I susamielli

 susamielli-napoletaniUn dolce natalizio della Campania è il susamiello, il cui nome probabilmente deriva dal sesamo, i cui semi  ricoprivano i globulos degli antichi romani, palline di formaggio fritte poi immerse nel miele. Cristoforo da Messimburgo, che lavorò prima alla corte degli Estensi e poi dei Gonzaga a Mantova,  nella metà del ‘500 parla dei Sosamielli Perfettissimi preparati con un impasto di farina, zucchero, cedro candito e uova, aromatizzato con  cannella, pepe, varie spezie tipiche della cucina dei nobili, acqua di rose e un’essenza estratta dalle ghiandole del cervo, detta muschio. Dopo un secolo si trovano gli stessi ingredienti nel ricettario di napoletano Antonio Latini e nel ‘700 – ‘ 800 nel Credenziere del Buon Gusto di Vincenzo Corrado che descrisse i Sosamielli delle monache, che forse erano quelle del convento della  Sapienza, cui si devono anche le sapienze , simili ai susamielli e anch’esse dolce tipico  nel periodo natalizio. Nella loro ricetta tra gli ingredienti ci sono anche le mandorle tostate e tritate e i sosamielli di forma ovale sono ricoperti da una glassa all’arancia. In seguito Salvatore Campisi Pistoja li definisce “susamielli “ fatti con farina, miele, spezie e giulebbe d’arancia, sia a forma circolare con buco centrale che a forma di otto. Nel 1830 il cuoco Angioletti della corte parmense parla di susamielli napoletani, senza mandorle e con glassa al cioccolato. La tipica forma di S probabilmente è più recente, risale ai tre diversi susamielli: quello dei nobili preparati con farina fine, quelli degli zampognari o dei poveri con farina più grossolana, e quelli del Buon cammino, ripieni di  marmellata, che venivano offerti ai preti che facevano la questua per le case a Natale. La forma di serpente ha un significato beneaugurale.

Questa è l’ antica  ricetta tratta da “Il credenziere del Buon Gusto” di Vincenzo Corrado, 1820

Ingredienti:

640 g di miele

320 g di giulebbe

1.280 kg di farina

640 g zucchero

110 g di mandorle tostate

160 g di scorzette di arance candite

26 g di cannella in polvere

13 g di chiodi di garofano in polvere

6 g di pepe

Buccia grattugiata di mezza arancia fresca

Per la ghiaccia:

320 g di zucchero

2 arance

 In un pentolino portare a ebollizione miele e giulebbe, schiumandoli fin quando non diventano limpidi. Disporre la farina a fontana, versarvi il miele caldo, lo zucchero, le mandorle tritate, le spezie, la buccia grattugiata di arancia e le scorzette candite. Impastare bene, servendosi di spatole perché l’impasto è caldo, avvolgere in un panno e lasciare fermentare la pasta per 24 ore. Poi tagliarla a pezzi, stenderla fino allo spessore di un dito, tagliare ovali ( oggi si dà la forma di S)  , disporli su una placca da forno e lasciare cuocere  a media temperatura (180° al massimo per 20 minuti). Grattugiare la buccia delle arance, bagnarla con un po’ di succo, filtrare il tutto, unirvi i 320 g di zucchero e mescolare fino a ottenere una crema filante da spennellare sui susamielli.

Oggi esistono ricette più semplici, inoltre  non si lascia fermentare l’impasto per 24 ore e spesso  ai vari  ingredienti  si aggiunge un pizzico ammoniaca.

 

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I mostaccioli

 

“La casa de li spasse, lo puorto de li guste” nel presepe napoletano

 La taverna è uno dei tre quadri fondamentali del presepe napoletano, insieme  alla Nascita e all’Annuncio ai pastori, che per la prima volta  nel 1507 fu  introdotta dal bergamasco Pietro Belverte in un presepe per i frati di San Domenico Maggiore. Dal 1600 in poi la taverna divenne uno spazio caratterizzante il presepe, un angolo di vita quotidiana che in primo piano capta l’attenzione di chi osserva. In effetti il presepe napoletano ha riprodotto e riproduce in sé personaggi, eventi, mode contemporanee e la stessa arte gastronomica vi confluì, considerando che raggiunse l’apice nel 1700.

