Villa Pollio Felice

villa pollio felice

 

Il Capo di Sorrento, che chiude a ovest la baia di Sorrento, è sede di uno dei siti archeologici più importanti dell’intera penisola sorrentina. Qui  sono ben visibili i resti di un’antica villa romana, detta di Pollio Felice, appartenente ad una nobile famiglia di Pozzuoli. Infatti anticamente i patrizi romani amavano villeggiare lungo la costa, ove sono evidenti le tracce del loro soggiorno e delle loro abitazioni che non a caso sorgevano nei luoghi più panoramici e belli .

La villa, risalente al I sec a. C. raggiungibile attraverso un sentiero pedonale o via mare, in effetti sarebbe la villa marittima. Domus e villa  a mare coprivano circa trentamila metri quadri di estensione. La domus vera e propria si troverebbe nella parte alta del promontorio  in località Puolo, da quanto emerso dagli studi più recenti dell’archeologo Mario Russo  (“La villa romana del Capo di Sorrento con i fondi agricoli acquistati dal Comune” della collana “Sud – Immagini e Memoria).. Probabilmente la villa era strutturata su due piani su una pianta di 20m  per 10m, da come la descrive anche il poeta Publio Papinio Stazio in due carmi delle Silvae. Comprendeva  sale di ricevimento, alloggi patronali, per gli ospiti e la servitù, bagni termali, magazzini, cucine e ninfei. Di questa domus non è rimasto quasi nulla se non resti di muri di sostegno e capienti cisterne che servivano ad irrigare le coltivazioni circostanti, perlopiù vigneti, dislocate su terrazzamenti.

Pare che le stesse ninfe marine di notte salissero dal mare per rubare dolci grappoli d’uva.

regina giovanna sorrento

La villa marittima invece sorgeva sulla punta del promontorio ed era collegata alla domus da scale e terrazze. Aveva il suo approdo a mare, peschiere dove si allevava pesce per i banchetti e un ninfeo che si trovava in una conca d’acqua marina interna cui si accede da una fenditura della roccia che forma un arco naturale e oggi noto come bagni della regina Giovanna.

Si narra che qui la regina Giovanna II d’Angiò Durazzo ,che governò Napoli tra il XIV e XV sec, fosse solita immergersi  e uccidere  gli amanti.

 Chissà se i bagnanti della foto sono al corrente che sulla scogliera ove lucertolano d’estate, nelle notti di plenilunio compaiono due spettri, di una donna di bianco vestita che corre  inseguita da un tenebroso cavaliere, su cavallo nero, che però non riesce a raggiungerla.

 

Carnevale della Letteratura #3 – La notte

notte

 

E voilà è arrivato settembre con quell’inconfondibile luce che rende più brillante il verde e  trasparenti le acque e nella prima fresca aria notturna è arrivata a buon fine   la terza edizione del Carnevale della Letteratura avente come  tema  la Notte.

La notte, che da sempre incanta, affascina, appassiona e spaventa. Nel silenzio della notte sembrano emergere in maniera accentuata, più sentita e vissuta,  l’anima razionale ed irrazionale dell’uomo, a volte assorto e concentrato nei propri pensieri, a volte  libero di rincorrere sogni e passioni. La buia notte distoglie dal superfluo, induce  a scrutare e a esplorare  sentieri invisibili, a volte imperscrutabili, e nella sua silenziosa presenza ascolta, custodisce, ispira, guida, rivela indistintamente a tutti ad ogni età e nelle varie fasi della vita.

Tutti i partecipanti a questo Carnevale ci regalano frammenti delle loro notti, a volte tenere e nostalgiche, a volte briose e frizzanti, affascinanti e consolatorie, magiche e misteriose…

Io e Skip vi accompagniamo in punta di piedi nelle tante notti svelate dai nostri amici che  vogliamo ringraziare per avere reso così varia e  luminosa questa iniziativa.

 

Carnevale della Letteratura –terza Edizione

“Non si può toccare l’alba se non si sono percorsi i sentieri della notte.”

(Kahlil Gibran)

Mediterraneo

Iniziamo con   Marisa Bergamasco, che dall’Argentina  cura il blog Cocina y Letras ove riesce abilmente a fondere letteratura e arte culinaria, mescolando  la  nostalgia per l’Italia con i sapori  della buona cucina. Ci propone La notte e le donne più belle d’Italia, un racconto originale e spontaneo come gli affetti più cari associati a notti diverse che, nella loro luce e vicinanza, riescono ad annullare ogni distanza di spazio e di tempo.

“Pochi anni fa, quando telefonavo a mia madre da uno dei tanti posti in cui mi sono trasferita, le chiedevo che guardasse di notte “le tre Marie” (le tre stelle della cintura di Orione, quelle che nel mondo boreale vengono chiamate “I tre re”). A casa di mia madre se ne trovano sopra il serbatoio dell’acqua potabile che a sua volta si trova sopra il tetto della sua camera. Io le cercavo ovunque ci sia stato il mio cielo, e a quel punto, pensare l’una all’altra era il nostro modo casereccio per esorcizzare la lontananza.”

Un mix poetico, delicatamente genuino come la sorpresa finale, molto gradita da Skip e ancor più da me.  😉

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“La notte illuminata dal chiaro di luna è una delle ambientazioni più comuni e suggestive che si possono ritrovare in ambito sia letterario che musicale” è l’incipit del  post “Il chiaro di luna tra musica e letteratura” del giovane  Leonardo Petrillo, esperto di musica e scienze, che sul Tamburo Riparato ci delizia con un’ armonia  di composizioni musicali e letterarie.

“Sempre nell’atto V, Shakespeare immette un’emblematica riflessione relativamente alla musica: L’uomo, nel cui cuore la musica è senza eco, o l’uomo, che non si commuove ad  un bell’ accordo di suoni, è capace di tutto: di tradire, di ferire, di rubare e i moti del suo spirito sono foschi quanto la notte e le sue passioni nere quanto l’inferno. Non ti fidar di lui, ascolta la musica.”

E noi accogliamo volentieri l’invito leggendo e ascoltando il post di Leonardo, magari durante  una notte romantica, e il futurista Marinetti ci scuserà se non abbiamo ancora ucciso il chiaro di luna   😉

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E ora destiamoci  e spalanchiamo bene gli occhi, lasciandoci guidare dall’eclettica  Annarita Ruberto, la professoressa del web, esperta di matematica, fisica,  scienze e astronomia di cui scrive su Scientificando e Matem@ticamente, oltre che pubblicista di articoli scientifici sulla rivista  “Scuola & Didattica”.  Questa volta  sul blog Web 2.0 and Something  ci offre due componimenti poetici.

 Immersa  nella volta celeste contempla la Notte che

 “Pietosa signora

doni ali a pensieri.

Offri asilo ai desideri

Che vagano stranieri”

Una notte che, inquieta, ispira e nutre talenti.

 Annarita però non può non subire il fascino degli astri  e lo traduce in versi in   “ Le stelle” che  rischiarano le strade del cielo, dell’uomo  e delle varie civiltà e da sempre racchiudono nella loro magica polvere il mistero dell’universo.

 

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“Quella notte” , lettori,  che notte! Una notte tutta  da scoprire su Il Gloglottatore  , che lascia ampio spazio all’immaginazione e alla libera interpretazione.  Bernardo R., l’autore, è anche uno degli ideatori  del Carnevale della Letteratura  e  gloglotta convinto  che il mondo umanistico può amalgamarsi con quello scientifico o di altre arti e campi dell’ingegno umano. Infatti ci ha contagiati e convinti,  speriamo di esserlo sempre in  più.  Qui trovate i temi delle varie edizioni del Carnevale.

