L’Enigma svelato sulla facciata del Gesù Nuovo di Napoli

Una scoperta musicale, risalente ormai a circa due anni fa,  mi è venuta in mente passeggiando nel centro storico di Napoli. Sul bugnato della facciata del Gesù Nuovo sono incisi strani segni, di circa dieci centimetri, che fino a qualche tempo fa si credeva  fossero i simboli delle diverse cave, da cui provenivano le pietre  utilizzate per le bugne a forma di diamante, oppure, secondo un’altra interpretazione, si pensava che rivelassero segreti alchemici, capaci di caricare la pietra di energie positive dall’esterno verso l’interno dell’edificio. 

 

In verità questo attirò energie negative, forse perché gli operai non posero correttamente le pietre. Ultimato nel 1470 da Novello da San Lucano come civile abitazione per i potenti Sanseverino, l’edificio subì una serie di sciagure: fu confiscato da Pedro di Toledo nel 1547, perché i Sanseverino appoggiarono la rivolta popolare contro l’Inquisizione, fu poi donato ai gesuiti che lo trasformarono da palazzo in chiesa. Anche la chiesa, però,  non ebbe buona sorte: prima fu incendiata, poi più volte crollò la cupola e infine ne furono cacciati i gesuiti. Solo durante la seconda guerra mondiale, fortuna volle che una bomba, caduta sul soffitto di una navata, non esplodesse.

Sta di fatto che più di recente  lo storico dell’arte rinascimentale napoletana, Vincenzo De Pasquale, e  i  musicologi ungheresi Csar Dors e Lorànt Réz hanno capito che quei segni erano lettere dell’alfabeto aramaico, corrispondenti a note musicali. In pratica il bugnato è un pentagramma sul quale è scritta una melodia musicale per strumenti a plettro, che si legge da destra a sinistra e dal basso verso l’alto, dura circa tre quarti d’ora (qui per ascoltarla). Gli studiosi hanno deciso di intitolarla “Enigma”.

Lo storico De Pasquale ha spiegato che  i Sanseverino già fecero incidere note musicali nel loro palazzo a Lauro di Nola e che queste note in aramaico furono dimenticate forse per effetto della Controriforma che dettò rigide norme per l’arte, cancellando tutto ciò che di terreno potesse contrastare con le verità trascendenti del cattolicesimo. I gesuiti s’adoprarono  in tal senso ma, ironia della sorte, il padre gesuita Csar Dors, esperto di aramaico, ha contribuito a scoprire il segreto musicale della facciata del Gesù Nuovo.

 Un altro mistero svelato in una città d’arte dalla storia infinita. 

I microcosmi in terracotta di Marcello Aversa

Tra i tanti grandi artisti del presepe di oggi merita un’attenzione particolare il maestro Marcello Aversa di Sant’Agnello, paese della costiera sorrentina, che ha saputo trasformare l’artigianato in arte ed esportare l’antica tradizione presepiale e i suoi microcosmi in terracotta, conquistando meritatamente una fama internazionale. 

“Microcosmi in terracotta” era il titolo di una mostra delle opere di Marcello Aversa del 2007.  Da adolescente iniziò a lavorare  nell’azienda paterna, piccolo opificio che produce laterizi a Maiano (Sant’Agnello) negli anni ’80  si appassionò al  presepe napoletano del ‘700  e  curò  le prime scenografie nelle chiese della penisola sorrentina. Ben presto maturò una straordinaria abilità tecnica e sensibilità artistica riuscendo a  creare capolavori di terracotta in miniatura. Infatti Aversa modella, con  una stecca e uno spillo, piccoli personaggi, alti da  8 mm ad un massimo di 10 cm, e li  inserisce  in una scenografia, in un microcosmo di argilla che, infornato a 920 ° , si trasforma in un’opera d’arte. Con passione e dedizione ricerca la perfezione nella minuziosa  attenzione per i più piccoli particolari delle tegole delle case, delle foglie e degli animali, delle espressioni dei volti e dei risvolti di un vestito, senza trascurare l’armonia dell’insieme.