Già verso la metà del ‘600 il marchese di Crispano censì a Napoli circa 210 taverne dove la tradizione culinaria era ben radicata. Pare che l’ambientazione della taverna sia da ricondurre  all’Osteria del Cerriglio, di fama europea, sorta nel ‘500 e ubicata tra i banchi Nuovi e Sedile del Porto, dietro Piazza Bovio e Corso Umberto. Era  ancora molto  rinomata nel ‘700 sia per la qualità delle pietanze  e del vino, sia perché frequentata da artisti e letterati, nobili e stranieri, amanti della buona tavola che lì venivano a contatto con il popolo e le prostitute.

 

 

Giambattista  Basile scrisse che era

”La casa de li spasse

lo puorto de li guste

dove trionfa Bacco

dove se scarfa  Venere e l’allegria

dove nasce lo riso

cresce l’abballo e  bernolea lo canto

s’ammansona la pace

pampanea la quiete

dove gaude lo core

se conforta la mente

se dà sfratto a l’affanno

e s’allonga la vita pe cient’anne”

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Nella locanda del Cerriglio  il  Caravaggio fu sfregiato al viso nel 1609 durante un soggiorno a Napoli. Qui si esponevano in bella vista una gran varietà di  prodotti alimentari e ortofrutticoli, che potevano  appagare l’atavica fame e la miseria del popolo, più di recente  rappresentate da Pulcinella o dal mangiatore di maccaroni :  salsicce, uova, polli, pesci e frutti di mare, ortaggi, frutta, formaggi, ricotte.

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Oltre ad essere il regno dell’abbondanza, lo era anche della convivialità partenopea e del  divertimento perché musicanti e donne allietavano gli avventori in cerca del piacere o delle chiacchiere sui fatti della città.

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Nella taverna primeggiavano  le colorate maioliche: piatti, zuppiere, lucerne, pavimenti, piastrelle, ampia testimonianza dell’artigianato locale.

taverna con monacoIn seguito, dalla fine del XIX secolo, gli studiosi di storia, di tradizioni e di antropologia rividero la simbologia del presepe e la taverna fu quindi considerata luogo di perdizione ove regnano i vizi di gola, lussuria, gioco ed ubriachezza;  a volte vi compaiono anche un monaco ubriaco, che rappresenta la corruzione temporale della chiesa, i giocatori di carte, detti Zì Vicienzo e Zì Pascale che  hanno poteri divinatori e l’oste che diviene un personaggio demoniaco.

 

Quest’anno vi  segnalo due mostre sull’arte presepiale:

“Maestri in Mostra” presso Villa Fiorentino, Corso Italia 53 –Sorrento (Na) fino al 10 gennaio (ore 10-13 e 16-21) 

“Trentesima Mostra di Arte Presepiale”  nel Complesso Monumentale San Severo al Pendino, Via Duomo 286- Napoli fino all’8 gennaio 2016 (ore 9.00-19.00)

 

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Le zeppole di Natale alla sorrentina

zeppole di Natale alla sorrentina

Le zeppole sono un dolce tipico del Cilento e della penisola sorrentina e amalfitana da gustare durante le feste di Natale. Sono frittelle di pasta, a forma di nocchette, condite con miele aromatizzato. Pare abbiano antichissima origine in quanto già gli egizi preparavano dolcetti a forma di serpente e di animali, mentre i greci preparavano ciambelle, simili alle zeppole, che nella forma ricordano anche la lettera alfa. Ai  Romani invece si fanno risalire le “serpulae”da cui deriverebbe il nome zeppole. Esistono varie ricette di questo dolce povero. Per esempio a Ravello si usa preparare un impasto con uova , latte e patate, come  quello delle graffe, invece a Sorrento le zeppole sono semplicissime frittelle di acqua e farina.