 

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Seguiamo adesso  Margherita Spanedda  che cura i blog  Un po’ di chimica e Il gatto a righe.  Nelle “Stelle”  racconta  una di quelle notti  pungenti che riescono a parlare  all’anima tra presente e passato, tra le  luci e  le ombre della vita di Maria. “…le  ombre dei suoi pensieri, dei suoi desideri, diventate improvvisamente solide , palpabili” riemergono da uno spazio vissuto e divenuto  troppo stretto e respirano in quello della memoria  e nell’ infinito  universo ove ricongiungersi alla luce di quelle stelle che attraversano la nostra vita come comete…

Altro contributo  di Margherita è il post  “La Dea” che nel suo splendore   affascina   gli uomini sin dalla notte dei tempi, incanta regalando un senso di infantile stupore a una nostra lontana progenitrice   che non può ancora intuirne  i misteri  nel ritmo del tempo e nella ciclicità della natura.

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“La luna spuntando dietro la cresta dei Ronchi, fece la sua comparsa nel cielo stellato e limpido e si mise all’opera per completare l’impresa iniziata dall’acqua. Con la sua straordinaria forza di gravità capace di alzare e abbassare le acque dei mari e degli oceani, come una misteriosa alchimia, mescolò le molecole dell’acqua con le vitamine della cornola dando così origine a una nuova forma di vita sconosciuta sulla terra.” Chi nacque? Il Sanguanello, un folletto dispettoso e burlone che è ricomparso  dalle leggende delle valli dell’Altopiano di Asiago  nei racconti di Fiorella Lorenzi insieme a “L’Anguana del Cion” .Tra suggestive descrizioni e un’apparente semplicità narrativa personaggi reali ed immaginari dei monti e dei boschi fanno decollare la fantasia nella semplice, quasi fiabesca,  atmosfera di un mondo rurale di altri tempi. Io e Skip ringraziamo anche Silvano Bottaro, alias Novalis, che ha pubblicato il post di Fiorella nel blog Novalismi  e invitiamo la cara Fio a scrivere, scrivere e farsi leggere. Ecco l’abbiamo detto ufficialmente!

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Ora passiamo a uno dei promotori e assiduo sostenitore del Carnevale della letteratura, cioè Spartaco Mencaroni di Il Coniglio Mannaro. Chi è il Coniglio? “Il Coniglio Mannaro è quella parte di ognuno di noi che si è persa in un posto magico e guarda da lontano il nostro mondo e la sua luna. Continua a raccontare storie fantastiche e frammenti di sogni, a volte fingendo di voler tornare indietro.” Un biglietto di presentazione per un giovane scrittore, di grande creatività e sensibilità, che riesce sempre a produrre racconti suggestivi, ora  teneri e delicati, ora misteriosi e avvincenti. Spartaco ha contribuito a questa rassegna con ben tre post.

In quella pallida estate, durante una lunga notte, accadono cose per noi viventi quasi incomprensibili. “Noi ricordiamo poco. I nostri pensieri si sciolgono nella luce e, nel buio, rimangono oscuri. Il giorno è chiarissimo dolore, la notte dolcissima stempera ogni memoria e ci conforta con la sua vaga tristezza.

Ma alcune cose restano, fissate come la trama di una ragnatela su cui splendono gemme argentate e gocce di pioggia inzuppate di luna.

Avvenne quell’estate, sotto un pallido cielo, che un’improvvisa bruma assai densa ci avvolgesse subito prima dell’alba.”

Due mondi si sfiorano nell’alba, momento di passaggio  dalle tenebre alla luce, dove la dolcezza e l’amarezza insite in ogni perdita si uniscono .

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Neve sull’argine grande è invece un racconto poetico che prende spunto dall’ “Autoritratto con paesaggio”  di Matteo Pedrali e accarezza le varie sfumature dell’amore nell’alternanza di giorno e notte, delle luci e delle ombre dell’umano sentire. Questo  post è un bell’esercizio di scrittura  di  Spartaco Mencaroni  che riesce a  dipingere con descrizioni accurate e incisive.

 

Di notte accadono cose che non si possono capire, ma solo intuire. “Ma quest’inverno è 37diverso. C’è uno strano freddo, che entra nell’anima. Le giornate non sono mai del tutto luminose ed è come se la notte assediasse le ore di luce. Posso sentire le ombre, si spingono ai margini del giorno, in attesa del buio.”   Nelle Notti d’inverno si snoda una storia  avvincente che sconfina dal mondo  reale a quello immaginario  negli inesplorati meandri della mente umana,  popolati da inquietanti presenze.

E infine veniamo  a noi.  Io e Skip ci siamo un po’ persi tra notti, stelle , lune e sensazioni. 

 

bambina con gatto“Caro lettore accingiti a seguirmi  e a percorrere con calma lunghe strade  di polvere e  germogli  tracciate nella memoria dei cuori e delle menti di chi narra storie e leggende, ora nascoste  dalle  tenebre della superstizione  e della vendetta, ora illuminate dalla  dolcezza dell’amore  e dalla magia della natura.” È l’incipit di  “Non avevo mai visto occhi così verdi”. Di chi? Provate a  scoprirlo nella storia di Cecilia, presunta o vera strega bambina, Tommaso e il Gatto, personaggi reali e fantastici in una storia un po’ misteriosa.

 

“L’anima è piena di stelle cadenti (Victor Hugo) “e anche la notte di San Lorenzo che ha ispirato semplici riflessioni e una grande meraviglia di fronte a uno spettacolo che si ripete e non stanca mai.

 

“Pompei, maledetta dalla natura e benedetta dagli dei, suggestiona chiunque nei suoidomus pompei chiaroscuri, nell’eco remota che risuona dentro, nella sua  immensità costellata da vibranti fiammelle che segnano il percorso, quasi a ricordo del percorso esistenziale dell’umanità. “Qui siamo felici” è l’epitaffio più bello in memoria di una città che ha ancora tanto da dire indistintamente a tutti.”

Hic sumus felices – Le magiche Lune di Pompei è un post ove dalla storia di Pompei , esplorata in visite notturne, si approda a riflessioni che accomunano l’umanità del passato e del presente .  

In una notte d’autunno è un  breve sguardo dentro di sé per ritrovare “ l’anima bambina. La stessa che tace parole non scritte per pudore e per timore di annoiare e di ferirsi. La stessa che ora si lascia decantare e si placa  nell’ abbraccio  di una morbida notte  d’autunno.” 

serena notte

Siamo quasi  arrivati alla conclusione del Carnevale  e io e Skip ringraziamo tutti i partecipanti e i lettori per avere seguito questa luuuuuuuuuunga rassegna.Ricordiamo che la quarta edizione del Carnevale della Letteratura sarà ospitato su Scienza e Musica di Leonardo Petrillo che ha scelto come  tema “ il tempo”. Potrete segnalare i link di vostri  post inerenti il tempo entro la fine di settembre .

