Street art a Roma: “You are now entering Free Quadraro” (Lucamaleonte)

Nei primi decenni del ‘900 la rivoluzione messicana contro il dittatore Porfirio Diaz si attuò anche con i murales  pro marxismo di Diego Rivera, José Clemente Orozco e David Alfaro Siqueiros   che dipinsero civiltà precolombiane, la conquista coloniale spagnola, il culmine dell’era moderna con la Rivoluzione iniziata nel 1910. Negli anni’30  la pittura murale sbarcò oltreoceano  ma solo con Mario Sironi, scultore e architetto, in base a una nuova concezione dello spazio  venne rivalutata e incoraggiata  nel mondo artistico perché fosse fruibile a tutti. Dopo le scritte che, come tag,  dai treni di Filadelfia e New York approdarono al 68’ francese invadendo ben presto i muri d’Europa , negli anni’ 90 la street art non fu più considerata  come opera di vandali bensì  iniziò ad essere apprezzata come un movimento artistico, in grado di trasmettere contenuti,  a volte provocatori, un significato dell’arte e tecniche sempre nuove.

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In Italia uno dei primi street artist fu Blu, che oramai ha fama mondiale del quale ho scritto qui. Oggi la street art è apprezzata e rientra in progetti urbani di riqualificazione degli  spazi pubblici in tante città italiane  e in  particolar modo nelle periferie . Da tempo Roma  ha attuato progetti con street artists  operanti sul territorio che hanno realizzato  circa 330 opere in 150 strade  della città, creando un museo a cielo aperto, fruibile da cittadini e turisti, e che ben si colloca nel panorama internazionale di questa forma d’arte contemporanea.

guernica ron english testaccioHo già parlato delle iniziative   promosse  dalla Provincia di Roma, ex Municipio XI, ex Municipio XV, dalla Fondazione Romaeuropa  per valorizzare  le aree industriali dismesse del quartiere Ostiense, l’ex caserma dell’aeronautica Fronte del Porto, muri anonimi  e  i due  sottopassi ferroviari ove i  murales alleggeriscono pareti e piloni dal pesante grigiore del cemento. (http://www.skipblog.it/tag/street-art/  ). Sono interessanti anche i murales dell’artista statunitense Ron English  come la nota “Guernica”  al mattatoio del Testaccio e il  “Jumping wolf”  in via Galvani che ha suscitato qualche critica per la sproporzione e rappresenta Roma in tempi di crisi e decadenza. 

1_Minerva-Test-Foto-Marcello-MelisIl 21 aprile del 2016, giorno del Natale di Roma, è stata inaugurata Triumphs e Laments, la grande opera site-specific dell’artista William Kentridge per la città di Roma, esattamente per “Piazza Tevere” cioè il tratto delle banchine del Tevere tra Ponte Mazzini e Ponte Sisto per il quale l’ Associazione  Tevereterno ha ideato un progetto di valorizzazione delle rive del fiume. Triumphs e Laments è un fregio sugli argini che si sviluppa per 550 metri di lunghezza con un’altezza di 10 metri, realizzato  senza l’uso di vernici o pittura, ma rimuovendo  selettivamente la patina biologica accumulatasi sulle mura di pietra nel corso del tempo ( qui le  immagini    e il  video ).Le 80 opere di William Kentridge sono esposte al MACRO di Roma dal 17 aprile al 2 ottobre 2016.

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A Tor Marancia ventidue  artisti  di dieci Paesi,  con la collaborazione di 500 abitanti del quartiere e dei ragazzi delle scuole, hanno realizzato a titolo gratuito un capolavoro di street art, grazie al progetto Big City Life Tor Marancia  finanziato dalla  Fondazione Roma e dal Comune di Roma.  Le opere murali  sulle facciate di undici  case popolari di proprietà Ater del lotto 1 di Tor Marancia sono approdate alla 15a  Mostra  Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia.

Street Art: 'Sacred Birds' L7m per la prima volta in ItaliaDi recente l’artista brasiliano  L7m è giunto per la prima volta in Italia, su iniziativa dell’associazione a.DNA per il progetto “Urban Area – A Scena Aperta”. Ha dipinto i “Sacred birds”:  un passero in una scomposizione spaziale a Ostia, un coloratissimo allocco che  vola spianando le ali  su un muro  di  cemento al lago ex- Snia nel quartiere Prenestino e due colibrì sospesi in volo in via dei Quintili 162 al Quadraro.

Nello storico quartiere Quadraro si trovano opere di street artist di fama internazionale, grazie al progetto M.U.Ro (Museo Urbano di Roma) patrocinato dal Comune di Roma e dalla provincia nel 2012. Sulle facciate dei palazzi, saracinesche di uffici e negozi le opere  ben si integrano nel tessuto urbano riqualificando non solo un’area che era degradata ma promuovendo anche sinergia sociale con i comitati di quartieri che collaborano alla realizzazione delle stesse. Basti ricordare Ron English, che  critica l’imperialismo  con  Baby Hulk e  Mickey Mouse che indossa una maschera antigas, mentre Beau Stanton in “Ex morte vita” tratta il tema della vita e della morte . In piazza Quintili il grande murales di Gary Baseman ricorda il rastrellamento che nel 1944 i nazisti fecero nelle strade e nelle case del Quadraro.