Ingredienti per l’impasto.

due tazze di farina

due tazze di acqua

 

Mettere l’acqua in una pentola sul fuoco e, non appena bolle, versarvi in un sol colpo la farina. Mescolare energicamente con un cucchiaio di legno cercando di rendere omogeneo l’impasto e, quando si stacca dalla pentola, rovesciarlo su una spianatoia o sul marmo, precedentemente unti, e lavorarlo a lungo con forza, sbattendolo, per eliminare i grumi (altrimenti le zeppole scoppiano nell’ olio bollente). Tagliare l’impasto e con le mani formare dei serpentelli di pasta  di circa 15cm di lunghezza da annodare come nocchette. Friggerle poche alla volta in abbondante olio e in una pentola larga dai bordi alti, facendo attenzione perché qualche zeppola potrebbe scoppiare. Asciugare bene su carta assorbente da cucina.

Ingredienti per il condimento:

500g di miele

2 cucchiai di anice

1 cucchiaio di zucchero

la buccia  grattugiata di un limone verde

la buccia di un mandarino a pezzetti

confettini colorati ( i cosiddetti diavulilli)

un rametto di rosmarino

In una pentola sciogliere il miele con lo zucchero, l’anice, le bucce di mandarino e di  limone. Versarvi dentro un po’ alla volta le zeppole, girarle ben bene nel miele, estrarle con delicatezza e adagiarle su un piatto di portata a mò di piramide, cospargendole infine di confettini. Ripetere il procedimento fino a esaurimento delle zeppole, aggiungendo di volta in volta nel miele pezzetti di bucce. Decorare con qualche foglia di rosmarino.

Buon appetito!

I mostaccioli

mostaccioliA Napoli e in Campania i dolci tipici delle  feste natalizie sono tanti: le paste reali di San Gregorio Armeno, i Divino Amore, le sapienze, gli struffoli, le zeppole, i  roccocò, i mostaccioli ,i susamielli, i raffioli. Solo a leggere questa varietà si ingrassa, ma ne vale davvero la pena . I miei preferiti sono i mostaccioli che hanno forma di rombo e sono ricoperti di cioccolato, mentre la pasta interna è a base di miele e frutta candita.

I mostaccioli hanno una lunga origine. Catone ha lasciato la ricetta dei mostacea , un impasto di mosto e farina, grasso e formaggio, speziato da anice, cumino e alloro che veniva cotto su una piastra . Un piatto dei matrimoni romani che sembra molto lontano dai nostri squisiti mostaccioli. In verità dal 200 a. C. di Catone e i primi ricettari del tardo Medioevo si sa poco grazie a notizie frammentarie e a testi arabi. Per i Romani il mosto di Catone era, insieme al miele, un dolcificante, mentre lo zucchero fu portato poi dagli arabi. Nei ricettari del Rinascimento compaiono  farina, zucchero e spezie come  ingredienti degli antenati dei  mostaccioli napoletani  che forse derivano dai pani speziati del Medioevo e dai dolci romboidali di marzapane della  Provenza. Nel 1557 Cristoforo di Messimburgo parla di biscotti preparati con  miele, farina, zafferano, cedro candito, noce moscata e cinnamono. Questi servivano come addensante di sapori per una famosa torta al gusto di cantalupo di Bartolomeo Scappi, cuoco del papa Pio V. Nella sua variante di mostaccioli venivano utilizzate le uova, mentre nel ‘600 si aggiungono mandorle tostate e tritate e proprio alla fine del secolo Antonio Latini  descrive mostaccioli con cedri canditi, mandorle, spezie e una glassa di zucchero alla cannella. Alla fine del ‘700 arriva il cioccolato e nel 1778 Vincenzo Corrado parla di una glassa di cioccolato, quindi si pensa che i mostaccioli napoletani  nascano alla fine del ‘700. Esistevano anche una variante con cannella, chiodi di garofano e noce moscata, un’ altra con cedro e mandorle. Nel 1810 Michele Somma di Nola descrive un mostacciolo fatto con farina, zucchero, mandorle e coperto di cioccolato. Nel 1977 Jeanne Carola ha variato la ricetta  riducendo le spezie e introducendo buccia d’arancia e uno strato di marmellata di albicocche creando  mostaccioli un po’ più morbidi e …squisitissimi.