 

Ora ci congediamo  lentamente e vi regaliamo un ultimo e splendido omaggio di Fernando Pessoa alla Signora  che, nelle sue mille sfumature ,  ci ha ispirati e guidati perché “La notte non è meno meravigliosa del giorno, non è meno divina; di notte risplendono luminose le stelle, e si hanno rivelazioni che il giorno ignora.” ( Nikolaj Berdjaev)

tutteleluneOde alla notte

Vieni, Notte antichissima e identica,
Notte Regina nata detronizzata,
Notte internamente uguale al silenzio, Notte
con le stelle, lustrini rapidi
sul tuo vestito frangiato di Infinito.
Vieni vagamente,
vieni lievemente,
vieni sola, solenne, con le mani cadute
lungo i fianchi, vieni
e porta i lontani monti a ridosso degli alberi vicini,
fondi in un campo tuo tutti i campi che vedo,
fai della montagna un solo blocco del tuo corpo,
cancella in essa tutte le differenze che vedo da lontano di giorno,
tutte le strade che la salgono,
tutti i vari alberi che la fanno verde scuro in lontananza,
tutte le case bianche che fumano fra gli alberi
e lascia solo una luce, un’altra luce e un’altra ancora,
nella distanza imprecisa e vagamente perturbatrice,
nella distanza subitamente impossibile da percorrere.
Nostra Signora
delle cose impossibili che cerchiamo invano,
dei sogni che ci visitano al crepuscolo, alla finestra,
dei propositi che ci accarezzano
sulle ampie terrazze degli alberghi cosmopoliti sul mare,
al suono europeo delle musiche e delle voci lontane e vicine,
e che ci dolgono perché sappiamo che mai li realizzeremo.
Vieni e cullaci,
vieni e consolaci,
baciaci silenziosamente sulla fronte,
cosi lievemente sulla fronte che non ci accorgiamo d’essere baciati
se non per una differenza nell’anima
e un vago singulto che parte misericordiosamente
dall’antichissimo di noi
laddove hanno radici quegli alberi di meraviglia
i cui frutti sono i sogni che culliamo e amiamo,
perché li sappiamo senza relazione con ciò che ci può
essere nella vita.
Vieni solennissima,
solennissima e colma
di una nascosta voglia di singhiozzare,
forse perché grande è l’anima e piccola è la vita,
e non tutti i gesti possono uscire dal nostro corpo,
e arriviamo solo fin dove arriva il nostro braccio
e vediamo solo fin dove vede il nostro sguardo.
Vieni, dolorosa,
Mater Dolorosa delle Angosce dei Timidi,
Turris Eburnea delle Tristezze dei Disprezzati,
fresca mano sulla fronte febbricitante degli Umili,
sapore d’acqua di fonte sulle labbra riarse degli Stanchi.
Vieni, dal fondo
dell’orizzonte livido,
vieni e strappami
dal suolo dell’angustia in cui io vegeto,
dal suolo di inquietudine e vita-di-troppo e false sensazioni
dal quale naturalmente sono spuntato.
Coglimi dal mio suolo, margherita trascurata,
e fra erbe alte margherita ombreggiata,
petalo per petalo leggi in me non so quale destino
e sfogliami per il tuo piacere,
per il tuo piacere silenzioso e fresco.
Un petalo di me lancialo verso il Nord,
dove sorgono le città di oggi il cui rumore ho amato come un corpo.
Un altro petalo di me lancialo verso il Sud
dove sono i mari e le avventure che si sognano.
Un altro petalo verso Occidente,
dove brucia incandescente tutto ciò che forse è il futuro,
e ci sono rumori di grandi macchine e grandi deserti rocciosi
dove le anime inselvatichiscono e la morale non arriva.
E l’altro, gli altri, tutti gli altri petali
– oh occulto rintocco di campane a martello nella mia anima! –
affidali all’Oriente,
l’Oriente da cui viene tutto, il giorno e la fede,
l’Oriente pomposo e fanatico e caldo,
l’Oriente eccessivo che io non vedrò mai,
l’Oriente buddhista, bramanico, scintoista,
l’Oriente che è tutto quanto noi non abbiamo,
tutto quanto noi non siamo,
l’Oriente dove – chissà – forse ancor oggi vive Cristo,
dove forse Dio esiste corporalmente imperando su tutto…
Vieni sopra i mari,
sopra i mari maggiori,
sopra il mare dagli orizzonti incerti,
vieni e passa la mano sul suo dorso ferino,
e calmalo misteriosamente,
o domatrice ipnotica delle cose brulicanti!
Vieni, premurosa,
vieni, materna,
in punta di piedi, infermiera antichissima che ti sedesti
al capezzale degli dei delle fedi ormai perdute,
e che vedesti nascere Geova e Giove,
e sorridesti perché per te tutto è falso, salvo la tenebra e il silenzio,
e il grande Spazio Misterioso al di la di essi… Vieni, Notte silenziosa ed estatica,
avvolgi nel tuo mantello leggero
il mio cuore… Serenamente, come una brezza nella sera lenta,
tranquillamente, come un gesto materno che rassicura,
con le stelle che brillano (o Travestita dell’Oltre!),
polvere di oro sui tuoi capelli neri,
e la luna calante, maschera misteriosa sul tuo volto.
Tutti i suoni suonano in un altro modo quando tu giungi
Quando tu entri ogni voce si abbassa
Nessuno ti vede entrare
Nessuno si accorge di quando sei entrata,
se non all’improvviso, nel vedere che tutto si raccoglie,
che tutto perde i contorni e i colori,
e che nel cielo alto, ancora chiaramente azzurro e bianco all’orizzonte,
già falce nitida, o circolo giallastro, o mero diffuso biancore, la luna comincia il suo giorno.

Fernando Pessoa

 

immagini dal web
 

Hic sumus felices – Le magiche Lune di Pompei

Da maggio a ottobre  del 2010 e 2011  il Parco Archeologico degli Scavi di  Pompei ospitò l’edizione di “ Le  Lune di Pompei”, consistente in  visite notturne del sito archeologico. Per la terza edizione del Carnevale della Letteratura  ricordo quelle notti del 2010 e 2011 che per me sono state tra le  più magiche e suggestive finora vissute.

domus pompei

 

Nel chiarore magico e  misterioso delle Lune Eterne ( la Luna di Morte, la Luna della Speranza, la Luna Virtuale, la Luna della Vita, la Luna che non c’è, la Luna che si Diverte) l’antica città sepolta  racconta i misteri non svelati, che mai hanno abbandonato Pompei .

necropoli lune di pompei

Il percorso parte dalla necropoli di Porta Nocera,  prosegue nell’Orto dei Fuggiaschi, continua verso la Casa del Giardino d’Ercole, in via dell’Abbondanza, soffermandosi nella casa del profumiere, di Octavius Quartius,erroneamente  chiamata in un primo tempo domus di Loreius Tiburtinus, di Venere in Conchiglia e infine si conclude con suggestivi ed onirici giochi di luce nell’Anfiteatro. La voce dell’attore Luca Ward e alcune proiezioni guidano il pubblico in una suggestiva ed eterna realtà parallela per fare vivere e rivivere  Pompei.

L’eruzione del Vesuvio, per l’esattezza  del monte Somma,  nel 79 d. C. fermò la vita di orti dei fuggitivi pompeiPompei sotto una coltre di cenere e lapilli spessa 6-7 metri. La maggior parte degli  abitanti, fuggiti dalle case, trovarono la morte  sul litorale. I pochi rimasti, sperando di salvarsi nei sotterranei  delle abitazioni, morirono asfissiati. Toccanti testimonianze della tragedia sono  i calchi dei Fuggiaschi, ricostruiti  dall’archeologo Giuseppe Fiorelli nel 1863  versando gesso liquido nelle cavità lasciate dai corpi nello strato di cenere.