Ai presepi si affiancano scene di vita napoletana  che prendono vita in gruppi di  musici e danzatori oppure nelle rappresentazioni, sempre in terracotta, delle processioni della settimana santa tipiche della tradizione sorrentina.

 

“Maestri in mostra”: quando l’artigianato diventa arte

La terza edizione di “Maestri in mostra – il presepe napoletano a Villa Fiorentino, Sorrento”  anche quest’anno offre  una varia e splendida panoramica sull’arte presepiale.

Oltre cinquanta artisti e  maestri del presepe espongono  opere che, nel rispetto dei canoni del ‘700 e dell’800, rivelano perfezionismo tecnico, cura dei particolari, creatività e armonia d’insieme sia in gruppi presepiali o blocchi monoscenici,  sia in soggetti avulsi da un contesto presepiale e  modellati singolarmente come opera d’arte a se stante. 

  

Durante  la dominazione spagnola a Napoli  si affermò una scuola di presepistica che iniziò a definire le regole per costruire il pastore napoletano. Il corpo, alto circa  trentacinque centimetri , era di stoppa con un’anima di filo di ferro, le mani e i piedi di legno, gli occhi di vetro, la  testa e il collo di terracotta.
Ancor oggi le teste, l’una diversa dall’ altra, sono prima modellate a mano, poi  cotte secondo un particolare procedimento. La  tecnica di pittura della testa e degli arti  è lunga e complessa per poter rendere delicatamente sfumati l’incarnato e le mani della  Vergine, degli angeli e  delle nobildonne , secchi e bruni i visi e le mani  dei popolani. 

Grande cura si dà alla vestitura dei soggetti. Dopo un’attenta ricerca storica, il manichino viene ricoperto con i  costumi dell’epoca  e dei vari luoghi . Semplici e grezzi  sono i vestiti dei mendicanti e dei contadini, raffinati ed eleganti quelli di re e dei ricchi, impreziositi da ricami, rifiniture, bordini e merletti, sete e pregiate stoffe anticate. Stessa ricercata attenzione  per le calzature e gli accessori ( i gioielli, pugnali, bastoni, bisacce, grembiuli).

La caratterizzazione di alcuni personaggi, espressivi negli sguardi o nei gesti,  incuriosisce  e sorprende per ragioni diverse.

 

Le varie tipologie di minuterie, cioè piccoli oggetti in miniatura che arricchiscono cortei,  interni, botteghe (utensili di uso comune, frutta e ortaggi, pesci , strumenti musicali, fischi, ceramiche) testimoniano una cura minuziosa e attenzione per ogni minimo particolare, dettate da un’autentica passione.

 

Alcuni presepi sono miniature in scale  ridottissime, che sorprendono non poco .Tra questi le straordinarie opere di Vincenzo Garofalo che, con corallo,minerali, ametiste,quarzo,citrino,barite e  fossili marini,creano invece un’atmosfera quasi fiabesca.

 

Il gruppo dei presepisti di Sant’ Agnello,  per la prima volta, al di fuori dalla Chiesa parrocchiale  dei santi Prisco e Agnello, ha esposto un presepe di grandi dimensioni che ha la caratteristica di riprodurre fedelmente scorci di luoghi caratteristici della penisola sorrentina . In primo piano spiccano le  tre scene basilari del presepe, cioè la natività, l’annuncio e la taverna , mentre sullo sfondo si intravede la costa  napoletana fino a Procida. Lo sguardo cade sul ponte a due arcate e sui  bastioni  con la porta occidentale , detta di Massa o di S. Bacolo o della Potenza riprodotti in base a una veduta di Achille Gigante ( 1823-1846) ,che si trova nel Museo di san Martino, e a un bozzetto di  Theodore Duclere (1815-1869).

 

Quest’anno la mostra si è arricchita dell’eccezionale esposizione dei pastori del Duomo di Castellammare di Stabia, che sono una delle più suggestive testimonianze dell’arte sacra in Campania tra il ‘700 e l’800. La caratteristica di questo presepe è l’insolita dimensione dei pastori, alti tra i 90 e 140 centimetri e gli abiti settecenteschi, finemente ricamati e cuciti a mano. Essi appartengono alla collezione del vescovo stabiano Francesco Saverio Petagna, risalente a  150 anni fa, poi deterioratasi, poi ritrovata e completamente  restaurata nel 2004. 

