Le donne del Risorgimento

In occasione del 152° anniversario dell’Unità d’Italia riprendo post a me cari , scritti in occasione del 150°,  per ricordare  personaggi, a volte poco noti, del nostro Risorgimento.

 “Il Risorgimento delle donne. Da icona del patriottismo a patriota” è  un bellissimo  filmato  didattico realizzato da  Annalisa Costagli e Giacomo Verde che attraverso la pittura, scritti e foto hanno documentato la presenza attiva e  il contributo delle donne, di diversa estrazione socio-culturale, all’unità e all’indipendenza dell’Italia, alle prime forme di democrazia e alle pari dignità dei sessi.

 Protagoniste poco conosciute del Risorgimento, le donne operarono senza visibilità né  riconoscimento di ruoli politici, promuovendo nei salotti il  fermento intellettuale dell’epoca , partecipando alla lotta risorgimentale come combattenti e assistenti dei feriti, continuando a lavorare nei campi o in casa, in attesa di lettere o notizie dei familiari lontani.

In occasione della celebrazione dell’Unità d’Italia  è doveroso ricordare anche questo aspetto della storia italiana   perché come scrisse  Cristina Trivulzio di Belgiojoso nel 1866

 

“Vogliano le donne felici ed onorate dei tempi avvenire rivolgere tratto tratto il pensiero ai dolori ed alle umiliazioni delle donne che le precedettero nella vita, e ricordare con qualche gratitudine i nomi di quelle che loro apersero e prepararono la via alla non mai prima goduta, forse appena sognata, felicità!”

 Qui il link per “Il Risorgimento delle donne. Da icona del patriottismo a patriota”

 Buona visione!

Da Cicatrici di guerra: il Clan delle Cicatrici

Una delle tante ragioni per cui ho iniziato a scrivere riguarda  la violenza contro le donne per raccontare, commentare , indignarmi sulle tante forme di discriminazione, abuso, maltrattamento, intolleranza contro la donna, alcune abiette e lontane , altre più subdole e sottili . Pian piano riprenderò questo tema, purtroppo sempre attuale.

Il femminicidio in atto è più evidente e denunciato, e non bastano solo le parole per fermarlo e interventi giudiziari per reprimerlo. Occorre una cultura che promuova il rispetto dell’identità di genere,  basata sull’ affettività e sul riconoscimento delle rispettive diversità, emozioni e sentimenti,  che insegni a trasporsi nell’ altro, per prevenire la violenza non solo contro le donne, ma contro tutti coloro ritenuti diversi o comunque percepiti come contrapposti. La rabbia latente esplode con un’aggressività che rivela l’incapacità di gestire le proprie emozioni e riconoscere quelle altrui non solo  in fondamentali svolte di vita, ma anche  in occasione di una partita di calcio o di  un parcheggio negato.

 Spesso in  occasione della Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne ho esortato a uscire dal silenzio .Oggi parlo del segreto, di quelle cose che  le donne non riescono a  dire ma, se svelate, con consapevolezza e aiuto-  ascolto esterno, può consentire alle vittime di violenza a recuperare l’istinto alla vita, quello che Clarissa Pinkola Estés nel saggio “Donne che corrono coi lupi” ed Frassinelli , definisce la Donna Selvaggia intesa come forza psichica potente, istintuale e creatrice, a volte soffocata da paure, insicurezze e stereotipi.

Non basta segnalare il  crimine, occorre trovare dentro di sè la forza di svelare il segreto per poter reagire. Ci sono strutture e persone in grado di recepire e aiutare nei centri anti violenza. Tante sono le denunce ma  un’esigua percentuale di donne si presenta ai colloqui per una consulenza psicologica, sebbene sia tutelata la loro privacy, perché permane non solo la paura di ritorsioni ma soprattutto la remora di svelare il segreto, di rivivere l’esperienza dolorosa.  Parlare ed elaborare il lutto ci fanno risorgere dalla zona morta, ci consentono di lasciarci alle spalle il culto mortale dei segreti. Dal lutto usciremo bagnate dal pianto non dalla vergogna. Solo così forse si  potrà tornare a vivere, anche se cambiate. È un atto d’amore  verso noi stesse oltre che una testimonianza utile per tutti.