Camminare per le vie di uno dei siti archeologici più suggestivi  e famosi del mondo, è sempre emozionante. È come viaggiare a ritroso nel tempo. Passeggiare di notte  in una Pompei  illuminata da splendenti Lune piene, seguendo un itinerario tracciato da fiammelle, è un’esperienza unica ed affascinante.

via dell'abbondanza pompeiPassare in punta di piedi sulla strada , esterna alla cinta  della città e conducente  a Nocera, fiancheggiata da numerosi sepolcri monumentali dà l’impressione di violare e consacrare allo stesso tempo la profonda  intimità della morte in una città apparentemente muta e  deserta. Qui si coglie la ciclicità di vita e morte, ove la morte non è frattura o interruzione ma è una delle incombenze dell’uomo, un continuum  della vita e la vita è commistione di otia e negotia , di sacro e profano confluenti nel mito. “Si tenevano in casa le ceneri o le immagini dei propri avi; li si salutava entrando, i vivi restavano in contatto con loro; all’entrata della città, le loro tombe allineate ai due lati della strada,  somigliavano a una prima città, quella dei fondatori”(H.Taine – “Viaggio in Italia”)

Qui però stranamente si continua a respirare la vita quotidiana dell’antichità nelle abitazioni e nelle botteghe, il fermento dei luoghi pubblici, la devozione per gli dei e la pietas per i defunti, il gusto raffinato per l’arte e i piaceri della vita, il valore del talento, dell’ingegno e dell’operosità.

Le Lune di Pompei splendono in alto riversando un’aura di bianca quiete su luoghi che raccontano a tutti per essere ascoltati da alcuni.

 

Gli orti, arricchiti di filari  e di ulivi dalla chiome argentate, nel 1961 restituirono alla storiacalchi vittime pompei 2  tredici vittime dell’eruzione, asfissiate dal gas e dalle ceneri durante la fuga. Nei cosiddetti Orti dei Fuggiaschi il destino di Pompei parla a chiunque. La pietas erompe alla vista di  sagome contorte e sofferenti. L’immaginazione assume una dimensione tristemente più concreta, ma proprio quei calchi fanno rivivere la città. I vuoti dei corpi si riempiono di  tutta la vita narrata sui muri e sui basoli sconnessi, nelle domus, tabernae, terme, teatri e foro dando una dimensione umana ad una civiltà grandiosa.

 

tabernaeOgni  muro, colonna, cubiculum, peristilio, cespuglio di rosmarino, giardino interno  respira ancora e l’immaginazione restituisce gli affreschi, i mosaici, le suppellettili e le statue che arricchivano gli spazi, ora deserti, dove ti senti un intruso in uno scenario fuori dal tempo e percepisci  un invadente senso di solitudine che ti riempie di riverente stupore ed ammirazione  per un  qualcosa di irraggiungibile e grande.

 Come il bello che traspare dalla domus più raffinate. E ti pare di sentire le fragranze della casa del profumiere, di vedere scorrere l’acqua nella lunga vasca di marmo ombreggiata da una pergola nella casa di Octavius Quartius. Ti pare di vedere brillare al sole i personaggi mitici e leggendari  di altri tempi e civiltà.

venere in conchiglia pompei

E ti chiedi chi possa avere calpestato quella strada, chi si sia fermato sull’uscio di quella locanda, chi sia l’autore di questi graffiti che,in questi casi, non informavano nè provocavano ma comunicavano per davvero un modus vivendi.

hic sumus felices graffiti pompei

“ HIC SUMUS FELICES” cioè “QUI  SIAMO FELICI”.

Una solenne proclamazione  di gioia e vitalità collettiva che associo a tutte le genti che vivevano Pompei. Uno squillo per i secoli a venire , una speranza di buon augurio per noi,  provenienti dal futuro, incapaci soltanto di definire la felicità se non per difetto e tanto meno di scrivere una cosa del genere sui muri di una qualsiasi città. “Qui siamo felici.” E sarà una delle magiche  lune di Pompei  o il fascino acuito dalle ombre di una dolce notte d’estate, sarà il mistero di queste strade percorse da chissà chi  e di questi muri  che raccontano più di mille parole, ma in questa scritta graffiata c’è tutta la vita, la forza  prorompente e la grandezza di una civiltà. Qui siamo felici. E non provo invidia ma commozione e un senso di compiaciuta appartenenza a un patrimonio universale, a una sorta di  Eden nascosto, carpito attraverso le fonti storiche. 

Pompei, maledetta dalla natura e benedetta dagli dei, suggestiona chiunque nei suoi chiaroscuri, nell’eco remota che risuona dentro, nella sua  immensità costellata da vibranti fiammelle che segnano il percorso, quasi a ricordo del percorso esistenziale dell’umanità.“Qui siamo felici” è l’epitaffio più bello in memoria di una città che ha ancora tanto da dire indistintamente a tutti.

 Scontenti e perennemente incontentabili, riusciremo mai ad annunciare ai posteri “Qui siamo felici” non per effetto di una momentanea scarica di adrenalina o senza cedere ad una qualsiasi forma di finzione?

 casa del profumiere 1casa profumiere pompeinecropoli porta nocera pompeigraffiti pompei 2graffiti pompei 3affreschi pompei

Li Galli

li galli

L’arcipelago delle Sirenuse ( oggi detto Li Galli)  spicca in mezzo al mare tra la costa sorrentina e Positano e rientra nell’area marina protetta di Punta Campanella.E’ formato da tre isolette (il Gallo Lungo, la Rotonda e il Castelluccio) considerate già dal greco Strabone (I sec a. C) la mitica sede delle Sirene  ammaliatrici. Nell’arte greca arcaica queste divinità erano rappresentate per metà donna e metà uccello ( di qui il nome Li Galli); solo successivamente come donne con una coda di pesce. Le astute Sirene stregavano i naviganti con un canto irresistibilmente melodioso e sapevano incantare con dolci parole toccando il cuore e l’intelletto dei malcapitati, che beatamente si lasciavano sedurre e naufragavano contro gli scogli.

A Ulisse promisero che, se si fosse fermato, gli avrebbero rivelato i segreti della conoscenza e ciò che sarebbe avvenuto in ogni tempo e luogo della terra. Non poteva esserci tentazione più forte per  l’intelligente Odisseo, che peregrinò a lungo per terre e mari  spinto dal desiderio di conoscere. Ma l’eroe si fece legare all’albero della nave dopo aver furbamente turato con la cera le orecchie dei suoi marinai .Invano cercò di svincolarsi dalle corde cedendo alle dolci lusinghe. Quindi le sirene, da lui sconfitte , poiché non erano immortali ma vivevano finchè riuscivano ad incantare, si uccisero gettandosi nel mare dall’alto delle isole. Si chiamavano Leucosia, Ligeia e Partenope. Il corpo di quest’ultima fu portato tra gli scogli di Megaride dove sorse il primo insediamento di quella che sarebbe poi diventata Napoli. Gli abitanti del villaggio scoprirono la dea con gli occhi chiusi, il viso bianco di fanciulla e lunghi capelli, simili ad alghe, e in suo onore eressero un sepolcro. Partenope diede il nome al villaggio diventandone la protettrice,venerata dalla popolazione con sacrifici e fiaccolate sul mare. A lungo storici e archeologici hanno cercato di localizzare il suo sepolcro… ma storia e leggenda si confondono.

Li Galli- Positano

 

Altri  personaggi mitologici s’imbatterono nelle Sirene, cioè gli Argonauti, una schiera di circa 50 eroi che a bordo della nave Argo si scavezzacollarono in mille avventure e peripezie per conquistare un prodigioso vello d’oro. L’abile Orfeo riuscì a cantare e suonare la lira divinamente, umiliando così le Sirene che si gettarono in mare e si tramutarono in sassi.Probabilmente nel mito le Sirene sottintendevano i pericoli della navigazione in un tratto di mare caratterizzato da forti correnti, che spesso causavano il naufragio delle imbarcazioni contro queste isole.