 

Temnido-di-vespe-you-are-now-entering-free-quadraro-lucamaleontea ripreso dal romano Lucamaleonte, che oltre a trasformare con Hitnes il buio sottopasso di via delle Conce nel quartiere ostiense, al Quadraro  ha realizzato  “ Il nido di Vespe” per un passato da non dimenticare. Infatti proprio Kappler  definì nido di vespe il quartiere quando durante l’operazione Balena nel 1944 deportò un migliaio tra uomini e ragazzi nei campi da lavoro tedesco, con la speranza  che donne e bambini morissero di stenti. Invece  i superstiti abitanti seppero  attivare la solidarietà e la resistenza del nido per sopravvivere, tant’è che il quartiere fu insignito della Medaglia al valore civile. Il nido di vespe allude anche al  degradato Quadraro vecchio che negli anni ’70 divenne il ghetto di immigrati meridionali,  appunto un nido di pericolose vespe da emarginare . Oggi però spicca la scritta “Ora stai entrando Quadraro libero”, quartiere che ricorda e ha avuto la forza di rinnovarsi.

Ottima riuscita ha avuto il progetto SanBa nel difficile e popolare quartiere San Basilio perché ha coinvolto, oltre ai  comitati di quartiere, anche associazioni  e scuole che, a livello propositivo e di attività laboratoriali,  hanno cooperato con gli artisti  recuperando un senso di appartenenza al territorio in un’ottica di contrasto allo squallore e all’abbandono. Rendere più luminoso e bello un contesto anonimamente grigio è una prerogativa di Hitnes che ha animato le facciate di sei case popolari di San Basilio con un fiabesco bosco incantato e popolato da animali e da una lussureggiante vegetazione.

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Liqen,  proveniente da una città industriale della Spagna e caratterizzato dalla passione per l’entomologia, denuncia gli effetti nefasti dell’industrializzazione sul destino dell’uomo e della natura. A Roma ha realizzato  “El Renacer ” un enorme murales raffigurante un rastrello  che fa emergere da ferro e cemento il terreno fertile dove germogliano  la cultura, il bello e la vita.

 

 

Iacurci , noto per la metafora della pacifica convivenza  del Nuotatore di via Fronte del Porto nel quartiere Ostiense, ha contribuito al progetto SanBa con “Blind Wall” ove un uomo senza occhi innaffia un giardino, un quartiere rinnovato pacificamente e portato con delicatezza sul palmo di una mano in  “ The Globe” .

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Infine non si può poi non ricordare la cosiddetta “Cappella Sistina di Tor Pignattara” del veronese Nicola Verlato, cioè  il grande murales “Hostia” che sembra un affresco del ‘500.  Qui viene immortalato Pier Paolo Pasolini che, appena ucciso, precipita mentre dall’alto lo guardano la polizia e il suo assassino. In basso è ritratto da bambino tra le braccia della madre che sta scrivendo. Il bambino poggia la mano destra su quella della madre in un ultimo contatto, mentre si protende verso la nera Signora  che gli indica la strada. Opera solenne per il  grande intellettuale  che ha tanto osservato e raccontato la vita delle borgate romane.

 

… Stupenda e misera città,

che m’hai insegnato ciò che allegri e feroci

gli uomini imparano bambini,

 

le piccole cose in cui la grandezza

della vita in pace si scopre, come

andare duri e pronti nella ressa

 

delle strade, rivolgersi a un altro uomo

senza tremare, non vergognarsi

di guardare il denaro contato

 

con pigre dita dal fattorino

che suda contro le facciate in corsa

in un colore eterno d’estate;

 

a difendermi, a offendere, ad avere

il mondo davanti agli occhi e non

soltanto in cuore, a capire

 

che pochi conoscono le passioni

in cui io sono vissuto:

che non mi sono fraterni, eppure sono

 

fratelli proprio nell’avere

passioni di uomini

che allegri, inconsci, interi

 

vivono di esperienze

ignote a me. Stupenda e misera

città che mi hai fatto fare

 

esperienza di quella vita

ignota: fino a farmi scoprire

ciò che, in ognun, era il mondo…

(da “Il pianto di una scavatrice”, Pier Paolo Pasolini)

 

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La sempre più emergente Street Art nel quartiere Ostiense (seconda parte).

La sempre più emergente Street Art (Urban Contest Gallery 2012.

(immagini dal web)

“Il resto è silenzio” (William Shakespeare)

Mina Saqr

Un paio di scarpe slacciate. Non per percorrere ma per fermarsi e lasciare l’indizio di un salto dannato e liberatorio nello sfavillio di stelle sulla superficie notturna del mare. Nessuna ricerca ha fatto riemergere nuove tracce, parole dette, scritte, sguardi con domande e risposte, dubbi e certezze. Il silenzio  è la quiete prima  e dopo la tempesta , la calma del mare che  bruca  la riva senza forza, l’immobilità di luci che si spengono all’ improvviso . Un tempo senza durata, una stasi che scardina ogni dinamica, un’ambiguità  che respinge, un’attrazione che avvita nel profondo. Il silenzio ascolta nascosto nel pudore, insegna senza parlare, libera  e doma l’odio e l’amore, causa  persecuzione e salvezza,  irradia il  coraggio mascherato da fragilità e l’ignavia da omertà, segna l’Inizio e la fine di una storia qualsiasi.

