interpretato come offensivo. Altri potrebbero sostenere fatiche immani di intensi ed estenuanti allenamenti sportivi ma rinuncerebbero a contenere e respingere le continue minacce, più o meno velate, sarcastiche, vendicative di una donna indignata.

Ma come sono le donne? Io le vedo così.

Donne- streghe sensuali e passionali, le più belle del reame che ammiccano da una foto, muse ammalianti del bel canto, della danza e dell’arte, donne disinvolte nella loro bruttezza cui fanno da contrappasso il sarcasmo e l’arguzia. Donne teneramente materne e donne matrigne che in una logica innaturale uccidono o vendono i loro piccoli, che rifuggono o inseguono il desiderio di maternità. Donne senza più lacrime per i figli massacrati o dai grandi occhi scuri, regalmente e dignitosamente mute e scarne in cerca di acqua e di un sostentamento nei deserti;  alcune precipitate in fondo al mare, altre mercificate, sbattute su una strada, ma tutte abbagliate dalla stessa mendace promessa di una vita migliore. Donne ancorate alla fede e ai ricordi, mutilate da riti tribali e lapidate dal fanatismo religioso che mai potranno ammutolire i loro pensieri e le loro anime.

Donne alla ricerca di qualcosa o che hanno perso irrimediabilmente qualcosa, tradite dal tempo e sospese tra sogni e realtà, esauste ed entusiaste, sfrenate e disinvolte, fiere della loro ostentata nudità di corpo e di mente, conformiste dell’apparenza che si uniformano a stereotipati canoni estetici e anticonformiste dell’interiorità, donne solari e donne ombra , coraggiose o coraggiosamente vili, rassegnatamente incapaci di decidere e di reagire in un rapporto simbiotico con chi le vìola o aggressive e forti della loro dignità e dei loro ideali. Donne capaci di re-inventarsi con fantasia e voltare pagina per ricominciare o fossilizzate e timorose di fare il passo; lungimiranti se scelgono, dando astutamente l’impressione di essere scelte, o cristallizzate. Donne intraprendenti protagoniste da prima fila e donne silenziose, semplici comparse della quotidianità , donne di classe e declassate da chi toglie loro la stima e la speranza, donne che analizzano ma non fanno sintesi,vivacemente ironiche, loquaci e frizzanti, veramente sincere e sinceramente false, escluse dal pubblico ma elette a regine nel privato, sensibili e aperte alla vita ma gelose dei propri sentimenti. Donne accecate dalla rabbia e donne dagli occhi belli, limpidi e sognanti , serene e felici o malinconicamente sorridenti.
Tante donne tra tutti, poche Donne tra tante. Creature sensibili, vitali, sensualmente contagiose,energiche per la capacità di farsi carico di tanti ruoli, romanticamente ingenue se innamorate, forti della loro maturità e fragili nell’ acerba e dolce immaturità.

Siamo una perpetua contraddizione ma anche la più viva e completa armonia dell’universo, una luce che brilla. Ovunque!

 

P.S. non potevo non ripubblicare uno dei miei primi post.  :)

Il mare

Mare che separa e unisce terre, popoli e cuori, culla di grandi civiltà e dei primi o ultimi  respiri, depositario di lacrime e rabbia, di sogni e di risa. Patrimonio universale, orizzonte infinito di chi scruta oltre, di chi sfida l’ ignoto e la vita, patria comune di chi strappa le proprie radici.

Il suo richiamo è silenziosamente forte; lo sentì bene Ulisse che sfidò i limiti della conoscenza, abbandonandosi alle sue correnti. E lo sentono  ancora tutti quelli che partono, con gli occhi spalancati sullo stesso miraggio di una vita migliore al di là di ogni confine terrestre.

Mare cui si affidano coloro che non riescono a vivere senza, affascinati dalla sua voce, per un destino che scorre nel sangue da generazioni. Quella voce che pochi riescono a captare e a capire. Il suo sussurro muto entra dentro, ti appartiene e ti guida con un istinto primordiale ed  eterno.

Mare che accoglie lo stupore ingenuo e la gioia spontanea dei bambini, mare maestoso da rispettare, che innalza e sprofonda, avvolge, travolge e cattura. Indomito e  ribelle atterrisce  e distrugge ma restituisce ogni cosa ai fondali segreti e alle rive assolate.

Mare saggio, materno e fonte di vita, origine e fine di ogni cosa. Immensità da esplorare, da domare, da sfidare nella propria volontà di potenza. Energia vitale e  quiete passiva.