Sotto una galleria fotografica che comunque non basta a rendere merito ai tanti e tanti capolavori esposti.

La mostra è aperta al pubblico fino al 13 gennaio 2013.

Villa Fiorentino- Corso Italia, 53- Sorrento

Ingresso gratuito.

Un evento da non perdere!

 

Al galoppo nella storia infinita del presepe napoletano.

Durante  la dominazione spagnola a Napoli  si affermò una scuola di presepistica che iniziò a definire le regole per costruire il pastore napoletano. Il corpo, alto circa  trentacinque centimetri , era di stoppa con un’anima di filo di ferro, le mani e i piedi di legno, gli occhi di vetro, la  testa e il collo di terracotta.

Nel ‘700 si verificò un processo di laicizzazione nell’ allestimento del  presepe napoletano che rappresentava realisticamente costumi,  personaggi, paesaggi e il gusto dell’epoca e quindi sconfinò sempre più dalle  chiese e dai salotti dei nobili nelle case dei borghesi e dei più umili .  

Re Carlo di Borbone fu un appassionato di presepi e, quando nel 1759 salì al trono di Spagna, portò con sé artigiani e artisti presepiali, promuovendo la diffusione del presepe in tutta Europa. Anche re Ferdinando di Borbone  incentivò l’arte presepiale  che diede un impulso al lavoro artigianale di sarti, falegnami, orefici, fabbri, stuccatori , ramai, ricamatori, armaioli .Grazie al grande scultore G. Sammartino il presepe napoletano conquistò il riconoscimento  di vera espressione artistica.

Nell’800  iniziò il declino del presepe napoletano .Con la fuga di re  Ferdinando a Palermo e poi con la fine della Repubblica  napoletana nel 1799, molti presepi privati furono smembrati in successioni ereditarie o in  vendite, o portati in Francia. Con il rientro dei Borbone  a  Napoli, dopo il periodo francese (1806-1815), riemerse la passione per il presepe e allestimenti importanti furono realizzati nella reggia di Portici e di Capodimonte. La crisi economica dal 1822 al 1840 e l’unità  d’Italia determinarono  cambiamenti sociali, politici ed economici così, per fare fronte a difficoltà economiche , i grandi allestimenti presepiali di nobili famiglie furono venduti a pezzi, parte di essi furono ricollocati su scogli di sughero (lo scoglio è la  base che ospita la Natività ) .Via via le collezioni private risultarono incomplete e ben presto si allestirono scogli monoscenici che rappresentavano solo il gruppo della Natività, della taverna, della fontana, di angoli di case e di strade. Il presepe dell’800 si caratterizzò per la fedele riproduzione di scene di vita quotidiana e allo stesso tempo di maggiore sacralità nell’uso di tinte forti nei gruppi della Natività e nell’adorazione di pastori con mani protese verso il Salvatore .Il presepe piacque alla borghesia che curò una scenografia popolare che rispecchiava la vita delle piazze, delle case, dei cortili e delle botteghe. Anche le statuine cambiarono: a differenza di  quelle del Settecento furono realizzate totalmente con la  terracotta, più facilmente riproducibili in serie e più piccole, fino ad un minimo di 4 cm, dette moschelle. Se in origine i piccoli pastori erano collocati in lontananza , nell’800 popolarono presepi in miniatura.

Nel ‘900 decadde l’arte presepiale:  in tempo di guerra gli antichi pastori spesso furono venduti per necessità o per disinteresse sia  da privati che da preti, finendo in collezioni private. Solo alla fine degli anni ’70 si ebbe una rinascita della cultura presepiale  grazie anche al recupero  delle tradizioni natalizie e degli antichi mestieri. Si riscoprirono i pastorari di San Gregorio Armeno che pian piano hanno suscitato interesse in giovani divenuti poi grandi artisti del presepe.

 

Tra i demoni di ieri e di oggi nel presepe… e non solo.

 

“Certo l’immaginario popolare napoletano è ricchissimo di aneddoti”, nota Roberto De Simone. “Si vuole che sulla Terra, nel periodo da Santa Lucia all’Epifania, oltre ai santi ci siano esseri demoniaci che si tengono lontani con l’incenso ed erbe pungenti.”