Come per la maggior parte dei dolci campani esistono tante ricette e varianti, vi propongo quella di Jeanne Carola Francesconi tratta da la Cucina Napoletana.

 

Ingredienti:mostaccioli 1

per la pasta:

500g farina

400g zucchero

100 g acqua

5g spezie in polvere

un pizzico di vaniglia

raschiatura di mezza arancia

0,5 g di carbonato di ammoniaca

 Per la ghiaccia:

300 g zucchero

140g cacao

una punta di cucchiaino di bicarbonato di sodio

50g marmellata di albicocche

2 cucchiai di zucchero

½ bicchiere di acqua

Mescolare farina e zucchero, gli aromi indicati, la raschiatura di buccia di arancia e aggiungere  l’acqua e il carbonato di ammoniaca amalgamando gli ingredienti in una pasta dura. Lasciare riposare per 15 minuti. Stendere la pasta (4 mm di altezza), dividerla in strisce larghe 10 cm da ritagliare in rombi. Riutilizzare i ritagli , impastando di nuovo e formando altri rombi. Spennellare con acqua fredda, metterli su una placca oleata e lasciare cuocere a media temperatura per 7-8 minuti circa rivoltandoli. Estrarre dal forno e lasciare raffreddare. Preparare la ghiaccia al cioccolato con 50 g di cacao, velare una faccia dei mostaccioli e lasciare asciugare. Sull’altra faccia spennellare un sottile strato di marmellata di albicocche, cotta con due cucchiai di zucchero e mezzo bicchiere d’acqua  per 4-5 minuti. Aggiungere alla ghiaccia altri 40g di cacao e stenderla sullo strato di marmellata. Lasciare asciugare i mostaccioli in forno aperto riscaldato per dieci minuti. 

 

Tiramisù

Un dolce ipercalorico, delicato ed energetico. Le dosi sono per un grande tiramisù o due teglie di cm 33 x 25 .

 Ingredienti:

 

4 uova

100 g zucchero

500 g mascarpone

2 pacchi di savoiardi

500 g panna per dolci

Cointreau

caffè freddo (circa 20 tazze)

cacao

 Crema:  

Lavorare gli ingredienti in tre recipienti diversi. 

  1. Separare i tuorli dagli albumi .
  2. Con una frusta sbattere i rossi d’uovo e lo zucchero  fino ad ottenere una spuma.
  3. A parte montare a neve i 4 albumi.
  4. Montare la panna.
  5. Versare delicatamente in una terrina prima la spuma di zucchero e tuorli, poi le chiare d’uovo montate a neve e infine la panna.
  6. Mescolare delicatamente per amalgamare la crema
  7. Aggiungere un cucchiaio di Cointreau
  8. In una terrina rettangolare a bordi alti alternare uno strato di savoiardi imbevuti di caffè e uno di crema per due volte.
  9. Cospargere con cacao.
  10. Lasciare riposare in frigo.

Sorprese di melanzane al cioccolato

Ho deciso di  mettere in pratica le nuove ricette di piatti e dolci scambiate con amiche di spiaggia. Infatti uno degli argomenti tipici delle conversazioni delle donne sono le curiosità e i gemellaggi gastronomici regionali, i cosiddetti cavalli di battaglia dell’arte culinaria  cui difficilmente le donne rinunciano. Se si è un po’ persa la tradizione del corredo di lenzuola e asciugamani ricamati a mano, ingombranti e costosissimi, sopravvivono ancora le tradizioni gastronomiche familiari, tramandate di madre in  figlia, arricchite di varianti originalmente innovative, di sperimentazioni interculturali e contaminazioni di cotture accelerate con il microonde e la pentola a pressione.

 Saper cucinare è una passione, un’arte che soddisfa chi vi si dedica e chi assapora. È espressione di creatività e di gusto nel miscelare odori e sapori in connubi seducenti la vista e il palato.

Mia suocera ha ereditato da sua madre questa ricetta e me l’ha regalata. I suoi dolci di melanzane al cioccolato sono rinomati in famiglia e nel vicinato.