Nel 1225 Federico II di Svevia donò al monastero di Positano le  tres Sirenas quae dicitur Gallus . Nel 1924 il coreografo e ballerino russo Leonide  Massine acquistò le isole e vi fece costruire una splendida villa, abbellita poi dall’architetto Le Corbusier. Tra gli anni ’80 e ‘90 nella pace de Li Galli amava ritirarsi un altro ballerino russo, Rudolf  Nureyev. Attualmente le isole sono proprietà di altri privati.

 Li Galli, sospesi tra cielo e abissi, tra storia e leggenda affascinano terribilmente …

Il Vervece

vervece 1

Vervece

 

Di fronte a Marina della Lobra, borgo marinaro di Massa Lubrense, a circa un miglio di distanza da terra  emerge dal mare lo scoglio del Vervece (dal latino vervex che significa caprone), in dialetto detto ‘o Revece.

 Pare che quest’isolotto abbia determinato la forma del fondoschiena delle donne massesi. Infatti una leggenda popolare narra che le energiche massesi, giovani e meno giovani, zitelle e maritate, decisero di tirare lo scoglio a riva con una robusta fune temendo che i Sorrentini volessero rubarlo o, secondo un’altra versione, per riparare Marina della Lobra  dalle mareggiate. A forza di tirare, la fune si spezzò e le donne caddero all’indietro subendo un grave danno consistente nell’ appiattimento e ingrossamento del deretano. L’aneddoto è descritto da un canonico a Monsignor Giuseppe Giustiniani, arcivescovo di Sorrento dal 1886 al 1917  nel terzo canto del poemetto ‘O Paese mio di Francesco Saverio Mollo.

vervece e capri

Vervece e sullo sfondo Capri

 

Il Vervece fa da scenario anche ad un’altra storia che ha come protagonisti due pittori: Carlo Amalfi e Luigi Blower. Quest’ultimo si rivelò un falso amico, invidioso e malvagio al punto tale da fare imprigionare Carlo. Durante la prigionia l’Amalfi capì l’inganno e meditò la vendetta. Scontata la pena, l’esperto marinaio Carlo invitò l’amico a fare un giro in barca a vela proprio quando s’avvicinava una burrasca. Luigi, non sapendo nuotare e spaventato dal mare agitato, lo pregò di farlo sbarcare. Carlo pensò bene di abbandonarlo sullo scoglio del Vervece, esortandolo a meditare sul male che gli aveva fatto. Il giorno dopo tornò all’ isolotto per recuperarlo, ma non lo trovò. Lo cercò invano e a lungo e per il resto della vita fu tormentato  da incubi di tempeste e naufragi causati dal rimorso di aver provocato la morte di Luigi. Quando capì di essere in fin di vita, Carlo chiamò un frate cappuccino per confessare il presunto delitto e scoprì che quel frate era proprio Luigi Blower che, tratto in salvo da alcuni procidani, si era poi ritirato in convento per espiare i peccati commessi. Così Carlo Amalfi  morì libero dal senso di colpa…ma in compenso l’amico Luigi gli aveva turbato non poco la vita.

 

Il Vervece però è noto perché nelle sue prossimità Enzo Maiorca conquistò il record mondiale di profondità in apnea (1974). Successivamente fu posta una Madonnina di bronzo alla base dello scoglio a circa 15 metri di profondità. Qui ogni anno, la seconda domenica di settembre, è celebrata una messa in onore della Madonna del Vervece, protettrice dei subacquei, alla quale partecipano molti devoti, che raggiungono lo scoglio con ogni tipo di imbarcazione, e sub che s’immergono per deporre fiori.

 

“Quando voglio pensare a qualche cosa di piacevole e di riposante mi viene subito davanti agli occhi la mia cara villa di Bordighera” (Regina Margherita di Savoia, 1923)

 

regina margherita di savoia- bordighera

Margherita Maria Teresa Giovanna di Savoia  nacque a Torino nel 1851 da Ferdinando di Savoia – Genova e Elisabetta di Sassonia.  Rimasta orfana del padre a quattro anni , fu accudita dalla contessa Clelia Monticelli di Castelrosso e da don Mottura, un prete liberale amico di Gioberti, che si preoccuparono della salute, dell’educazione e della serenità  della piccola. Dopo qualche anno  si avvicinò alla musica e alla pittura  acquisendo gradualmente gusto per il colore che sperimentò negli acquerelli anche durante la vita da regina. Imparò  quattro lingue, ma solo a quattordici  anni iniziò a studiare l’italiano, la storia e la letteratura italiana con il professore Andrea Tintori.

Cresciuta nel clima risorgimentale Margherita conciliò bellezza  e buon gusto con la forza e la determinazione del carattere, il  senso del dovere con una buona  capacità di comunicazione. A otto anni preparò bende per i feriti degli scontri del 1859 per un dovere di assistenza che l’accompagnò anche in seguito come regina madre dedita ad opere di beneficenza.

Nell’aprile del  1868, a diciassette anni,  sposò il principe Umberto, che in realtà amò sempre la  bella Bolognina, cioè  Eugenia Attendolo Bolognini, contessa Litta. Tra migliaia di margherite, che addobbarono il duomo di san Giovanni a Torino e gli abiti delle dame , la fanciulla sposò la monarchia sin dall’inizio, dimostrando di avere un profondo senso del proprio ruolo regale, e chiese al re Vittorio Emanuele II il permesso di affacciarsi i per salutare il popolo festoso. Non fu un caso se  divenne  uno dei personaggi più amati della storia italiana: con  l’aggraziata  freschezza di sposa fanciulla e il carisma di un’innata signorilità conquistò l’alta società e il popolo. Anche quando visse a Monza , ove dimorava la “Bolognina”, la principessa Margherita  non dimenticò  le funzioni e i doveri del suo rango. Si trasferì a Napoli quando il re decise che il nascituro  erede al trono doveva nascere lì per ragioni di stato. Infatti  il piccolo Vittorio Emanuele  III  nacque a Napoli  nel novembre del 1869 e fu accolto in una  culla regale, decorata con  medaglioni di madreperla e corallo, dono dei  napoletani realizzato sotto la guida di  Domenico Morelli e di Luigi Settembrini. Quando Roma si unì con un plebiscito al regno d’Italia, la famiglia reale si trasferì al Quirinale. Nella Città eterna la principessa Margherita  conciliò impegni di vita mondana con quelli familiari di cura del figlio, ma soprattutto iniziò ad accogliere nella nuova reggia poeti, letterati , artisti famosi e non. Il 9 gennaio 1878 morì il re Vittorio Emanuele II e il principe Umberto salì al trono . Margherita divenne pertanto la prima regina d’Italia. Una  regina incantatrice: colta, raffinata, elegante e affabile si fece amare durante un viaggio per l’Italia non disdegnando di indossare costumi tipici e gioielli di orafi locali. Ebbe  carisma e rappresentò  la vera forza della monarchia perché fu ben consapevole del proprio ruolo regale, dei propri doveri nella vita privata e pubblica , di mecenate delle arti e della cultura, di generosa  e affabile interlocutrice con ambasciatori stranieri e gente del popolo dalla quale si lasciò avvicinare. Divenne un punto di riferimento , a differenza dello schivo consorte  più dedito all’ arte venatoria e amatoria. La regina visitava collegi, orfanatrofi  e  scuole, partecipava  a inaugurazioni ed eventi culturali e mondani. 

villa regina margherita

Nel luglio del 1900 il gioviale re Umberto, scampato a precedenti attentati, fu  assassinato con quattro colpi di pistola dall’ anarchico Bresci e quindi  l’11 agosto gli successe al  trono il re Vittorio Emanuele III. Di conseguenza la  regina Margherita assunse il ruolo di regina madre, continuando a dedicarsi ad opere di beneficenza e di promozione delle arti e della cultura .

finestra villa regina Margherita

 Dopo l’attentato  al consorte, nel settembre 1879, si recò a Bordighera e fu ospitata dal barone Bischoffsheim nella  villa Etelinda. Anni dopo ritornò nella tranquilla cittadina del Ponente ligure e nel 1914 acquistò una villa con giardino  che l’architetto Luigi Broggi trasformò nella splendida Villa Regina Margherita. Dal 1916 da maggio a dicembre la regina si ritirava nella villa, dove ritrovava  la serenità tra le tante rose e il verde del parco. Non si sottrasse a impegni di vita pubblica fino a quando  si spense  nell’ amata villa di Bordighera il 4 gennaio 1926.