Il diavolo, simbolo del male e dell’imperfezione, apparteneva al presepe nello scenario di vita e morte, realtà e immaginazione, sacro e profano, religione e magia. Poi è scomparso insieme ad altre figure esoteriche e straordinarie cedendo il posto a derelitti, deformi e  mendicanti, riprodotti con estremo realismo nel  presepe del ‘600 . Il diavolo è il simbolo del malessere dell’anima, di una maligna forza sovrannaturale che svuota, ossessiona, acceca, immobilizza e soggioga  nel male e nel terrore.

 I demoni presenti in forma subdola nelle menti e nell’animo umano, hanno preso consistenza grazie alla maestria tecnica e alla creatività dei famosi Fratelli Scuotto che reinterpretano la tradizione in forme artistiche sempre nuove  e originali nella bottega “La Scarabattola” in via dei Tribunali, nel centro storico di Napoli.

 

Qui  pare quasi che le creature diaboliche si autocompiacciano  di essere ammirate nella loro mostruosità o ammaliante bellezza artistica, come per dire che bisogna temere ciò che è intangibile e invisibile e si insinua in forme più subdole.

Un girotondo di angeli dannati e beffardi ostenta sfacciatamente se stessa ed esula dalle figure stereotipate del presepe artigianale. Orride e fantastiche creature, a volte goffe, ambigue e  quasi ridicole, a volte sensuali, affascinanti e seducenti, spodestate dall’immaginario collettivo hanno preso forma grazie ai fratelli Scuotto. Non sembrano artefici di incubi, né di malefici, ma appaiono neutralizzate dalla loro visibilità rivelata, esorcizzate dall’ intrigante ed originale raffinatezza dell’opera d’arte.

 I demoni sono circondati  da un’umanità di sofferenti  ed esclusi,  ricreati in modo originale, vittime di pregiudizi, di imprudenza, di ingiustizie, di  paure come gli appestati, il femminiello, gli schiavi, i bambini rapiti da Maria a’ Manilonga, la suicida Mafalda, lo Zi Michele atterrito dal Lupo Mannaro. A loro si  contrappongono schiere di angeli, luminose  e dolci  Natività, e  sono arginati  dal capitone su meridiana, frazionato per  rompere la linearità del tempo con la speranza di arrestare gli eventi nefasti e rigenerare un tempo nuovo, più equo e giusto.

  

Eccone alcuni, esposti nella mostra “Tradizione in azione” del  2009.

Flagromor  è l’urlo di Satana, vive nel suo fiato e alimenta roghi blasfemi appiccati per riti pagani.

Bersyl  ha rughe incise dagli artigli del demonio per rubare la fiducia degli uomini in nome della saggezza.

 

 

 

Demorciso, plasmato da Lucifero nell’argilla, è l’immagine della vanità dell’uomo e si nasconde nei riflessi compiaciuti degli specchi. La sua esistenza è andata sparendo nell’inganno della bellezza effimera, che lo ha ridotto all’inconsistenza del suo stesso riflesso.

 

Gelfo 333, troppo curioso per scrutare nelle fiamme del male, ha scorso l’altra metà del tutto ove alberga il bene. Pertanto è stato punito da Satana che gli ha cavato un occhio.

Raptoreves: in inverno il demone bianco (nella prima foto del post) si allea con Satana per confondersi nel gelido freddo delle anime perse che hanno smarrito il calore della speranza.

A fine inverno gli subentra Lividus Gruneraptor (nella seconda foto del post), suo alter ego, che vive nelle ombre dei giorni estivi. Il demone nero segue le prede, fino al calar del sole, per trafugare i sogni dell’uomo fino a rubargli l’anima.

Questo percorso d’arte tra tradizione e contemporaneità, tracciato con genialità dai fratelli Scuotto, si riassume nella figura del Pulcibastiano,trafitto dai corni delle molteplici contraddizioni di una città dalle tante emergenze. Ha  un’espressione di sofferenza sul viso per le spine che si innestano sul suo tronco vitale. “Pulcinella è in scena come ortodossa maschera di napoletanità e anche come emblema di cambiamento.” (Salvatore Scuotto).