 Da Cicatrici di guerra:il Clan delle Cicatrici 

 Le lacrime sono un fiume che vi conduce a qualche parte. Il pianto crea attorno alla barca un fiume che porta la vostra vita- anima. Le lacrime sollevano la vostra barca al di sopra degli scogli, delle secche, portandovi in un posto nuovo, migliore.

Esistono oceani di lacrime che le donne non hanno mai pianto, perché sono state addestrate a portare i segreti della madre e del padre, i segreti degli uomini, i segreti della società, e i loro segreti giù nella tomba. Il pianto della donna è stato considerato piuttosto pericoloso, perché allenta le serrature e i chiavistelli sui segreti che porta. In verità, per il bene dell’anima selvaggia, è meglio piangere. Per le donne le lacrime sono l’avvio dell’iniziazione nel Clan elle Cicatrici, questa tribù eterna di donne di ogni colore, di tutte le nazionalità, di tutte le lingue, che attraverso le epoche hanno vissuto qualcosa di grande, e hanno conservato l’orgoglio.

Tutte le donne hanno storie personali ampie nella portata e possenti nel numen, come nelle favole. Ma c’è un tipo di storia, in particolare, connessa con i segreti delle donne, specie quelli legati alla vergogna; contengono alcune delle storie più importanti cui una donna possa dedicare il suo tempo.

Per la maggior parte delle donne queste storie segrete sono incastonate non come pietre preziose in una corona, ma come nera ghiaia sotto la pelle dell’anima.

…i segreti di un maggior numero di donne riguardano la violazione di un codice sociale o morale della cultura, della religione, o del sistema personale dei valori. Alcuni di questi atti, eventi, scelte, in particolare e connesse alle libertà femminile in tutti gli aspetti dell’esistenza, erano spesso considerati dalla cultura vergognosamente sbagliati per le donne, ma non per gli uomini.

Il problema delle storie segrete avvolte nella vergogna è che separano la donna dalla sua natura istintiva, che è prevalentemente gioiosa e libera. Quando nella psiche c’è un oscuro segreto, la donna non può avvicinarsi a esso, e anzi si protegge da qualunque contatto con ciò che potrebbe rammentarglielo o far sì che la sofferenza già cronica diventi ancora più intensa…..

 

Di solito i segreti presentano gli stessi temi che si ritrovano nei drammi…i segreti, come le fiabe e i sogni, seguono inoltre gli stessi modelli e le stese strutture del dramma. Ma i segreti, invece di seguire la struttura eroica, seguono la struttura tragica. Il dramma eroico  inizia con un’eroina in viaggio. Talvolta non è desta da un punto di vista psicologico. Talvolta è troppo gentile e non percepisce il pericolo. Talvolta è già stata maltrattata e si abbandona alle mosse disperate della creatura in cattività. Comunque inizi, l’eroina cade poi negli artigli di qualcosa o qualcuno, e viene amaramente messa alla prova. Poi, grazie alla sua intelligenza e alle persone che di lei si curano, viene liberata e si leva più alta.

Nella tragedia l’eroina è ghermita, costretta, o portata agli inferi e poi sopraffatta, mentre nessuno ode le sue grida,ovvero le sue implorazioni vengono ignorate. Perde la speranza, perde il contatto con la preziosità della sua vita, e crolla…Il modo per ritrasformare una tragedia in dramma eroico  è svelare il segreto, parlarne con qualcuno, scrivere un altro finale, esaminare la parte in esso avuta e i propri attributi nel reggerlo. Si scoprono in pari misura dolore e saggezza…

 La persona che ha conservato un segreto a proprio detrimento resta sepolta dalla vergogna. In questa condizione universale, il modello medesimo è archetipo:l’eroina è stata costretta a fare qualcosa oppure, per la perdita dell’istinto, è rimasta intrappolata in qualcosa. Tipicamente, è impotente di fronte alla triste situazione. È in qualche modo legata alla segretezza da un giuramento o dalla vergogna. Si adatta per paura di perdere l’amore, il rispetto, la sussistenza esistenziale. Le donne sono state avvertite che taluni eventi, scelte e circostanze della loro esistenza, di solito connessi al sesso, all’amore, al denaro, alla violenza e/o ad altre difficoltà imperversanti nella condizione umana, sono estremamente vergognosi e pertanto non degni di assoluzione….