Lei amava cucinare ed era un’ottima cuoca, sperimentava piatti nuovi ritagliando ricette dai giornali o trascrivendole quando le trasmettevano in tv. Selezionava gli ortaggi, le verdure fresche e la frutta più bella che acquistava direttamente dai contadini, coltivava piante aromatiche e usava un po’ tutte le spezie. Essiccava l’origano e i pomodori, si procurava le ‘nserte di pomodorini del Vesuvio per poterli utilizzare poi anche fuori stagione, preparava sottaceti e sottoli, marmellate, conserve di pomodoro, acciughe sotto sale e olive in salamoia. D’inverno non faceva  mai mancare in tavola dissetanti spremute d’arance, colte nel giardino di casa, perché contengono tanta vitamina C che fa bene ai ragazzi. Usava i limoni per il limoncello e per condire le insalate ed era magistralmente esperta nel riconoscere e cucinare i vari pezzi di carne e il pesce fresco.

Aveva  quello che io definisco un magico dono cioè il  sapere dosare gli ingredienti “a occhio”, perciò per  riuscire a risalire alla dose e alla proporzione degli ingredienti, qualche estate fa  mi sono cimentata con lei nella preparazione di questi dolci. Eravamo un po’ accomunate dallo stesso interesse per la cucina e dalla “golosa felicità” dello stesso uomo: suo figlio, che è il mio consorte.

 Ingredienti:

 8 melanzane (lunghe)

300g di cioccolato fondente

300g di biscotti novellini

200 g di zucchero

100-150g di cedro o arancia candita a pezzetti

40g di cacao amaro

1 cucchiaino di cannella in polvere

1 bustina di vanillina

2 uova

 Esecuzione: 

  1. Tritare finemente i biscotti.
  2. Sbattere le uova intere.
  3. Lavare, tagliare le melanzane a pezzi, lessarle in  poca acqua a fuoco lento per un’ora circa.   Mescolarle e schiacciarle  con un cucchiaio di legno fino a quando non saranno completamente scotte.
  4. Passarle nel passaverdura per ottenere una crema di melanzane senza semi.
  5. Aggiungere 200g di  cioccolato fondente spezzettato e scioglierlo nella crema di melanzane.
  6. Versare nella crema così ottenuta  i canditi, il cacao in polvere, lo zucchero, i biscotti sbriciolati, la cannella, la vanillina e infine le uova sbattute.
  7. Mescolare con delicatezza amalgamando tutti gli ingredienti.
  8. Se il composto risulta troppo liquido, aggiungere altri biscotti tritati
  9. Sciogliere i restanti 100 g di cioccolato fondente: una  parte serve a foderare la teglia, la rimanente a ricoprire i dolci.
  10. Versare parte del cioccolato sciolto nella teglia.
  11. Adagiarvi a cucchiaiate il composto dandogli la forma di medaglioni un po’ schiacciati  e coprirli con il rimanente cioccolato .
  12. Infornare a180°.
  13. Controllare la cottura: le sorprese sono pronte quando inizia ad asciugarsi il cioccolato nella teglia.
  14. Lasciare raffreddare prima a temperatura ambiente e poi in frigo.

 

Ah dimenticavo! Questo dolce non aveva un nome preciso. Mia figlia ha suggerito sorprese di melanzane al cioccolato

 

Torta caprese

È una torta molto semplice che si puó fare nella variante al limone sostituendo al cioccolato scuro quello bianco,  la buccia grattugiata di 3 limoni oppure la buccia di 2 limoni e un po’di limoncello (4 cucchiai)

 

  Ingredienti

 250 g di zucchero

 

250 g di mandorle

 

250g di cioccolato fondente

 

200 g di burro

 

5 uova

 

20 biscotti “Maria” (biscotti semplici tipo Novellini, poco dolci)

 

1 bustina di lievito per dolci

 

 Esecuzione

 1. Tritare e mescolare le mandorle spellate, i biscotti e il cioccolato fondente.

 

2.  Sbattere a parte le uova ,versarle sui precedenti ingredienti e mescolare.

 

3.  Amalgamare a parte lo zucchero e il  burro ammorbidito e aggiungere al composto.

 

4. Versare la bustina di lievito.

 

5 .Imburrare e infarinare una teglia

 

6. Infornare a 180 ° per 40 minuti circa.

 

Controllare la cottura con uno stuzzicadenti che dovrebbe risultare  asciutto una volta estratto dalla torta.