Esprime “Il cruento trapasso dallo stadio di superstizione a quello di super azione e martirio. Necessario dolore pagato al miracolo della rinascita urgente e inevitabile come la muta di un serpente che vuole crescere.” 

La sua visione, all’interno della sala,  mi fu  anticipata da un piccolo Pulcinella coricato sulla luna sul pozzo del cortile di San Lorenzo, uno dei  complessi conventuali più importanti del Medioevo napoletano. Abbracciato alla sua malinconia, sembrava avvilito, stanco, inerte. La luna si frapponeva alla demoniaca Maria ‘a Manilonga che dagli abissi continua nel nostro immaginario ad allungare gli artigli per rapire bambini imprudenti. La luna piena lo sostiene ancor oggi,  gli dona  un’aura quasi surreale, sospesa tra il passato, presente e futuro delle tradizioni e della cultura napoletana, che compensano una napoletanità a volte colpevole, ma il più delle volte bistrattata da altri mali. La luna indica trasformazione, crescita, rinnovamento ciclico e fa sperare che trasmetta energia a Pulcinella perché torni ad essere  burlone, scanzonato, vitale, malandrino senza dovere più vendere l’anima al diavolo del facile compromesso e dell’illecito.

Se il piccolo Pulcinella, di ieri e di oggi, crea l’attesa di una nuova risata e suscita qualche profonda emozione, significa che vive ancora in tanti. Come la voglia di rialzarsi e riscattarsi.

 

La storia infinita del presepe napoletano: i tetri personaggi del presepe, ormai scomparsi.

 Nel  Complesso Monumentale di San Lorenzo Maggiore in Piazza San Gaetano a Napoli ( nei pressi di San Gregorio Armeno, sede delle botteghe degli artigiani del presepe), nel dicembre del 2009 ebbi l’occasione di visitare l’interessantissima mostra “Tradizione in azione- un percorso d’arte tra tradizione e contemporaneità”,  realizzata dai fratelli Scuotto, dalla quale ho molto appreso sulla storia e sull’arte del presepe.

Da anni i fratelli Scuotto trasformano l’artigianato in arte pura.  Ideatori e creatori della bottega “La Scarabattola” e dell’Associazione culturale EsseArte, dal 1996 svolgono un lavoro curato, ironico, fedele alla tradizione ma altamente innovativo dell’arte presepiale che, sin dal ‘700, da semplice espressione folkloristica di successo del popolo si elevò a raffinata espressione culturale di Napoli. Documentandosi sui testi “Il Presepe popolare napoletano” e “Le storie e i racconti dei dodici giorni di Natale” del Maestro Roberto De Simone, hanno  scoperto che il presepe nasconde dei simboli straordinari, esoterici e interessanti. 

De Simone  ha recuperato e riproposto  il patrimonio culturale, teatrale e musicale della tradizione popolare campana, riscoprendo e diffondendo anche la tradizione napoletana del Natale. “…La tradizione come scrigno della memoria, ma anche specchio che riflette in modo oggettivo le mutevolezze della nostra identità nel sovrapporsi delle epoche…. il Natale ha  origini arcaiche risalente a  epoche antecedenti e pagane. Timorosi per il futuro, buio e spoglio paventato dall’inverno, i popoli primitivi esorcizzavano le loro paure con rituali propiziatori al ritorno della luce e del calore oppure, più tardi, alla rottura simbolica del tempo con la speranza di arrestare gli eventi nefasti e rigenerare un tempo nuovo, più equo e giusto. Di questo si può intravedere qualche traccia,ormai sbiadita, nell’usanza di tagliare a pezzi il capitone o l’anguilla e nel consumo dei tipici struffoli o del susamiello , dalla caratteristica forma serpentina. (Roberto De Simone:  da “Personaggi di terrore, demoniaci e magico religiosi della tradizione natalizia meridionale-2008)

 Il presepe è quindi la rappresentazione tangibile e visibile della tradizione, non solo come devozione per il Salvatore , ma anche come espressione di tutti i simboli del codice onirico della tradizione (quali il ponte, il pozzo, la fontana, il mulino, il fiume, l’osteria)  vissuti da personaggi tipici di leggende, credenze,superstizioni popolari in una commistione di sacro e profano, magia e religione.                                