Nell’archetipo del segreto, un incantesimo viene gettato come una rete nera su parte della psiche femminile, e lei viene spinta a credere che il segreto non dovrà mai esser rivelato, e inoltre deve credere che, se lo rivelerà, tutte le persone per bene con le quali avrà a che fare l’ insulteranno per l’eternità. Questa ulteriore minaccia, insieme alla vergogna, fa sì che la donna non porti un fardello solo ma due.

Questo minaccioso incantesimo è un passatempo solamente tra le persone che occupano uno spazio angusto e nero nei loro cuori. Tra le persone che provano amore e calore per la condizione umana, è vero il contrario. Aiuteranno a disseppellire il segreto, perché sanno che produce una ferita che non si rimarginerà finchè alla cosa non saranno dati voce e testimone…

 

La donna dai capelli d’oro. 

C’era una volta una donna strana ma assai bella dai lunghi capelli d’oro sottili come grano filato. Era povera, non aveva né madre né padre, e viveva da sola nei boschi e tesseva su un telaio fatto con rami di noce scuro. Un tipo brutale, che era figlio del carbonaio, cercò di costringerla al matrimonio, e lei nel disperato tentativo di comprarne la rinuncia, gli regalò una ciocca di capelli d’oro.

Ma lui non sapeva o non si curava del fatto che era oro spirituale, non denaro, quello che gli aveva dato, e quando volle vendere i capelli come una qualsiasi mercanzia al mercato, la gente lo canzonò e pensò che fosse pazzo.

 

In collera, di notte tornò alla capanna della donna, la uccise con le sue mani e ne seppellì il corpo accanto al fiume. Per molto tempo nessuno si accorse della sua assenza. Nessuno si curava del suo cuore e della sua salute.Ma nel sepolcro i capelli d’oro della donna presero a crescere e a diventare sempre più lunghi. I magnifici capelli ondulati si sollevarono in spire attraverso la terra nera, e crebbero sempre di più fino a ricoprire la tomba di un campo di ondeggianti giunchi d’oro.I pastori tagliarono i giunchi per farne flauti, e quando presero a suonarli, i piccoli flauti cantarono e non smisero più di cantare.

 

Qui giace la donna dai capelli d’oro

Assassinata e nel suo sepolcro,

uccisa dal figlio del carbonaio

perché desiderava vivere.

 

E così l’uomo che aveva tolto la vita alla donna ai capelli d’oro fu scoperto e portato in giudizio,e coloro che vivono nei boschi selvaggi del mondo, come facciamo noi, furono di nuovo al sicuro.

 Se il messaggio manifesto è l’invito a stare attenti quando ci si trova nei luoghi solitari del bosco, il messaggio profondo è che la forza vitale della bella donna solitaria, personificata nei capelli continua a crescere e a vivere e a emanare conoscenza conscia anche se tacitata e sepolta…Questo frammento è bello e prezioso, e inoltre ci parla della natura dei segreti e anche, forse, di che cosa viene ucciso nella psiche quando la vita di una donna non è tenuta nel debito conto. In questo racconto, l’assassino della donna che vive nei boschi è il segreto. Lei rappresenta una kore, quell’aspetto della psiche femminile che è la donna-che-non –si-sposerà-mai. La parte della donna che vuole stare in solitudine è mistica e solitaria in un modo bello, ed è occupata a selezionare e tessere idee, pensieri e imprese. È questa donna solitaria e ripiegata su se stessa che è soprattutto ferita da traumi o dal dover mantenere un segreto… questo senso integrale dell’io che ha bisogno di avere poco attorno per essere felice; questo cuore della psiche femminile che tesse nel bosco sul telaio di noce scuro, ed è in pace.