“ Chi muore in silenzio si vendica della curiosità altrui.”(Alda Merini). Non è necessario né è dato sapere,  si può solo  soppesare quel  vuoto che invade, quella  lontananza che marchia, quella compagnia che avvicina alla solitudine  e all’ indefinito . “Se per dirlo bastano tre righe, bisogna limitarsi a quelle tre righe. Se per dirlo bastano tre parole, bisogna limitarsi a quelle tre parole. Se per dirlo basta una strizzata d’occhio, bisogna limitarsi a quella strizzata d’occhio. Se per dirlo basta una ruga, bisogna limitarsi a quella ruga. Se per dirlo basta il silenzio bisogna limitarsi a quel silenzio. Non aggiungere. Togli” (David Thomas). Togli per continuare ad osservare il mondo.

Casalinghe, ora tocca a voi !

Si parla  tanto di sciopero  inteso come  astensione collettiva dal lavoro di lavoratori dipendenti allo scopo di rivendicare diritti per motivi salariali, per protesta o per solidarietà. Diverse sono le modalità di svolgimento dello sciopero, non tutte legittime.

01047gSubito ho pensato  a una categoria di lavoratrici, una delle più  indispensabili a livello nazionale, non retribuita economicamente  ma soltanto con gratitudine, che sarebbe doverosa ma non sempre viene ad essa elargita. Una  categoria che esiste dai tempi del nautilus, quella  delle casalinghe, le stacanoviste dedite alla famiglia e alla casa. Le casalinghe DOC, che lavorano esclusivamente in casa, sono ormai in estinzione perché avanzano sempre più  ibridi a  rischio di precoce esaurimento nervoso e usura che lavorano male in casa e sono sempre di corsa  fuori casa. Le casalinghe tradizionali sono tuttofare  attivissime, raramente  hanno copertura da infortunio, possono  godere di ferie saltuarie da fruire solo quando marito e figli  vanno in trasferta  allo stadio, percepiscono  la tredicesima una tantum, equiparata alla metaforica vincita di  un terno al lotto, quando la tribù familiare trascorre le vacanze a  casa della  suocera, di solito non  versano contributi previdenziali e quindi non maturano né pensione né liquidazione  ma solo  una sempiterna anzianità di servizio.

Se  scioperassero le casalinghe,  la conseguente paralisi nazionale  provocherebbe effetti devastanti sia nel  settore privato che in quello pubblico. Lo  sciopero  potrebbe essere generale se esteso in tutto il paese o  locale se svolto in  una sola città, settoriale se interessa un unico  settore della loro attività, per esempio le mansioni di  lavaggio  e stiratura della biancheria.

Le lavoratrici  potrebbero fare uno sciopero bianco per cui, anziché astenersi dal lavoro , potrebbero applicare   alla lettera i regolamenti  causando disagi. Consigliabile nei casi in cui si sentano  sminuite nell’ orgoglio di categoria ogniqualvolta si sentano dire ma di cosa ti lamenti, se stai sempre a casa a riposarti e a guardare la tv ?  detto da chi ignora cosa significhi allevare per esempio  un pupo che impedisce pure di guardarsi allo specchio. In tal caso le scioperanti  potrebbero accusare un’improvvisa   “pantofolite” acuta  guaribile con  sollevamento e relativo appoggio delle gambe su un poggiapiedi dinanzi alla tv e con sciroppamento di telenovelas, reality e quant’altro aggradi loro di più per almeno due settimane. Durante lo sciopero bianco il pargolo  scorrazzerebbe indomito per  casa inseguito da un padre precettato che scoprirebbe  coattamente i piaceri dell’allevamento della prole, imparando a  non bestemmiare e a rodersi  il fegato perché, si sa,  i pargoli hanno diritto a  crescere in un ambiente sereno e rassicurante. Particolarmente efficace potrebbe essere lo sciopero  “a gatto selvaggio” in cui in una catena di montaggio le varie sezioni scioperano in tempi diversi, in modo da arrestare la produzione per il massimo tempo possibile. Questa forma di sciopero è drastica, implicherebbe e provocherebbe  tensioni familiari e si potrebbe attuare con una voluta dimenticanza nel  pagare le bollette.  Il giorno in cui vengano sospese l’erogazione di gas, energia elettrica e acqua le scioperanti dovrebbero partire tempestivamente  con un volo per le  Bahamas, pagato con una cresta pluriennale fatta sul  budget per la spesa, soprattutto  per evitare le ire del padrone di casa .Queste ultime due forme di sciopero sono volte ad alterare i nessi funzionali che collegano i vari elementi dell’organizzazione familiare in modo da produrre il massimo danno per la controparte con la minima perdita per le  scioperanti che guadagnerebbero una vacanza da single e avrebbero come unico danno l’impossibilità di  coccolare il pupetto…ma  le casalinghe  sono molto fiduciose  nel consorte e sono certe di averlo lasciato nelle sue ottime mani.