Nel mare la consapevolezza di essere sospesi  tra due infiniti  incommensurabili, quello del cielo e quello degli abissi. E solo allora  comprendi   che non sei altro che  una piccola scheggia di vita  destinata a perdersi nel breve passaggio tra i  due  mondi.

Mare in cui  ritrovare la propria essenza per potere immergersi poi nella vita di tutti i giorni…nel proprio mare.

 

Caro amico ti scrivo così mi distraggo un po’ e siccome sei molto lontano, più forte ti scriverò…

Lucio Dalla. Lo ricordo da sempre. Ricordo la sua esibizione al festival di Sanremo con 4 marzo 1943 che determinò l’acquisto di uno dei miei primi dischi. Per me , nata agli inizi degli anni ’60, le sue canzoni hanno accompagnato la mia vita, soprattutto  gli anni in cui si ama sognare e si temono un po’ le incognite del futuro. Ha scrutato spesso il mare, quel mare così altero che però unisce popoli e cuori, custode della vita primordiale, di abissi e di pensieri profondi , a volte fastidiosi, che indomabili e silenziosi sgusciano sotto la sua protezione.

Quanti grandi poeti della musica abbiamo avuto in Italia; alcuni speciali, veramente grandi, sempre attuali. Che forza comunicativa hanno le canzoni! A volte può più una canzone che cento discorsi; arriva ovunque, a tutti. Spesso sembra banale, ma se ripeti il testo t’accorgi che dentro c’è tanto. Dalla, un musicista alla continua ricerca di nuove sperimentazioni musicali, ci ha cantato. Per cinquant’anni  ha cantato i ragazzi di sempre, schiarendo i pensieri e le emozioni  in cui più generazioni si riconoscono. Con la sensibilità e l’intelligenza  del  poeta ha captato gli occhi di tanti e colto le diverse forme della solitudine e della paura, l’ebbrezza delle passioni, i continui quesiti sul futuro, sulla vita, su dio, sul potere riconoscendo l’umanità  ed una  speranza che può nascere dalla forza dell’amore e dell’unione perché “Io credo che il dolore ci cambierà ….e dopo chi lo sa se ci vedremo in quale città,  l’amore ci salverà”(Henna) e se “questa vita è una catena/qualche volta fa un po’ male/guarda come son tranquillo io/anche se attraverso il bosco/con l’aiuto del buon dio/stando sempre attenti al lupo”

Ha cantato l’istinto alla vita per quel figlio che nascerà e non avrà paura/ chissà come sarà lui domani/ su quali strade camminerà… e se è una femmina si chiamerà futura./ Il suo nome detto questa notte/ mette già paura/sarà diversa, bella come una stella/ sarai tu in miniatura ….

Perché la vita continua, anche  se cambia lo scenario sul palcoscenico della vita, e ricomincia daccapo.

In un’intervista dichiarò “Ma dove sto meglio è Napoli. La città dove la mia creatività si esalta”. Lo ricordo con il panama e gli occhialini tondi seduto ad un tavolino del Fauno, in piazza Tasso a Sorrento. La splendida veduta sul golfo di Napoli, che si può ammirare dall’Hotel Vittoria dove soggiornò, gli ispirò la famosa Caruso.

Per noi che viviamo lontano, portandoci negli occhi la bellezza di quei luoghi  e nelle nostre radici  la fortuna e la maledizione del mare, quei versi sono stati un po’ il leitmotiv di un’età più matura.

“Potenza della lirica dove ogni dramma è un falso

che con un po’ di trucco e con la mimica puoi diventare un altro

ma due occhi che ti guardano, così vicini e veri

ti fan scordare le parole, confondono i pensieri

così diventa tutto piccolo, anche le notti là in America

ti volti e vedi la tua vita come la scia di un’elica…”

 

A Lucio Dalla dedico questo mare, un modo come un altro per ringraziarlo perché, come ci siamo detti io e consorte,  “Siamo cresciuti con le sue canzoni” . Forse è vuota retorica, come tuonerà la solita critica dei divergenti, ma è anche la  constatazione del nostro  ennesimo giro di boa e di quel periodico bilancio con domande, che rendono così intensa e speciale la vita.

 

Cosa sarà

che fa crescere gli alberi e la felicità,

che fa morire a vent’anni anche se vivi fino a cento.

Cosa sarà a far muovere il vento a far fermare il poeta ubriaco

a dare la morte per un pezzo di pane o un bacio non dato

Oh cosa sarà,

che ti svegli al mattino e sei serio

che ti fa morire di dentro di notte

all’ombra di un desiderio,

Oh cosa sarà,

che ti spinge ad amare una donna bassina e perduta

la bottiglia che ti ubriaca anche se non l’hai bevuta.