Nella favola nessuno indaga sull’assenza di questa donna vitale…Non è insolito nelle favole né nella vita reale…

Spesso la donna che ha dei  segreti incontra la medesima reazione. Sebbene la gente percepisca talvolta che al centro il suo cuore è trafitto, per caso o intenzionalmente chiude gli occhi sulla sua evidente ferita.

Ma in parte il miracolo della psiche selvaggia è che, per quanto una donna sia “uccisa”, sebbene sia ferita, la sua vita psichica continua , e risale in superficie, cresce, e nei momenti di pienezza canta, canta. Allora l’ingiusto male subito viene appreso a livello conscio, e la psiche inizia la ricostruzione.

 È interessante non vi pare? che la forza vitale di una donna possa continuare a crescere anche se lei è apparentemente senza vita. È la promessa che anche nelle condizioni più misere la vitale forza selvaggia manterrà vive e fiorenti le nostre idee, anche se, per un po’, sotto terra. Col tempo riusciranno a spuntare. Questa forza vitale non lascerà tutto quieto finchè non saranno rivelate le circostanze e il luogo del delitto.

Come per i pastori della storia, ciò implica respirare profondamente e liberare il respiro- dell’anima o pneuma attraverso le canne, per conoscere come stanno veramente le cose nella psiche e che cosa bisognerà fare. Occorre cantare. Il lavoro di scavo seguirà…

Quando una donna mantiene un segreto vergognoso, l’enorme quantità di auto biasimo e tortura che deve sopportare è tremenda a vedersi…La donna selvaggia ( con istinto alla vita) non può vivere così. I segreti vergognosi diventano ossessivi…sono come un filo spinato che le si stringe attorno alle budella se cerca di liberarsi. Sono distruttivi non soltanto per la sua salute mentale, ma anche per le sue relazioni con la DonnaSelvaggia. La Donna selvaggia scava, getta tutto per aria, mette in fuga. Non seppellisce né dimentica. Se per caso seppellisce, rammenta che cosa e dove, e ben presto si preoccuperà di dissotterrarla.

Questa favola e altre simili sono medicamenti da applicare a queste segrete ferite; sono un incoraggiamento, un consiglio e una risposta. Dietro alla saggezza della favola sta il fatto che, nelle donne come negli uomini,le ferite inferte all’io, all’anima e alla psiche con i segreti o altro, fanno parte dell’esistenza dei più. Né può essere evitata la cicatrizzazione. Ma esistono delle cure, ed è assicurata la guarigione…Reprimere il materiale segreto circondato dalla vergogna, dalla paura,dal senso di colpa o dall’umiliazione in effetti sbarra tutte le altre parti dell’inconscio prossime al luogo del segreto….Se tuttavia una donna desidera serbare i suoi istinti e la capacità di muoversi liberamente nella psiche, può rivelare il suo o i suoi segreti a un essere umano degno di fiducia, tutte le volte che lo ritiene necessario. Di solito una ferita non viene disinfettata e poi abbandonata a se stessa:viene pulita e medicata più volte mentre va guarendo… Chi lo ascolta lo fa col cuore aperto e trasale, rabbrividisce, prova quel dolore senza crollare…così una donna comincia a riprendersi dalla vergogna ricevendo il soccorso e le cure che le mancarono al momento del trauma…ma rimarrà certo una cicatrice. Al cambiare del tempo la cicatrice dorrà ancora. Questa è la natura del vero lutto… Quando un segreto non viene confidato il lutto continua, per tutta la vita. …Parlare ed elaborare il lutto ci fanno risorgere dalla zona morta, ci consentono di lasciarci alle spalle il culto mortale dei segreti. Dal lutto usciremo bagnate dal pianto non dalla vergogna.

 

Nel lutto,  la Donna Selvaggia sarà con noi. Lei e l’Io istintuale. Può sopportare le nostre urla, i nostri lamenti e il nostro desiderio di morire senza morire. Applicherà i migliori medicamenti là dove il dolore è più  insopportabile…Proverà dolore per il nostro dolore, e lo sopporterà, senza fuggire. Anche se molte saranno le cicatrici, è bene ricordare che, nella resistenza alla tensione e alla pressione, la cicatrice è più forte della pelle.