“Margherita di Savoia è artista pel bisogno di vivere in un ambiente esteticamente bello nell’insieme e nei particolari, dai mobili di stile, ai ninnoli, ai quadri, alle statue, alle piante, ai fiori con intonazione che riveli un concetto. Era artista Margherita perché aveva negli italiani suscitata la persuasione che le emozioni estetiche  erano un bisogno del suo cuore  e che offrirgliele era l’omaggio che più gradiva. All’arte la regina dava un posto d’onore come già i greci nell’educazione… era artista sempre, se sonava, se cantava, se dipingeva , se lavorava, se si vestiva, se sceglieva le sue villeggiature estive o invernali, se organizzava una festa” (Giovanna Vittori, Margherita di Savoia, 1927)

villa regina margherita bordighera

 

Basti ricordare che la regina  influì nelle scelte architettoniche  e decorative della villa; volle che Tommaso Bernasconi , proveniente dall’ Accademia di Brera, decorasse l’interno della villa. Non a  caso questo gusto per il bello si rispecchia  nei sopraporta della villa in un itinerario dei ricordi e dei luoghi cari alla regina: palazzo Chiablese a Torino dove nacque nel 1821, la villa ducale di Stresa dove visse con la madre in seguito alla morte del padre Ferdinando di Savoia- Genova, il palazzo del Quirinale, il palazzo Margherita  di Roma ove si trasferì dopo la morte del re,  Castel Savoia a Gressoney  e il castello ducale di Aglié, dimore estive, il castello di Stupinigi ove si ritirò nei primi anni di vedovanza.

villa regina margherita bordighera 3villa regina margherita bordighera 2villa regina margherita bordighera 4

 

Villa Regina Margherita si trova sulla Via Romana di Bordighera, lungo il percorso dell’antica via  Julia Augusta  che in età romana collegava la Liguria alla Gallia. Nel 2009 la villa è stata acquistata dall ’amministrazione provinciale di Imperia e della Città di Bordighera che d’intesa con la Regione Liguria e la famiglia Terruzzi  hanno trasformata la villa in un museo. Qui  è possibile ammirare  la pregiata collezione “Terruzzi” di dipinti del Seicento e Settecento, nature morte italiane e straniere dal 1500 in poi , porcellane orientali, bronzi, argenti, ceramiche e  mobili . Tra antichi arredi, spettacolari vetrate artistiche –le mie preferite- e lampadari, delicati stucchi e parquets  in un’oasi di storia e di arte raffinata spiccano opere dell’arte ligure del Seicento, delle scuole napoletana , tra le quali tre quadri di Luca Giordano, emiliana , caravaggesca e francese (Jean Baptiste Lallemand, Joseph Sauvage, Jean François de Troy ).

Tappa obbligata è la terrazza  panoramica che si affaccia sul mare, sui giardini  e sulla sempre bella Bordighera.

bordighera 2

 

Carnevale della letteratura #3 – Prima chiamata

E voilà, amici e lettori,  vi annuncio  che è on line la seconda edizione del Carnevale della Letteratura  ospitata da Il Coniglio Mannarodi Spartaco Mencaroni. Lasciatevi accompagnare dal signor Coniglio nella  magica atmosfera  dei  luoghi di confine creata  con l’  inconfondibile verve narrativa da Spartaco  e  dai brani musicali scelti da Leonardo Petrillo.

notte

L’iniziativa prosegue su Skipblog  che ha l’onore e l’onere di ospitare  la terza edizione del Carnevale della Letteratura  del mese di settembre . Io e Skip vi proponiamo un  tema  ampiamente  interpretabile

“Non si può toccare l’alba se non si sono percorsi i sentieri della notte.” (Kahlil Gibran)

William-Adolphe_Bouguereau_(1825-1905)_-_La_Nuit_(1883)

 

Da sempre la notte,  la Madre, la dea accende desideri e fantasie , soffia su tenerezze e nostalgie, inquietudini  e  paure,  ispira pensieri e poesie, culla sonni e sogni, alimenta leggende e magie,  anima personaggi fantastici e reali.

Notte  dall’ anima carnale e  spirituale, che svela e nasconde  proiettando  luci e ombre nella vita e nell’uomo,  orienta e disorienta,  affascina, appassiona,  spaventa. Notte in cui si sono persi e ritrovati persone comuni, letterati, artisti e  scienziati.

 

Orsù dunque ascoltiamo i fremiti e i respiri della notte, ad Agosto ricorre anche la magica notte  delle stelle.

Lasciate brillare la vostra creatività narrativa e poetica scrivendo  un post nei vostri blog, dei quali potrete segnalarmi il link  entro il  31 agosto   all’indirizzo unicaskip at gmail.com .

Pubblicherò con piacere  tutti i vostri preziosi contributi il 3 settembre.

Qui, nel blog de il Gloglottatore, qualche semplice indicazione  per partecipare.

 

Io, Skip e il Carnevale vi aspettiamo! Regaliamoci un frammento di notte, vista attraverso i nostri sensi e la nostra immaginazione, e anche un po’ del piacere della lettura.

 

Maria

La Basilica di San Paolo fuori le Mura

san paolo fuori le mura 1

 

San Paolo fuori le Mura è la  chiesa più grande di Roma, dopo quella di  San Pietro, ed è una delle quattro basiliche patriarcali di Roma , eretta  fuori la città per commemorare il martirio di san Paolo laddove, secondo la tradizione, fu sepolto il santo.  Intorno al 67 d. C., alla fine del tempo di Nerone, l’Apostolo fu decapitato ad Aquas salvias e il suo corpo fu raccolto dai cristiani  che lo  portarono nella necropoli  vicina alla Via Ostiense, a 3 km di distanza dal luogo del martirio. Fu eretta sulla tomba una semplice cella memoriae che ben presto divenne una delle mete preferite  dei pellegrini del mondo occidentale.

Quando con l’editto di Costantino nel 313 d. C. terminarono le persecuzioni contro i cristiani, circa un terzo della popolazione romana aveva aderito al Cristianesimo. La Basilica di San Paolo fuori le Mura sorse quindi come cimitero per coloro che desideravano essere sepolti vicino al santo e allo stesso tempo, consacrata da Silvestro I nel 324, fu  luogo di culto e di venerazione dell’Apostolo delle genti. 

 dal web

dal web

Ampliata nel IV secolo , divenne  un punto di riferimento per  tanti devoti,  fino a quando rimase  gravemente danneggiata  da un incendio nel 1823. Ricostruita sulle struttura preesistente  con l’utilizzo di materiali salvati dal fuoco, l’edificio è maestoso nelle tracce delle arti  paleocristiana, bizantina, gotica, rinascimentale, barocca e neoclassica. Qui si può visitare la tomba di San Paolo che con san Pietro fondò la chiesa  a Roma. Il sarcofago in  marmo grezzo dell’Apostolo è stato scoperto soltanto nel 2006 e si trova nello stesso punto in cui l’imperatore Costantino fece costruire il primo altare papale.