Esiste una forma di sciopero detta  a singhiozzo, caratterizzato da brevi interruzioni . Si consiglia di esercitarlo nel talamo nuziale e nei momenti di intimità . Questa forma di sciopero ha una garantita e immediata  efficacia. Infatti qualsiasi datore di lavoro si arrende sin dalla seconda interruzione. Poco praticato è   lo sciopero a scacchiera che prevede  un’astensione dal lavoro effettuata in tempi diversi da diversi gruppi di lavoratori le cui attività siano interdipendenti nell’organizzazione familiare come, per esempio, nell’ astensione dal lavoro da parte di casalinghe e  delle badanti assunte per l’anziana  mammà. Molto plateale è  lo sciopero con corteo interno in cui le manifestanti, anziché organizzare picchetti all’ingresso di casa , si muovono in formazione all’interno, bloccando i vari reparti che attraversano. Immaginate le scioperanti  che sfilano  in corridoio o stazionano con striscioni davanti alla porta del bagno gridando slogan provocatori mentre il datore di lavoro è concentrato a soddisfare bisogni primari sul water.

Care casalinghe incrociate le braccia ogni tanto e  non preoccupatevi! Nessuno potrà mai  precettarvi, né decurtarvi la paga perché lavorate gratis, nessuno potrà mai licenziarvi perché non siete  mai state assunte con un regolare contratto né rimpiazzarvi perché questa manovra graverebbe troppo sul bilancio familiare. Unico rischio è che il datore di lavoro dichiari la bancarotta fraudolenta e scappi con la giovane badante extracomunitaria di mammà…ma, poiché l’Homo Italicus  ha ben interiorizzato il detto che i figli “so’ piezz’e core”, verrà incontro alle vostre legittime richieste: vi aprirà un conto bancario cui potrete attingere liberamente per le vostre spese personali ( attente a contrattare e definire bene  il versamento mensile a carico del datore dei lavoro e ricordatevi di pattuire  la tredicesima  e il bonus annuale), vi concederà  un periodo di ferie  che siano veramente un’occasione  di  riposo e non di stress aggiuntivo, e sicuramente scatterete in pole position nella società che finalmente vi riconoscerà sincera ed eterna gratitudine.

Nuvole – Wisława Szymborska

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Nuvole

 Dovrei essere molto veloce

nel descrivere le nuvole –

già dopo una frazione di secondo

non sono più quelle, stanno diventando altre.

La loro caratteristica è

non ripetersi mai

in forme, sfumature, pose, disposizione.

Non gravate della memoria di nulla,

si librano senza sforzo sui fatti.

Ma quali testimoni di alcunché –

si disperdono all’istante da tutte le parti.

In confronto alle nuvole

la vita sembra solida,

pressoché duratura e quasi eterna.

Di fronte alle nuvole

perfino un sasso sembra un fratello

su cui si può contare,

loro invece sono solo cugine lontane e volubili.

Gli uomini esistano pure, se vogliono,

e poi uno dopo l’altro muoiano,

loro, le nuvole,

non hanno niente a che vedere

con tutta questa faccenda

molto strana.

Al di sopra di tutta la tua vita

e della mia, ancora incompleta,

sfilano fastose così come già sfilavano.

Non devono insieme a noi morire,

né devono essere viste per fluttuare.

 

Wisława Szymborska (da “Elogio dei Sogni”)

25 Aprile: Oltre il ponte

CalvinoQuest’anno per la festa della Liberazione condivido il testo della canzone “Oltre il ponte”, scritto da Italo Calvino per ricordare la militanza nella Resistenza sua e di quei giovani che “vedevan oltre il ponte l’altra riva in mano nemica, ma vedevano anche la vita, tutto il male vedevano di fronte, ma tutto il bene avevano nel cuore”. Qui filmati storici e una bella interpretazione cantata da Modena City Ramblers con Moni Ovadia.

 

 

Oltre il ponte

O ragazza dalle guance di pesca,
O ragazza dalle guance d’aurora,
Io spero che a narrarti riesca
La mia vita all’età che tu hai ora.
Coprifuoco: la truppa tedesca
La città dominava. Siam pronti.
Chi non vuole chinare la testa
Con noi prenda la strada dei monti.

Silenziosi sugli aghi di pino,
Su spinosi ricci di castagna,
Una squadra nel buio mattino
Discendeva l’oscura montagna.
La speranza era nostra compagna
Ad assaltar caposaldi nemici
Conquistandoci l’armi in battaglia
Scalzi e laceri eppure felici.

Avevamo vent’anni e oltre il ponte
Oltre il ponte che è in mano nemica
Vedevam l’altra riva, la vita,
Tutto il bene del mondo oltre il ponte.
Tutto il male avevamo di fronte,
Tutto il bene avevamo nel cuore,
A vent’anni la vita è oltre il ponte,
Oltre il fuoco comincia l’amore.