 

Donna non sempre è… danno!

Tutti gli uomini a prescindere dall’ estrazione socio- culturale e dalle coordinate spazio-temporali , si trovano prima o poi a confrontarsi con una donna e anche, almeno una volta nella vita, a dovere fronteggiare le ire di una donna. Forse per alcuni sarebbe più semplice destreggiarsi in una mareggiata che in una miriade di scuse e argomentazioni nel tentativo di ammansire la ferina dolce metà  che, chissà perché, quando si adira ha una luce diversa negli occhi che la rende più bella e disarmante. Forse alcuni uomini riuscirebbero maggiormente ad orientarsi in una foresta tropicale che nei meandri della mente femminile, incapaci di capire che cosa possano avere mai detto di così grave da provocare un terremoto emotivo o che cosa mai sia stato interpretato come offensivo. Altri potrebbero sostenere fatiche immani di intensi ed estenuanti allenamenti sportivi ma rinuncerebbero a contenere e respingere le continue minacce, più o meno velate, sarcastiche, vendicative di una donna indignata.

Ma come sono le donne? Io le vedo così.

Donne- streghe sensuali e passionali, le più belle del reame che ammiccano da una foto, muse ammalianti del bel canto, della danza e dell’arte, donne disinvolte nella loro bruttezza cui fanno da contrappasso il sarcasmo e l’arguzia. Donne teneramente materne e donne matrigne che in una logica innaturale uccidono o vendono i loro piccoli, che rifuggono o inseguono il desiderio di maternità. Donne senza più lacrime per i figli massacrati o dai grandi occhi scuri, regalmente e dignitosamente mute e scarne in cerca di acqua e di un sostentamento nei deserti;  alcune precipitate in fondo al mare, altre mercificate, sbattute su una strada, ma tutte abbagliate dalla stessa mendace promessa di una vita migliore. Donne ancorate alla fede e ai ricordi, mutilate da riti tribali e lapidate dal fanatismo religioso che mai potranno ammutolire i loro pensieri e le loro anime.

Donne alla ricerca di qualcosa o che hanno perso irrimediabilmente qualcosa, tradite dal tempo e sospese tra sogni e realtà, esauste ed entusiaste, sfrenate e disinvolte, fiere della loro ostentata nudità di corpo e di mente, conformiste dell’apparenza che si uniformano a stereotipati canoni estetici e anticonformiste dell’interiorità, donne solari e donne ombra , coraggiose o coraggiosamente vili, rassegnatamente incapaci di decidere e di reagire in un rapporto simbiotico con chi le vìola o aggressive e forti della loro dignità e dei loro ideali. Donne capaci di re-inventarsi con fantasia e voltare pagina per ricominciare o fossilizzate e timorose di fare il passo; lungimiranti se scelgono, dando astutamente l’impressione di essere scelte, o cristallizzate. Donne intraprendenti protagoniste da prima fila e donne silenziose, semplici comparse della quotidianità , donne di classe e declassate da chi toglie loro la stima e la speranza, donne che analizzano ma non fanno sintesi,vivacemente ironiche, loquaci e frizzanti, veramente sincere e sinceramente false, escluse dal pubblico ma elette a regine nel privato, sensibili e aperte alla vita ma gelose dei propri sentimenti. Donne accecate dalla rabbia e donne dagli occhi belli, limpidi e sognanti , serene e felici o malinconicamente sorridenti.
Tante donne tra tutti, poche Donne tra tante. Creature sensibili, vitali, sensualmente contagiose,energiche per la capacità di farsi carico di tanti ruoli, romanticamente ingenue se innamorate, forti della loro maturità e fragili nell’ acerba e dolce immaturità.

Siamo una perpetua contraddizione ma anche la più viva e completa armonia dell’universo, una luce che brilla. Ovunque!