 

 Cosa sarà che ti spinge a picchiare il tuo re

che ti porta a cercare il giusto dove giustizia non c’è.

Cosa sarà che ti fa comprare di tutto

anche se è di niente che hai bisogno

cosa sarà, che ti strappa dal sogno.

Oh cosa sarà,

 che ti fa uscire di tasca dei no, non ci sto

che ti getta nel mare e ti viene a salvare,

Oh cosa sarà,

che dobbiamo cercare, che dobbiamo cercare.

 

Cosa sarà che ci fa lasciare la bicicletta sul muro

e camminare la sera con un amico a parlare del futuro.

Cosa sarà questo strano coraggio, paura che ci prende

e ci porta ad ascoltare la notte che scende.

Oh cosa sarà…Quell’uomo e il suo cuore benedetto

che è sceso dalle scarpe e dal letto,

si è sentito solo.

È come l’uccello che è in volo,

come l’uccello che è in volo si ferma e guarda giù.

 

(Dall’album “Lucio Dalla”, 1979)

 

Le opere, dedicate a Lucio Dalla, sono state esposte in una sezione della mostra “Terra, Acqua e Fuoco” del 2012 

Un pezzo di una Napoli diversa, dove l’umanesimo o diventa umanità, o muore.

Il libro  “Rione Sanità”, storie di ordinario coraggio e di straordinaria umanità, di Cinzia Massa e Vincenzo Moretti- Ediesse, collana Cartabianca , è un  excursus di testimonianze, esperienze di vita, voglia di riscatto  in  tante iniziative che  nel tempo  possono davvero incidere  su un contesto  socio culturale complesso.

Napoli e provincia ( da Pozzuoli a Sorrento) consta circa di quattro milioni di abitanti e su cinque chilometri quadrati vivono i 50000 abitanti del Rione Sanità.  La Sanità non vive solo di storie di criminalità ma anche di storie belle non reclamizzate.  Il cimitero delle Fontanelle è stato riaperto grazie all’occupazione della gente del rione che si è anche “ appropriata” del parco di San Gennaro, destinato ai bambini,  che per lungaggini burocratiche  non veniva a aperto. 

 Da tempo qui  operano  associazioni molto attive di volontari  profondamente motivati,  che si sono  sentiti mortificati nelle proprie radici e hanno deciso di fare qualcosa per la propria città. Come  Ernesto Albanese che ha messo insieme alcuni napoletani, residenti  tra Roma e Milano, e ha  fondato  “L’Altra Napoli” investendo  competenze manageriali per attuare un progetto operativo in rete  sul territorio. Dove? Alla  Sanità che pur avendo tutti i problemi dei quartieri degradati, ha straordinarie potenzialità, non solo nel patrimonio  storico ed artistico che si sta valorizzando, ma soprattutto nell’antica umanità dei napoletani, purtroppo mai ricordata  perché non fa notizia , ed ormai scomparsa  nelle periferie suburbane dominate da  altri traffici. Così quest’associazione ha  procurato finanziamenti, si è coordinata con altre associazioni presenti nel rione, ha promosso il turismo, spettacoli, iniziative, ha  incentivato la formazione dei giovani e  dei giovanissimi cercando esperti, volontari, spazi di aggregazione, supportando le due  “istituzioni” più sentite , cioè la famiglia e la scuola. Le altre istituzioni sono latitanti e si ricordano dei  popolosi rioni solo come bacino elettorale.

Qui sono molto attivi  uomini di chiesa che operano cercando di responsabilizzare  i  giovani, dando loro orientamento e fiducia . Come  Padre Antonio Vitiello dell’Associazione Centro La Tenda che dal 1981 si occupa di coloro che vivono per strada, aiutato dalla gente del posto “che sa guardare al disagio non  solo con gli occhi di chi si difende , ma anche di chi sa compatire”, in un rione ove convivono tutti : il disoccupato, l’operaio, l’impiegato, l’artista, il nobile, il delinquente.

  Padre Alex Zanotelli di “La casa nel campanile”  promuove la cultura della solidarietà e una fede che porta ad un impegno concreto sul territorio contro un’atavica e passiva rassegnazione; la speranza sta nel mettersi insieme, di fare unione e rete tra tutte le realtà della Sanità per  autogestirsi laddove le istituzioni hanno fallito e sono percepite dall’altra parte della barricata  in una sorta di incomunicabilità. 