Non è detto che fossimo santi, 
L’eroismo non è sovrumano,
Corri, abbassati, dài, balza avanti,
Ogni passo che fai non è vano.
Vedevamo a portata di mano,
Dietro il tronco, il cespuglio, il canneto,
L’avvenire d’un mondo più umano
E più giusto, più libero e lieto.

Avevamo vent’anni e oltre il ponte
Oltre il ponte che è in mano nemica
Vedevam l’altra riva, la vita,
Tutto il bene del mondo oltre il ponte.
Tutto il male avevamo di fronte,
Tutto il bene avevamo nel cuore,
A vent’anni la vita è oltre il ponte,
Oltre il fuoco comincia l’amore.

Ormai tutti han famiglia, hanno figli,
Che non sanno la storia di ieri.
lo son solo e passeggio tra i tigli
Con te, cara, che allora non c’eri.
E vorrei che quei nostri pensieri,
Quelle nostre speranze d’allora,
Rivivessero in quel che tu speri,
O ragazza color dell’aurora.

Avevamo vent’anni e oltre il ponte
Oltre il ponte che è in mano nemica
Vedevam l’altra riva, la vita,
Tutto il bene del mondo oltre il ponte.
Tutto il male avevamo di fronte,
Tutto il bene avevamo nel cuore,
A vent’anni la vita è oltre il ponte,
Oltre il fuoco comincia l’amore. 

Gloria Chilanti: la Resistenza di un’adolescente.

bandiera rossa e borsa neraLa Resistenza fu “ un volontario accorrere di gente umile, fino a quel giorno inerme e pacifica, che in un’improvvisa illuminazione sentì che era giunto il momento” di combattere contro il terrore , e coinvolse uomini e donne di varia estrazione socioculturale , ma anche tanti giovani, a volte giovanissimi. Tra questi è da  ricordare Gloria Chilanti che nel suo diario “Bandiera rossa e borsa nera”, scritto tra il gennaio e il settembre del 1944, racconta la sua vita di adolescente  in una Roma in cui ebbe inizio la guerra di Liberazione dal nazifascismo con i suoi martiri ed eroi, spesso poco conosciuti.  

Gloria è figlia  di Felice Chilanti, scrittore e giornalista antifascista, confinato per due anni a Lipari, poi  dirigente del Movimento Comunista  “Bandiera Rossa” , e della coraggiosa Viviana Carraresi in Chilanti, una  delle tante donne della “Resistenza taciuta”  il cui nome di battaglia era Marisa. Con la madre Gloria vive in clandestinità, fa  propaganda e consegne, si adopera per resistere alla fame e alla miseria, aiuta e nasconde partigiani e dissidenti, cuce coccarde e bandiere, pur non potendo andare a scuola impara  “tante cose che nessun bambino sa” , vive e ha in mano tante ricchezze  grazie alla condivisione di ideali, storie e segreti tra  paure, stenti ed entusiasmi.

Questo diario, dalla narrazione asciutta e autentica,  è stato pubblicato circa 50 anni dopo su insistenza di Carla Capponi, medaglia d’oro della Resistenza italiana, perché tutti potessero leggere “questo misterioso e miracoloso  moto di popolo” (Piero Calamandrei) con lo sguardo di una bambina cresciuta  senza bambole e impegnata nella lotta partigiana, vissuta con l’incoscienza e l’impeto dei suoi tredici anni quasi come un gioco intrigante e rischioso . Gloria era convinta di non avere fatto nulla di straordinario, in base agli ideali libertari trasmessi dai genitori per lei era naturale   credere nella libertà come diritto e bene comune e quindi resistere, perciò non ha pubblicato prima la sua testimonianza.

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Dopo la liberazione  però inizia una nuova forma di resistenza, questa volta delle donne e diretta contro l’arroganza e i conflitti interni ai movimenti antifascisti. Gloria ben delinea la figura della madre Viviana che  prima aveva aiutato i perseguitati, i disertori, i partigiani, aveva favorito la diffusione della stampa clandestina e trasportato  armi  rischiando più volte  la  vita e la cattura, e  in seguito si adoperò affinché le donne che avevano avuto familiarità con i fascisti, spesso per  riuscire a sopravvivere, non venissero trucidate come spie, e con determinazione  osò opporsi a quella boria  maschile che non ha partito né  bandiere.  Come racconta Gloria nel diario: “Stamattina sono stata al Congresso a via dei Giubbonari dove hanno parlato Poce e Filiberto e tutti i capi (zona, sezione, gruppi cellula) e c’erano più di cento donne (tutte della nostra sezione e tutte le nostre capo-zona). Ad un certo punto, mentre parlava Sbardella ad un cenno di mamma tutte le compagne sono uscite dall’aula… Sbardella parlava come Mussolini con gli stessi gesti”. 

donne della resistenza

Viviana Carraresi morì a Pechino il 30 maggio del 1980 e riposa nel cimitero degli eroi rivoluzionari Ba Bao Shan. “ È stata la donna che ha costruito le nostre vite, mia e di mio padre, forzando a volte i nostri caratteri timidi e introversi. Senza di lei non avremmo avuto quel coraggio, quella forza d’animo, ottimismo per superare le traversie  che la vita ci ha messo di fronte. Donna di grande temperamento aveva rinunciato a un’agiata vita borghese per seguire mio padre  nella miseria e nella continua  incertezza del futuro: una vera combattente rivoluzionaria.” Forse la più dimenticata della famiglia  cui però il marito Felice Chilanti dedicò il bel romanzo “Lettera a Pechino”, finito di scrivere qualche giorno prima  della sua morte a Roma il 26 febbraio 1982.