 

P.S. non potevo non ripubblicare uno dei miei primi post.  :)

Omaggio ad Anna Magnani

L’attrice Anna Magnani, personaggio emblematico del neorealismo cinematografico, interprete di film e opere teatrali di grandi registi italiani e stranieri (quali De Sica ,Rossellini,Visconti , Pasolini, Zampa, Monicelli, Zeffirelli, Lumet, Mann, Cukor e tanti altri ) vinse numerosi premi cinematografici italiani e il premio Oscar come migliore attrice protagonista nel film “La rosa Tatuata” di Daniel Mann (1956). Da sempre fa parte della storia del cinema la drammatica scena di “Roma città aperta” di Rossellini (1945) , in cui l’attrice viene crivellata con una scarica di mitra di un soldato tedesco mentre rincorre un camion sul quale suo marito sta per essere deportato. «T’ho sentita gridare ‘Francesco’ dietro al camion dei tedeschi e non ti ho più dimenticata» scrisse di lei Giuseppe Ungaretti. Il personaggio da lei interpretato, la sora Pina , popolana schietta e volitiva, sicura nella difesa dei giusti valori, ricorda con crudo realismo la storia vera di Teresa Gullace, madre di cinque figli e incinta del sesto, che fu uccisa mentre cercava di parlare con suo marito incarcerato in una caserma di Roma.

La Magnani ebbe grandi riconoscimenti soprattutto dopo la sua morte tra i quali una retrospettiva con la proiezione dei suoi 14 film più significativi nel Museum of Modern Art di New York nel 2002, omaggio tributato a poche dive del cinema. È stata riconosciuta  tra le   donne che hanno fatto l’Italia in una bella retrospettiva sulle figure femminili più o meno conosciute, che direttamente ed indirettamente hanno influito sull’evoluzione culturale, sociale, economica e politica dell’Italia. 

Anna, era figlia di padre ignoto. In età adulta risalì al padre (un tale del Duce ma ,con la sua consueta ironia, diceva di essersi fermata nelle ricerche perché non voleva passare come “la figlia del Duce”.) Sua madre Marina si trasferì ad Alessandria d’Egitto per rifarsi una vita sentimentale e lì sposò un uomo austriaco molto facoltoso. Anna, “figlia della colpa” , visse un’infanzia povera e sin dalla più tenera età, fu accudita dall’amorevole nonna e dalle cinque zie. L’assenza e il vuoto affettivo della mamma però la segnarono e non potevano di certo essere colmati dai bei vestiti di seta che riceveva dall’Egitto. Aveva ormai nove anni quando conobbe la madre che, recatasi a Roma per vederla, decise di mandarla in un collegio di suore francesi perchè ricevesse una buona istruzione Anna rimase in collegio per pochi mesi perché, per punirla dello scarso rendimento scolastico, le suore le impedivano di vedere l’amata nonna che per lei rappresentava l’unico vero e forte legame affettivo. Tornata a casa si dedicò quindi allo studio del pianoforte e portò avanti gli studi fino alla seconda liceo. All’età di 15 anni si recò ad Alessandria in visita alla madre, ma l’esperienza si rivelò molto dolorosa .

Rientrata a Roma , decise di studiare recitazione (1927) e contemporaneamente cantava nei cabaret romani. Iniziò la sua carriera prima nell’avanspettacolo, soprattutto con Totò, poi nel cinema e nel teatro. Ebbe una vita sentimentale movimentata anche perché l’interiore senso di abbandono la rese morbosamente possessiva. Si sposò con il regista Goffredo Alessandrini che si rivelò fedifrago e superficiale; visse una forte passione con Massimo Serato da cui ebbe il figlio Luca, cui preferì dare il cognome proprio perché il giovane attore era insofferente di legami stabili.  Il figlio determinò una nuova rottura sentimentale ma in compenso fu per lei l’ amore costante della sua vita : inizialmente fonte di una grande gioia, poi di preoccupazione e dolore quando fu colpito dalla poliomielite. Ebbe alcuni amanti tra i quali Rossellini, ma anche questa vicenda sentimentale fu molto vissuta e sofferta.