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Sin dai tempi di papa Gregorio II (715-731) si fa risalire la presenza di una comunità di benedettini nella basilica, che aveva l’incarico di pregare e mantenere una fiamma sempre accesa presso la tomba dell’Apostolo. L’ordine dei benedettini, riformato da Oddone di Cluny nel 936, si diffuse in tutta Europa tra il X e l’ XI secolo, fino ad avere 50000 monaci. L’abate di San Paolo fuori le Mura più famoso fu Ildebrando che , divenuto  papa col nome Gregorio VII (1073-10859),restaurò la basilica e diede origine alla riforma gregoriana. L’Abbazia esercitò un  grande potere feudale e una  grande influenza spirituale, finchè  nel 1870 subì la confisca dei beni. I monaci però non interruppero mai il loro servizio sulla tomba di san Paolo  e ritrovarono una nuova buona sorte alla fine del  XIX secolo. Oggi il chiostro e l’area museale  dell’Abbazia sono aperti al pubblico; l’antica biblioteca,  con più di 10000 volumi del XV- XVII secolo, e la moderna biblioteca, con oltre 100000 volumi, sono  accessibili soltanto a  studiosi.

san paolo

 Dopo l’incendio del luglio 1823 il papa Leone XII si rivolse al mondo intero per la ricostruzione dell’edificio, che durò circa un secolo e   impegnò principalmente l’architettò Poletti. Nel 1854 Pio IX consacrò l’insieme della basilica; più tardi ,su rielaborazione del  progetto iniziale ad opera di Virginio Vespignani, il complesso  si arricchì dell’immenso quadriportico formato da centocinquanta colonne.

 Dentro e fuori  la basilica si coglie  la solenne imponenza  della Chiesa ma allo stesso tempo la forza della fede  di San Paolo, che impugna una spada, arma del suo martirio e arma dello spirito, cioè della parola di Dio  che egli servì come  primo teologo e dottore del cristianesimo.

finestra san paolo fuori le mura

  L’interno è grandioso: misura 65 m di larghezza e circa 132 m di lunghezza, si articola in cinque navate ed è  pervaso da una luce particolare che filtra da finestre chiuse da fini placche di alabastro, dono del re Fuad I d’ Egitto. In  alto si possono ammirare i ritratti di tutti i papi della storia della Chiesa e risulta illuminato quello dell’attuale pontefice. 

mosaico abside san paolo fuori le mura

 Gli sguardi convergono verso l’enorme e sovrastante mosaico dell’abside , eseguito da maestri veneziani  che lavoravano a S. Marco a Venezia e ripresero l’iconografia della tradizione bizantina: Al centro un  Cristo benedicente, alla sua destra Paolo e Luca e alla sua sinistra Pietro e Andrea, vicino al suo piede destro un piccolo papa Onorio III, committente del mosaico, che pare quasi avvolto in un bozzolo bianco.

 Sull’altare maggiore domina il ciborio (1284)di Arnolfo di Cambio e non si può non vedere il grande candelabro pasquale , espressione dell’arte dei marmorari romani. 

acquasantiera- san paolo fuori le mura

Interessanti le cappelle laterali di Carlo Maderno; davanti a quella di San Benedetto  c’è questa, a mio parere,   splendida acquasantiera  di Galli (metà del XIX sec.) ove un diavolaccio tenta un bambino che si salva toccando l’acqua benedetta. 

All’esterno mosaici , realizzati su disegno di Filippo Agricola e Nicola Consoni (1854- 1874), decorano la parte alta della facciata:  Cristo è affiancato da Pietro e Paolo, più  sotto dall’Agnello mistico discendono quattro fiumi, cioè i quattro vangeli, che dissetano gli uomini dei quattro punti cardinali; in basso i quattro profeti Isaia, Geremia, Ezechiele e Daniele. 

particolare mosaico esterno san paolo fuori le mura

 

La porta centrale  di bronzo, incrostato d’argento e lapislazzuli, ha scene della vita di Pietro e Paolo. Sulla  destra  la Porta Santa in bronzo dorato, scolpita da Manfrini per l’Anno Santo del 2000,viene aperta solo in occasione del Giubileo.

porta san paolo fuori le muraparticolare porta san paolo fuori le mura 1particolare porta san paolo fuori le mura 2particolare porta san paolo fuori le mura 3particolare porta san paolo fuori le muramosaico san paolo fuori le mura

 Il chiostro offre ben altro respiro: opera raffinata dei marmorari romani del XII- XIII secolo è attribuito in gran parte a Nicolò di Angelo e a Pietro Vassalletto : è ornato da leggiadre colonne di marmo bianco, lisce, a spirale , a sezione ottagonale, alcune con mosaici a tessere colorate e dorate.

Dal 1980 questa basilica è stata riconosciuta dall’ UNESCO patrimonio dell’umanità . 

chiostro san paolo fuori le mura

 

statua san Paolo“Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli…Se conoscessi tutti i misteri e la scienza…E se avessi la fede così da trasportare le montagne, ma non avessi l’amore, non sono nulla”

 

San Paolo 1a Lettera ai Corinzi,13

Le erbe di San Giovanni: l’iperico

 

giardino dei semplici

Nella magica notte di San Giovanni  tutto è possibile, reale ed immaginario, spazio e tempo  si confondono e le erbe assumono miracolose proprietà poiché il sodalizio tra il Sole  e la Luna, rispettivamente fuoco ed acqua, fa  sì che  la rugiada notturna  ne accresca le proprietà curative. In  passato gli esperti  conoscitori di erbe e di fiori  uscivano per raccoglierle durante la notte di mezza estate:  i monaci , antichi erboristi, selezionavano le “erbe  dei semplici” per preparare infusi, decotti, unguenti con i quali potevano poi curare i bisognosi;  le streghe e gli stregoni  si riunivano da ogni dove, accendevano grandi falò nei quali bruciavano le erbe, i cui resti servivano per preparare pozioni ed intrugli,  e nell’inquieta ed inquietante  notte del Sabba  si  mettevano in contatto con le forze oscure abbandonandosi  a  danze lascive.

  Le forze del bene e del male  festeggiavano la luce e l’ombra del ciclo della vita, intersecandosi in antiche credenze popolari e tradizioni della civiltà contadina, e  sacro e profano si intrecciavano in riti propiziatori. Infatti sul sagrato delle chiese, dedicate al santo, si svolgeva la fiera delle erbe dette appunto di San Giovanni  quali  iperico, lavanda, detta  spiga di San Giovanni, verbena, menta, nota come  erba santa, rosmarino. Tra queste  un particolare primato spettava all’iperico, noto come scacciadiavoli e, per par condicio, scacciadiavolesse.

 

La pianta fu dedicata a San Giovanni  Battista  in quanto si credeva che l’olio rosso, ipericoprodotto dalle foglie e dai fiori (ipericina),  fosse il sangue del santo che, secondo una  leggenda, fermò diaboliche  legioni al galoppo cosicchè l’assatanato Satana perforò la pianta. Di questa vendetta  l’iperico porta traccia nei  piccoli fori  presenti sulle foglie.

 Durante i riti propiziatori  del solstizio d’estate  anche i contadini danzavano intorno ai falò, indossando corone di iperico e lanciandone  rametti con la speranza di ottenere  un buon raccolto , un sano bestiame  ed una casa integra, in quanto pare che l’iperico allontanasse non solo demoni , malefici e sterilità  ma anche i fulmini.