 Zhu Zi Ji, grande poeta cinese la ricorda con questi versi:

“ L’ italiana Viviana, il capitano,

nella tiepida terra d’Oriente  dorme in pace.

Ha dato il suo cuore ai compagni d’arme cinesi…

Nel cuore dei compagni d’arme cinesi per sempre vivrà.

Quando i fiori delle nostre idee saranno sbocciati ovunque

ne offrirò una corona alla compagna d’arme.

Che quelli che verranno leggendo il suo nome con affetto

chiamino:  Viviana,Viviana.”

 

Buon 25 Aprile !

 

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“Ho semplicemente lottato per una causa che ho ritenuta santa: quelli che rimarranno si ricordino di me che ho combattuto per preparare la via ad una Italia libera e nuova.” (Lorenzo Viale, anni 27)

 La libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare. (Piero Calamandrei)

Le bellezze nascoste di Napoli: la chiesa di sant’Anna dei Lombardi a Monteoliveto e la sagrestia del Vasari

chiesa sant'Anna dei Lombardi -Monteoliveto

Nella piazza Monteoliveto  di  Napoli si trova la chiesa di sant’ Anna dei Lombardi, interessante per la sua storia ma soprattutto perché  custodisce all’ interno un gioiello architettonico e artistico, a mio parere poco noto,  che è la sagrestia del Vasari .

In origine nel 1400 in quel sito esisteva  la  chiesetta  di santa Maria de Scutellis, confinante con i giardini “Carogioiello” o “Biancomangiare” e l’ “Ampuro” che si estendevano fin sulla collina di Sant’Elmo. Nel 1411 il nobile Gurrello Orilia al posto ella chiesetta  ne fece costruire  una più grande per la Purificazione di Maria affidandola poi  ai padri olivetani  di  Firenze.  I d’ Avalos , i Piccolomini, il re Alfonso Alcune e altre nobili famiglie  napoletane contribuirono alle spese  e fecero donazioni per la costruzione di un monastero che aveva quattro chiostri, giardini con fontane, una biblioteca  e una dependance , divenuta famosa non solo per gli affreschi  del  Vasari , ma anche per il soggiorno di  Torquato Tasso durante la stesura  del suo poema.

Verso la metà del ‘700 parte del monastero  fu destinato  prima al tribunale  misto che, in base a un trattato tra il papa e il re,  consentiva ai religiosi e ai laici di essere giudici e presidenti, poi  nel 1848 divenne sede del parlamento napoletano. Alla fine  del ‘500 i lombardi presenti a  Napoli si costruirono un’altra chiesa, crollata col terremoto del 1805 che provocò anche la distruzione di tre opere del Caravaggio, per cui ne  vendettero il suolo. Quando gli Olivetani furono allontanati, la chiesa di Monteoliveto fu data ai lombardi, perciò  prese il nome di sant’Anna dei Lombardi,  e vi nacque un’ arciconfraternita  che esiste ancor oggi ma  appartiene ai napoletani. Questa chiesa  è una testimonianza del rinascimento toscano, soprattutto dal punto di vista architettonico  per le grandi cappelle a pianta centrale che ricordano quelle fiorentine. Nel  XVII l’originario stile gotico venne meno e lo si nota soprattutto in quella che sarà la sagrestia del Vasari. La chiesa chiusa per tanti anni, poi è stata  riaperta in seguito a graduali   lavori di ristrutturazione dal 1976 al 1990, in particolare dopo i danni del terremoto del 1980 : per esempio  sono stati ristrutturati  il soffitto a cassettoni, distrutto durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale,  la splendida cappella del Vasari (lavori dal 1983 al 1985) e le  opere pittoriche  e marmoree delle cappelle rinascimentali Piccolomini, Mastrogiudice e Tolosa che ben rappresentano l’influenza  toscana nell’architettura del ‘500 a Napoli.

monumento funebre Domenico Fontana

organo

Alla chiesa si accede da piazza  Monteoliveto, ubicata nel centro storico tra la piazza  del Gesù nuovo e piazza Carità presso via Toledo.  Nell’atrio  spicca il monumento funebre dell’architetto Domenico Fontana del 1627, proveniente  dalla distrutta Sant’Anna dei Lombardi e pertanto ricomposto nel secondo dopoguerra.