Luca Magnani,ha dichiarato: ”Una certa ottusità e molti luoghi comuni su mia madre, e questo credo l’abbia molto intristita, soprattutto nell’ ultima parte della sua vita, quando lavorava meno. E’ stata messa da parte, per indifferenza… Mia madre era una persona di una modernità incredibile, che non ha mai seguito le mode ed ha precorso i tempi . Passava per sguaiata, per una che diceva le parolacce, ma in realtà era semplicemente una donna che agiva alla luce del sole”.

 

Anna fu l’antidiva per eccellenza. Ricordo una sua intervista in cui  raccontava della gallina Ciuffettina, sua compagna di gioco durante l’infanzia , di gatti e cani che amava, con cui parlava e si sentiva in sintonia. La Magnani, nota come Nannarella, viene spesso associata alle donne comuni e semplici di cui interpretava la spontaneità, le ambizioni, la voglia di riscatto , l’istinto di amare con passione, la sensibilità, la generosità, la forza d’animo. Attraverso i suoi personaggi poteva esprimersi come donna  vera,viva, sincera, imperfetta, appassionata, desiderosa di amare e di essere amata ( la sua canzone preferita era quella che le cantava la nonna , cioè “Regginella”: T’aggio vuluto bene a te /Tu m’hè vuluto bene a me/ Mo nun c’amammo cchiù/ Ma ‘e vvote tu/ Distrattamente /Pienze a me).Una persona, non un personaggio, un po’ dimenticata e sola negli ultimi anni della sua vita trascorsi nella lotta di un  male incurabile, assistita dal figlio. Una donna non bellissima, ma dagli sguardi più che eloquenti, dai sorrisi indimenticabili e dalle risate sonore e schiette. Un’attrice che non recitava, ma si immedesimava nei personaggi dai quali traspariva la sua forte personalità, l’intelligente ironia che la contraddistingueva, la spontanea veemenza mista a fragilità, la dolce e sofferta malinconia .Forse questa è la ragione per cui Anna Magnani è ancora nel cuore di tanti. 
Anna verrà
col suo modo di guardarci
dentro
dimmi quando questa
guerra finirà
noi che abbiamo un mondo
da cambiare
noi che ci emozioniamo
ancora
davanti al mare…

(“Anna verrà” di Pino Daniele)

 

Immagini tratte dal web

 

Reginella

Nei film degli  anni ‘50 la donnina era  di solito una ragazza un po’ sempliciotta e sprovveduta , sedotta e abbandonata dal mascalzone di turno, disonorata al punto tale da essere costretta a fuggire  dal paesello per  lavare l’onta subita dalla famiglia d’origine. Trovandosi  in difficoltà , in città veniva adescata da una marpiona esperta che la instradava con l’illusione di una vita agiata tra cuménda e palazzinari, viziosi ma benestanti, e finiva in una  casa di tolleranza  demonizzata dai politici e religiosi di ogni tempo,  ma in effetti tollerata nella consapevolezza dell’importante ruolo  svolto nel contesto sociale.

Lì  intere generazioni di uomini perseguivano  il piacere fine a se stesso , immerso e sommerso in arredi  e broccati barocchi,  tra statue neoclassiche e tendaggi pesanti. Le ragazze in  déshabiller apparivano come dee in cima a scalinate, audaci protagoniste dell’immaginario collettivo maschile molto represso e apparentemente castigato. Regine di  passerelle, maestose, formose, generose, stelle lucenti nella noiosa ed ipocrita monotonia borghese dove  la vita era scandita da rituali formali   e i sentimenti erano raramente sinceri .