 Affetto, prendersi cura e in carico  di chi ha bisogno è la  ricetta perchè le nuove generazioni  crescano con un senso di identità e speranza . L’Associazione “ La Casa dei Cristallini”, nata grazie a padre  Antonio Loffredo , oggi opera anche con volontarie in un contesto ove esiste tutto il campionario del disagio sociale,  supportando la  genitorialità e accogliendo i bambini con attività ludiche e di doposcuola.  Sia  “La Casa dei Cristallini”  che “L’Altra Casa ” contattano e coinvolgono le famiglie, soprattutto le mamme, che giovanissime giocano per necessità con un bambolotto in carne ed ossa, spesso poi affidato alle nonne. Le aiutano ad acquisire consapevolezza, a formarle, ad accudire i piccoli, a conseguire  il diploma di scuola  media, a cercare lavoro,a scoprire  altre realtà affinchè  escano dal loro mondo  e riconoscano la loro ricchezza, come Vittoria  che, dopo avere iniziato a lavorare a otto anni  al seguito della mamma,  ha scoperto la fotografia che è diventata la sua professione. Il fine di queste associazioni è coinvolgere i ragazzi dandogli l’arma della parola, rendendoli protagonisti del cambiamento.

  Padre Antonio Loffredo nella basilica di Santa Maria la Sanità ha dato input a molte associazioni, ha incoraggiato “La Paranza”, una  cooperativa di giovani, che s’impegnano come guide turistiche, elettricisti, artigiani ed  assistenti, proponendosi come un piccolo esempio di legalità  per i più giovani. “ I giovani hanno capacità di fare e pensare, da loro partirà una rivoluzione di coscienze, dei cervelli, dei comportamenti in un processo di  liberazione e di autonomia” per una graduale crescita collettiva.

I risultati si vedono nell ‘Orchestra giovanile “Sanitansamble” , nata  col musicista   Maurizio Baratta che in tre anni  è riuscito ad appassionare 34 ragazzi, dai 7 ai 13 anni, allo studio di uno strumento musicale, affidato loro come un figlio, una persona cara cui pensare. Ragazzi che imparano regole e  affrontano i problemi in gruppo. Non riuscendo a rispondere alle numerose richieste di partecipazione all’orchestra, il maestro ha pensato di organizzare un coro con un centinaio di bambini e ragazzi .

Sott’o ponte” è  una compagnia teatrale di un centinaio di ragazzi, nata nel 1993 con don Sebastiano Pepe e dal 1999 diretta da Vincenzo Pirozzi che aveva mosso i primi passi in questa compagnia diventando poi attore e regista. “È importante che i ragazzi possano scegliere, non vedere vincere solo il male, ma avere l’opportunità di esprimersi  e tirare fuori ciò che hanno dentro attraverso la danza, il teatro, la cinematografia, la musica  per  conoscersi e  riconoscersi nei propri punti di debolezza e di forza,  imparando ad usarli.”

Tante altre sono le associazioni e le iniziative di una Napoli civile e solidale di uomini e donne che investono tempo, energie e passione in una impegnativa  scelta di vita per gli altri.

“Certo. Bisognerebbe parlare con tutti. Uno ad uno. Bisognerebbe chiamarli a uno ad uno per dire noi siamo questi. Siamo la semplicità, siamo le persone che la mattina si svegliano, portano i figli a scuola, vanno a lavorare, tornano, hanno sempre qualcuno a cui dare retta, sicuramente noi non siamo come quelli del mulino bianco, nella vita non funziona come nella pubblicità.

Se ne rende conto anche lei. E’ un sogno. Ma una volta il vento ha portato da un posto lontano una voce che diceva che quando si sogna da soli è un sogno. Quando si sogna in due comincia la realtà. Sinceramente, io un po’ ci spero.”

 L’umanità della Sanità può aiutare a sconfiggere la povertà, l ’ignoranza, la sfiducia e dare speranza di un cambiamento. Un cambiamento in atto che si deduce da quanto hanno scritto   i giovani della cooperativa La Paranza qui :

“Sanità, inafferrabile, incostante bellezza, uno di quei posti dove l’umanesimo o diventa umanità, o muore. Chi ama la Sanità ci resta. Qui è davvero Napoli, tremendum fascinans, qui una sottile magia ti trattiene, affatturato. Qui la gente bellissima e orgogliosa, ti discopre inattese tenerezze, così che, in fondo, ti spiacerebbe andartene. Qui potresti scrivere una storia, in bilico tra l’umile e il sublime, che forse nessuno leggerà, ma ti potrà accadere la ventura di essere capito, e t’ameranno”