Imponente è l’organo quattrocentesco che subì modifiche e fu decorato nel ‘700 dal napoletano Alessandro Fabbro. santa-anna-lombardi

Tra le dieci cappelle che perlopiù fiancheggiano la navata principale della chiesa  merita quella del “Compianto sul Cristo morto”  che prende il nome  da un gruppo  di sette figure di terracotta policroma  a grandezza naturale in una Deposizione del 1492, realizzata da Guido  Mazzoni, restaurate nel 1882 e di recente da Salvator Gatto.  È un gruppo di pregiata fattura  per  le espressioni realistiche dei personaggi , tra i  quali  sono ritratti Ferdinando I e  del figlio Alfonso d’Aragona  committenti dell’opera, oltre che il Sannazzaro e il Pontano.

cappella Piccolomini

 

Bella anche la cappella Piccolomini con il pavimento a mosaico e l’altare con  la Natività, due profeti e i santi Giacomo e Giovanni Evangelista (1475 circa) di Antonio Rossellino.

 

Dalla cappella del Compianto si procede per un corridoio e si giunge all’Oratorio o sagrestia,  che in origine era un refettorio degli Olivetani, affrescato poi dal Vasari nel 1545 con l’assistenza del toscano Raffaellino del Colle. Le originarie volte ogivali  gotiche furono adattate dal  Vasari, che le abbassò e ne smussò gli spigoli creando con gli affreschi effetti ottici molto particolari oltre a coprire  di stucco le volte per renderle  più luminose. Essi consistono perlopiù in iconografie allegoriche delle  Virtù.

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Nella  parete   di fondo c’è  un altare  dietro il quale  al centro  spicca un affresco di S. Carlo Borromeo di un ignoto pittore napoletano ,portato qui  dopo la soppressione dei monasteri  e fiancheggiato  da due dipinti ritraenti  l’Annunciazione, di autori ignoti anch’essi .

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Agli inizi del  ‘400 i numerosi pannelli lignei, intarsiati dall’olivetano fra Giovanni  da Verona (1506), dalle cappelle della chiesa furono poi spostate  nel refettorio che  nel 1688 l’abate Chiocca  trasformò in una sagrestia , facendo  realizzare anche statuette lignee intervallate  alle tarsie e raffiguranti i santi dell’ordine. Le tarsie lignee del frate  Giovanni da Verona ritraggono vedute di paesaggi, strumenti musicali, libri, monumenti rinascimentali di Napoli  e rendono quest’ambiente uno scrigno di raffinata e insolita  bellezza.

 

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Il limone tra storia, leggenda e limoncello .

Frederic_Leighton_-_The_Garden_of_the_HesperidesAi limoni, raggi di luce divenuti  frutti, fa capo una delle dodici fatiche di  Ercole  che uccise il drago Ladone incaricato  con  le Esperidi  di vigilare su un giardino, per custodire i pomi d’oro che Gea aveva donato a Era in occasione delle sue  nozze con Zeus. Con l’aiuto delle ninfe,  Ercole si procurò i frutti e li portò ad Euristeo. Nella cultura medio orientale, soprattutto ebraica, si  parlava perlopiù dei cedri che  crescevano in Israele quando gli  ebrei rientrarono da Babilonia nel VI sec. a. C. ;  cedri denominati meli di Persia da Teofrasto di Ereso, filosofo greco ed esperto id botanica,  nel 300 a. C .

La presenza dei limoni nel mondo romano fu confermata non solo  da Plinio il Vecchio  che lasciò notizie  sul trasporto del cedro in tante regioni ma anche  dalle piante da frutto, tra cui due limoni,  particolare albero da fruttodipinte sulle pareti della casa del frutteto di Pompei  e dalle trentotto piante di limone in vaso, trovate nella villa Oplonti di Torre Annunziata .Nel 1952 l’archeologo Maiuri concluse che il limone citrino ovale si era già acclimatato in Italia sin dal I  sec. d. C. In epoca romana  però non si distinse ancora  la differenza tra limone e cedro, cui si giunse verso il X secolo. Sicuramente gli arabi portarono i limoni durante le invasioni della Spagna e dell’Italia meridionale  tra il X e il XII secolo ma anche  i crociati, di ritorno dalle guerre sante,  importarono   le piante di limoni, ben presto coltivate nelle zone a clima caldo-temperato. In verità nella costiera sorrentina –amalfitana il limone era già presente nell’Alto  Medio Evo (V I sec. d. C.), come documentano le testimonianze dei medici salernitani che lo usavano a scopo terapeutico. Certamente  il “citrus limon massese” o “ femminiello massese” di Massa Lubrense, nota per i suoi limoni,  fu importato dall’oriente dai monaci gesuiti nel lontano XVII secolo e proprio il gesuita massese padre Vincenzo Maggio promosse la coltivazione dei limoni. A fine ‘500 Napoli e dintorni  erano ormai  “un gioioso loco” ricco di aranci, limoni  e cedri, tanto da fare esclamare più tardi a Goethe  “Conosci tu il paese dove fioriscono i limoni? Nel verde fogliame splendono arance d’oro. Un vento lieve spira dal cielo azzurro, tranquillo è il mirto, sereno è l’alloro. Lo conosci tu bene? …”