Tra i personaggi del presepe napoletano c’erano figure un po’ tetre, alcune demoniache, ritenute depositarie di messaggi terrificanti e perciò, probabilmente, pian piano sono scomparse ma sopravvivono nella costante presenza del pozzo, del ponte e dell’acqua. 

Tra questi personaggi, grazie ai fratelli Scuotto, rivive la mostruosa Maria ‘a Manilonga: nell’Avellinese i bambini devono stare lontani dai pozzi nelle sere delle festività natalizie perchè Maria, essere demoniaco, li cattura (Roberto De Simone) trascinandoli nelle profondità delle acque sotterranee, negli Inferi. Il pozzo rappresenta gli abissi e quindi la comunicazione col mondo dei morti.

Forse non a caso, già nell’intuizione popolare, alla Madonna si contrapponeva  Maria ‘a Manilonga che potrebbero essere  aspetti dell’ambivalente  sentimento materno di madre-matrigna, amore e odio originato dalla doppia e conflittuale soggettività delle madri, il cui figlio vive e si nutre del loro sacrificio. Un sentimento naturale- come sostiene  Umberto Galimberti in “ I miti del nostro tempo” ed. Feltrinelli- sempre esistito, testimoniato dalla mitica Medea, e sempre ripudiato con terrore collettivo  perché intacca la sacralità della vita. L’abisso della solitudine può  trasformare la madre in matrigna con potere di vita ma anche di morte quando quel figlio è troppo distante dai suoi desideri e sogni.

 

 

Mamma Sirena: è il personaggio di una favola che narra di un giovane  pastore che,  lungo la riva del mare, intonava  un canto per favorire il ritorno della sorella dagli abissi marini in cui era tenuta prigioniera. Le pecorelle, mangiando le perle che cadevano dai capelli della fanciulla, acquistavano poteri vaticinanti, svelavano arcani misteri e davano infallibili oracoli.

 

 

Il ponte dei carmelitani: in riferimento al segno del  ponte a Grottaglie e a Napoli, nel giorno dell’Epifania il presepe si arricchiva di una scena singolare. Vale a dire che lì, dove è situato un ponte tra due dirupi, si collocavano dodici figurine di monaci scalzi ed incappucciati, che si rifanno alla Madonna del Carmelo, che è appunto la Madonna delle anime del Purgatorio. Mostravano il pollice della mano sinistra fiammeggiante: essi rappresentavano i mesi morti o i dodici giorni del periodo natalizio che, al seguito dei Magi, ritornavano nell’aldilà .

 

 Il ponte consente il  transito tra il mondo dei vivi e quello dei morti . È un  luogo di manifestazioni magico-fantastiche, rappresentate per esempio dal lupo Mannaro e da Mafalda.

A mezzanotte meno dieci Zi Michele procedeva col suo carretto  in direzione di un crocevia e , da lontano,scorse una strana figura. Giunto al crocevia non lo vide più. Esclamò “Mamma mia, l’ho visto un momento fa. Ma sto sognando, o che mi sta succedendo? ” Non appena attraversò il crocevia, gli si presentò il mostro, il famigerato lupo Mannaro.

Sotto il ponte invece compariva,  in veste di  monaca, il fantasma di Mafalda o, per alcuni  della Principessa Cicinelli, che appartiene alla tradizione campana e pugliese. Suo  padre le  aveva vietato di vedere il paggio di cui si era innamorata  e voleva che si ritirasse in convento. “Quando giunse la sventurata giovane, raccolse piangendo il capo mozzo del suo amato , lo depose nella bisaccia e si trafisse con lo stesso pugnale che il padre aveva lasciato per terra.” (Roberto De Simone).

 Ecco sul ponte il tempo che passa, sotto il mondo dei morti con Mafalda in basso a sinistra.

La tradizione riproposta  con un linguaggio artistico libero, come deve essere sempre l’arte, (Salvatore Scuotto) rivive nella passione artistica  e nella creatività dei fratelli Scuotto.

 

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