 

7. Lasciare raffreddare la torta.

 

8. Rovesciare la torta su un piatto per estrarla dalla teglia e spolverizzare con zucchero a velo.

 

Zucchine e carote alla scapece

Vi propongo due contorni appetitosi a base di carote e di zucchine , da consumare anche freddi.

Le zucchine alla scapece sono un piatto tipico della cucina napoletana. Scapece deriva dallo spagnolo escabeche  con il quale si indica l’ aromatizzazione degli ingredienti, in questo caso delle verdure, nell’aceto.

 

Zucchine alla scapece

Ingredienti

Zucchine

Agliozucchine alla scapece

Menta

Aceto

Sale

Olio per frittura

 

Preparazione

D’estate le zucchine, le zucche lunghe e le zucchette infestano gli orti.  Consiglio di usare quelle un po’ grandi ; lavarle e tagliarle a fette rotonde, friggerle in olio abbondante e scolarle quando hanno un bel colore dorato. Asciugarle con carta assorbente da cucina. Condirle con aceto o aceto balsamico, pezzetti di aglio  e foglioline di menta fresca. Per un’acidità leggera si può diluire un po’ di aceto con l’acqua, si lascia intiepidire sul fuoco e poi si versa sulle zucchine. Mettere in frigo e servire dopo qualche ora, almeno tre, perché le zucchine si aromatizzino bene .

 

 Carote alla scapece.

Ingredienti

Carotecarote alla scapece

Aglio

Peperoncino

Origano

Aceto

Olio d’oliva

 

Preparazione

Lavare e sbucciare le carote, tagliarle a bastoncini, lessarle in acqua, sale  e aceto ( due cucchiai di aceto), scolarle quando sono cotte, ma non scotte. Condirle con pezzetti di aglio e di peperoncino, un filo di olio d’oliva, aceto o aceto balsamico e una manciata di origano. Mescolare bene e servire fredde.

 

Le erbe di San Giovanni: l’iperico

 

giardino dei semplici

Nella magica notte di San Giovanni  tutto è possibile, reale ed immaginario, spazio e tempo  si confondono e le erbe assumono miracolose proprietà poiché il sodalizio tra il Sole  e la Luna, rispettivamente fuoco ed acqua, fa  sì che  la rugiada notturna  ne accresca le proprietà curative. In  passato gli esperti  conoscitori di erbe e di fiori  uscivano per raccoglierle durante la notte di mezza estate:  i monaci , antichi erboristi, selezionavano le “erbe  dei semplici” per preparare infusi, decotti, unguenti con i quali potevano poi curare i bisognosi;  le streghe e gli stregoni  si riunivano da ogni dove, accendevano grandi falò nei quali bruciavano le erbe, i cui resti servivano per preparare pozioni ed intrugli,  e nell’inquieta ed inquietante  notte del Sabba  si  mettevano in contatto con le forze oscure abbandonandosi  a  danze lascive.

  Le forze del bene e del male  festeggiavano la luce e l’ombra del ciclo della vita, intersecandosi in antiche credenze popolari e tradizioni della civiltà contadina, e  sacro e profano si intrecciavano in riti propiziatori. Infatti sul sagrato delle chiese, dedicate al santo, si svolgeva la fiera delle erbe dette appunto di San Giovanni  quali  iperico, lavanda, detta  spiga di San Giovanni, verbena, menta, nota come  erba santa, rosmarino. Tra queste  un particolare primato spettava all’iperico, noto come scacciadiavoli e, per par condicio, scacciadiavolesse.

 

La pianta fu dedicata a San Giovanni  Battista  in quanto si credeva che l’olio rosso, ipericoprodotto dalle foglie e dai fiori (ipericina),  fosse il sangue del santo che, secondo una  leggenda, fermò diaboliche  legioni al galoppo cosicchè l’assatanato Satana perforò la pianta. Di questa vendetta  l’iperico porta traccia nei  piccoli fori  presenti sulle foglie.