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Gran parte dell’economia sorrentina ruotò intorno all’agrumicoltura, che dall’ 800 sostituì colture non più redditizie come quella dei gelsi , anche per la sempre più massiccia importazione dall’oriente dei bozzoli destinati all’industria serica. Proprio per l’esportazione pagliarelledi arance e limoni verso il nord Europa e l’America agli inizi dell’800  si sviluppò la  cantieristica navale  e  di conseguenza  sempre più la tradizione marinara della penisola sorrentina, ancor oggi radicata.  Nel 1917 in penisola circolavano circa ottocento tra cavali, asini e muli per il trasporto di agrumi e  la commercializzazione dei limoni all’ estero  fu garantita tutto l’anno perché d’inverno erano conservati nelle grotte e le  piante venivano  protette  con le “pagliarelle”. Queste, ancora in uso,  sono stuoie di paglia appoggiate su pergolati   per formare una sorta di tetto sul limoneto ed  evitare che i limoni siano danneggiati dalle gelate.

Solo con il limone della costiera amalfitana e sorrentina aventi il marchio IGP, cioè lo sfusato di Amalfi e l’ovale di Sorrento, si produce il limoncello, liquore digestivo di fama internazionale.

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L’origine del limoncello è piuttosto controversa e contesa tra Capri, Sorrento e Amalfi.  Se per i capresi l’imprenditore  Massimo Canale fu il primo a registrare il marchio “Limoncello” negli anni ’80, per   gli amalfitani  le origini del limoncello si fanno risalire a epoche remote,  addirittura  al tempo delle invasioni saracene quando i pescatori lo bevevano per combattere il freddo. Probabilmente invece fu  prodotto in un monastero, come tanti dolci e prelibatezza campane, anche se i sorrentini sostengono  che sin dall’inizio del ‘900 le nobili famiglie del luogo lo offrivano agli ospiti illustri, secondo una ricetta tradizionale.

Per Achille Bonito Oliva  il limoncello è il liquore bambino.

“Liquore di antica famiglia, il limoncino, casa e chiesa, silenzioso e senza malizia di sapore, è per gli adulti senza essere vietato ai bambini. Ha il colore paziente del convitto, senza oggetto o decisione di fondo, ma con sapore continuo alla gola. Fatto per lo sguardo e malinconica distrazione, non permette e non trattiene ricordi. Liquore di passaggio, il limoncino. Un giallo che rimanda all’azzurro. Non ama essere versato ma preservato in ampolle sicure e personali. Il diminutivo limoncino dichiara un liquore infantile anzi bambino, che nasce limone e desidera diventare limoncino, sicuramente in vitro, così trasparente e guarda dalla bottiglia in girotondo…”

 

Esistono molte varianti della ricetta sia per le diverse percentuali di zucchero e alcool, sia  per il procedimento.

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Ricetta del limoncello

Ingredienti:

10 limoni non verdi

1 lt di alcool per liquori

750g di zucchero

 

Procedimento:

Sbucciare i limoni senza intaccare il mesocarpo o albèdo (la parte interna  bianca del limone), mettere le bucce in infusione nell’ alcool in un recipiente di vetro chiuso e  in un luogo fresco e buio per 9 giorni. Quando è concluso il periodo di macerazione, preparare il giulebbe versando  750 g di zucchero in un litro d’acqua, mescolando e lasciando bollire per 5 minuti circa finché lo zucchero non si sia sciolto. Quando lo sciroppo si è raffreddato, aggiungervi l’alcool con le bucce, girare e infine  filtrare con una garza e imbottigliare. Il limoncello è un ottimo digestivo da servire preferibilmente in bicchierini gelati, oppure lo si può conservare  nel congelatore  in quanto zucchero e alcool gli impediscono di congelare.

 

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Allegro ma non troppo- Wisława Szymborska

Allegro ma non troppo

Sei bella – dico alla vita –    arcobaleno
è impensabile più rigoglio,
più rane e più usignoli,
più formiche e più germogli.

Cerco di accattivarmela,
di blandirla, vezzeggiarla.
La saluto sempre per prima
con umile espressione.

Le taglio la strada da sinistra,
le taglio la strada da destra,
e mi innalzo nell’incanto,
e cado per lo stupore.

Quanto è di campo questo grillo,
e di bosco questo frutto –
mai l’avrei creduto
se non avessi vissuto!

Non trovo nulla – le dico –
a cui paragonarti.
Nessuno ha fatto un’altra pigna
né migliore, né peggiore.

Lodo la tua larghezza,
inventiva ed esattezza,
e cos’altro – e cosa più –
magia, stregoneria.

Mai vorrei recarti offesa,
né adirarti per dileggio.
Da centomila anni almeno
sorridendo ti corteggio.

Tiro la vita per una foglia:
si è fermata? Se n’è accorta?
Si è scordata dove corre,
almeno per una volta?

 Wisława Szymborska

(da Ogni caso, 1972 – Traduzione di Pietro Marchesani)