 

Alcuni indossavano un mazzetto di fiori di iperico sotto le vesti  per   sbirciare  di nascosto gli  esseri demoniaci che comparivano nel buio, o per avere buona sorte durante i tornei  tra  cavalieri o ancora , durante la Grande Guerra, per  allontanare le malvagie intenzioni di violenza  a discapito delle donne. Pare che questa pianta fosse governata da Marte  e quindi   potesse sconfiggere  le insidiose possessioni diaboliche e curare i mali dell’anima come  l’isteria, la tristezza , la malinconia, l’insonnia, l’ansia.

 Zompettando tra usi e costumi, erbe e falò  aspettiamo la  magica notte di mezza estate.

 

Mea culpa (seconda parte)

Tra compiti e lezioni, giochi elettronici e primi innamoramenti i bambini passano dall’infanzia all’adolescenza e capiscono più di quanto si pensi. Intuiscono che l’apparente idillio tra mamma e papà in realtà sottende una tacita guerra fredda, talvolta una contrastata guerra di coppia, e diventano irascibili ed irrequieti. Spesso si rifugiano in un mondo fantastico perché non accettano quello reale, talvolta simulano precocemente quello reale forse per sentirsi più grandi e forti nel sopportarlo. Il ragazzino attraversa la fase del no assoluto, trasgredisce per affermare se stesso nel graduale processo di costruzione della propria identità. Questo è il periodo più critico per l’adolescente e spossante per i genitori che sovente si sentono inadeguati a fronteggiare le sue provocazioni; talvolta ne diventano complici sia perché è più facile dire sì , che non occorre né motivare nè mantenere, sia perché non accettano gli inevitabili cambiamenti naturali e rincorrono un’apparente eterna giovinezza ponendosi a livello del figlio ( anzi i papà ambirebbero porsi a livello delle sue compagne di scuola) , evitando eventuali e sane frustrazioni che consentirebbero di crescere ad entrambi. Il papà si prodiga sciorinando consigli ( degni di un prontuario tascabile ) per l’usa e getta perché il rampollo consegua successi in conquiste, non proprio sentimentali ; la madre –antenne talvolta è in competizione con la figlia e brilla al sentirsi dire “sembrate due sorelle” …peccato che questo complimento, piacevole per lei, si traduca in una mazzata per la figlia adolescente che si sente perennemente brutto anatroccolo .

 Insomma i genitori si defilano come educatori ( parola che è sinonimo di Matusalemme) in quanto troppo impegnati a sbarcare il lunario, ad allenarsi in palestra, a mantenere relazioni sociali e a innescarne altre più stimolanti ed appaganti per accorgersi ben presto che la routine logora qualsiasi relazione, sia ufficiale che ufficiosa. Sono indaffarati a programmare diete, impegni di lavoro, vacanze spesso forzate ed estenuanti, espressione di status sociale più che vissute come momento di pausa per ritrovarsi insieme .La famiglia si riduce a una comunità più che di incontro, di scontro e scarico di tensioni ove talvolta manca la vera comunicazione, dove ognuno procede in compartimenti stagni, impegnato a correre per fare le stesse cose in un rituale quotidiano .

 vignetta pv madre figlio

Non c’è mai abbastanza tempo per ascoltarsi e ascoltare .Si fanno meccanicamente tante azioni senza interpretarle emotivamente e così il tempo scivola addosso col suo carico di ore e di logorìo moderno. Spesso i ragazzini, in balìa di se stessi e delle loro pulsioni emotive che non sanno ancora decifrare, non hanno “paletti fissi”e trasgrediscono sempre più, perché subentra la noia . Vanno oltre la solita prepotenza di gioco nei campetti…talvolta giocano con la vita propria o dello  “sfigato” di turno o della carina del branco. Tutto fa spettacolo sul palcoscenico del sè egocentrico , spesso frustrato da insuccessi, mancanza di punti di riferimento, solitudine e tedio per cui le ragioni della forza divengono un mezzo di affermazione sociale. Il più delle volte sono i genitori che, disorientati, hanno perso la forza della ragione , o più semplicemente quella del buonsenso; abdicando ad un ruolo, forse non compreso o troppo invadente, preferiscono rivivere attraverso i loro figli parte di sé accorgendosi che le perplessità, gli entusiasmi, i perché , le aspettative sono di tutti i ragazzi, a prescindere dai salti generazionali. Talvolta però perdono di vista se stessi, troppo proiettati nell’ immediatezza del contingente e agognano ad una sorta di anno sabbatico per evadere un po’, lasciando che gli altri si organizzino un po’ da soli e capiscano che non si deve dare nulla per scontato .

Il non plus ultra sarebbe poter disporre non solo di tempo ma anche di uno spazio proprio: basterebbe un albero sul quale appollaiarsi ogni tanto per ritrovare se stessi e in cui ammortizzare un po’ gli sfoghi esistenziali dei figli alle prese coi primi amori, con il rendimento scolastico e le diatribe tra coetanei . “Cosa vorresti fare da grande?” . Mammà e papà s’illuminano d’immenso immaginando l’avvenire radioso del figlio, sul quale a volte riversano le loro aspettative ingombranti. Da bambina non sapevo mai cosa rispondere. Sinceramente non lo so nemmeno adesso, forse perché non ho ancora capito quando si diventa grandi. In ogni fase della vita ci si sente immaturi e pronti ad affrontare solo quella precedentemente trascorsa, grazie al cosiddetto senno del poi.“ Mamma da grande vorrei…” e giù una serie di propositi. Quanti ne ho sentiti negli ultimi quindici anni ( farò il giocattolaio così giocherò sempre, o lavorerò in uno zoo, anzi solo nel recinto dei coccodrilli…ingegnere, medico, veterinario, parrucchiera, broker, pilota).

Nei momenti critici o di delusione per cui i miei figli si sfogano dei loro insuccessi e minacciano scelte drastiche, se riesco a non cedere ad una crisi isterica, cerco di sdrammatizzare con aria ironicamente seria dicendo : “Figlia mia, mal che vada, tu potresti farti suora e tu, figlio mio, diventare un gesuita colto o missionario (anche se a livello relazionale mia figlia rivoluzionerebbe il monastero e cambierebbe il look delle consorelle creando incidenti diplomatici con la Santa Sede) . Pensate un po’: non avreste problemi di casa, di lavoro, di cuore, nessuno stress ( bè forse quello dell’astinenza). La vita trascorrerebbe lentamente in grazia di Dio al rintocco delle campane (che noia! che scandirebbero le più importanti fasi del giorno. Vi dedichereste al giardinaggio , alla cucina (frugalmente dietetica ed insipida), allo studio (aperto?), alla contemplazione (mistica): sarete in pace con voi stessi e con il mondo ( ma quale mondo?).” Dopo aver mandato me a quel…monastero, dimentichi del precedente clima apocalittico : “Mamma , stasera posso andare in discoteca? Torno presto che domani devo studiare con Vale…” E l’ altro: “Ciao, esco con gli amici. Ci vediamo più tardi!” .

Allora, , dopo il solito interrogatorio Dove vai- con chi vai- a che ora torni, li saluto con il tradizionale “Mi raccomando!”, ma da buona mammà gongolante compiacendomi di quanto siano unici e splendidi (perché ogni scarrafone è bell a’mamma soia), penso:

 “Andate, non sono gli anni della nostra vita che contano, ma la vita dei nostri anni. Per tutto il resto, c’è tempo.”

 

 

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