 Durante i riti propiziatori  del solstizio d’estate  anche i contadini danzavano intorno ai falò, indossando corone di iperico e lanciandone  rametti con la speranza di ottenere  un buon raccolto , un sano bestiame  ed una casa integra, in quanto pare che l’iperico allontanasse non solo demoni , malefici e sterilità  ma anche i fulmini.

 

Alcuni indossavano un mazzetto di fiori di iperico sotto le vesti  per   sbirciare  di nascosto gli  esseri demoniaci che comparivano nel buio, o per avere buona sorte durante i tornei  tra  cavalieri o ancora , durante la Grande Guerra, per  allontanare le malvagie intenzioni di violenza  a discapito delle donne. Pare che questa pianta fosse governata da Marte  e quindi   potesse sconfiggere  le insidiose possessioni diaboliche e curare i mali dell’anima come  l’isteria, la tristezza , la malinconia, l’insonnia, l’ansia.

 Zompettando tra usi e costumi, erbe e falò  aspettiamo la  magica notte di mezza estate.

 

Il nocillo (nocino)

nocillo-di-campaniaSin dall’antichità in Campania si producevano noci, come risulta documentato da resti carbonizzati di noce, ritrovati nella Casa di Argo ad Ercolano, e dai dipinti della Villa dei Misteri a Pompei . Esse sono un prodotto tipico di Sorrento: a tutt’oggi in molti giardini o aranceti spicca un maestoso noce, oltre a una pianta di alloro. In passato si credeva che tagliarlo portasse male, sia perchè i frutti erano considerati una  riserva alimentare preziosa per l’inverno, sia perchè l’albero assumeva un significato propiziatorio (la noce è simbolo di fecondità) o inerente l’ occulto in quanto sui suoi rami si appollaiavano le streghe.

 Ancor oggi nella penisola sorrentina è diffusa l’usanza di preparare il nocino in casa nella notte di San Giovanni (24 giugno) o a fine giugno, quando le noci sono ancora tenere, acerbe, poco legnose e quindi aromatizzano l’ alcool. Questo liquore, dal sapore intenso e corposo, può essere centellinato a fine pasto come digestivo oppure se ne può versare qualche goccia fredda anche sul gelato alla crema o alla panna.

 

 Ingredienti:

  •  1 litro di alcool

  • 13 noci verdi col mallo

  • 13 chicchi di caffè tostato

  • 13 chicchi di caffè crudo

  • un bastoncino di cannella

  • 3-4 chiodi di garofano

  • una noce moscata

Pulire bene le noci col mallo e tagliarle in quarti. Schiacciare un po’ la noce moscata , servendosi di un martello, se necessario . Mettere tutti gli ingredienti in un barattolo di vetro, con una larga apertura, e chiudere bene con un coperchio. Lasciarlo all’ aperto per 40 giorni e 40 notti, agitandolo un po’ di tanto in tanto. Si possono trovare varianti sulla conservazione del nocino. Alcuni dicono che debba macerare al buio. Per altri il nocino deve essere esposto all’ aperto per catturare i raggi del sole di giorno e il chiarore  lunare di notte, come diceva mia nonna.

Al termine dei 40 giorni filtrare più volte con garze sottili di lino finchè non ci sono più residui degli ingredienti. In alternativa al lino si può utilizzare un colino con il fondo a retina sottile, o foderato con un po’ di carta assorbente da cucina.

 

 Ingredienti per lo  sciroppo

  • mezzo litro di acqua

  • 300g di zucchero

  • buccia sottile di un limone verde

 Per addolcire e diluire il nocino, preparare lo sciroppo con mezzo litro di acqua , 300 grammi di zucchero e la buccia sottile di un limone verde. Versare gli ingredienti in un pentolino sul fuoco, mescolare per fare sciogliere lo zucchero nell’acqua e spegnere non appena inizia a bollire. Aggiungere lo sciroppo freddo al nocino. Imbottigliare e lasciar riposare per altri 40 giorni prima di gustarlo.