I bordelli erano oasi felici in cui  la libido poteva scorrazzare indomita e l’istinto puro  si liberava dei freni  inibitori di mogli sconsolate e apatiche, sterili  di vive  emozioni, addestrate a ruoli sociali prestabiliti, necessariamente condivisi per poter appartenere all’élite. Un mondo basato su una sorta di  riscatto sociale, sull’etichetta anche se ipocritamente poco sentita, sulle maniere apparenti, sui cerimoniali castranti della spontaneità. Dall’altra parte c’erano le case del piacere popolate da seduttrici dagli spiccati accenti e inflessioni regionali, Veneri intriganti che facevano sognare. Tra  concessioni di favori , di  frizzi e lazzi, di sorrisi e di risate schiette, di sguardi sfrontati  e forme generosamente in mostra ruotava  un mondo  trasgressivo, un paradiso per iniziare ai piaceri della vita il giovincello e  soddisfare i robusti appetiti sessuali  di scapoli e ammogliati. Lì ogni tabù spariva dietro la porta chiusa e  nella  penombra di persiane accostate. Era  un mondo alternativo a quello reale dove talvolta nascevano amori veri dal lieto fine,  talvolta  tormentate passioni impossibili.

La legge Merlin ha fatto chiudere quelle case, segnando la fine di  un’epoca storica. Il mestiere più antico del mondo  ha però  continuato ad essere svolto per necessità,  per vocazione, a volte  per noia, spesso   per vero e proprio sfruttamento del sesso  di donne private di ogni dignità, rapite, ingannate, vendute, violate, sbattute sulla  strada, maltrattate da aguzzini e clienti.

 Donne senza  lacrime né poesia, senza  sorrisi sinceri. Lucciole che brillano a  intermittenza sui cigli delle strade provinciali, solitarie, squallide, buie. Falene  notturne infreddolite  vicino a piccoli falò, variopinti animali esotici, trampolieri in bella mostra  che danzano , che imitano, che interpretano un ruolo sempre uguale . Vite succubi  di avidi imprenditori.

 Esistono  però anche le professioniste  del sesso, quelle che  lavorano in proprio: vere  imprenditrici di loro  stesse e  arrampicatrici sociali. Investono  in titoli e  nel mattone per poter vivere di rendita quando la natura reclamerà il suo dazio e cesserà la stagione del bell’ apparire. Le signorine programmano il  loro futuro, non potendo vantare un passato; corrono  nel presente e non si voltano mai  indietro, guardano sempre avanti .Si  riscattano col  benessere materiale.

“Si dice che ad ogni rinuncia corrisponda una contropartita considerevole,

ma l’eccezione alla regola insidia la norma…

se è vero che ad ogni rinuncia corrisponde una contropartita considerevole,

privarsi dell’anima comporterebbe una lauta ricompensa”

(Carmen Consoli) 

Alla rinuncia del cuore per lo meno corrisponde  un buon tornaconto economico.

 Tempo fa  la Corte di  Cassazione ha ritenuto  che i  proventi dal meretricio sono da intendersi come  una «forma di risarcimento del danno» che la donna subisce alla sua dignità , vendendo se stessa. Ma  tutto cambia e diviene. Circa cinque anni fa  la  Commissione tributaria della Lombardia ha condannato una prostituta, proprietaria di sei appartamenti e di due auto, a pagare quasi settantamila euro tra tasse e sanzioni perché non ha dimostrato  la provenienza del suo reddito. Insomma  la signorina in questione  non è stata in grado di dimostrare come aveva accumulato tutti quei beni, esibendo magari un atto di donazione o regolare fattura, quindi risultava che  non aveva pagato le tasse su un gettito extra, non dichiarato.

Di qui il dilemma se le lucciole debbano pagare le tasse e debbano esser riconosciute come in tanti altri paesi. Hanno  un loro sindacato e  rivendicano  accoglienti strutture aziendali dove erogare ed espletare servizi ad un’utenza varia  per età e richieste, dove tutto sia scandito con precisione  secondo una tabella di marcia di appuntamenti quantificati e definiti per durata  e impegno. Come saranno qualificate? Consulenti sessuali, lavoratrici dello spettacolo o professioniste della grande distribuzione?  Madame del volontariato sociale, espletatrici di un  lavoro socialmente utile ? Non ci sarà  più  sfruttamento della prostituzione ma si passerà alla legalizzazione  del  commercio sessuale.Saranno garantiti minimi salariali e tariffari uniformi comprensivi di IVA in ogni  regione, a prescindere dalla qualità dell’ erogatrice del piacere o dell’ abilità mostrata , versamenti di contributi previdenziali e di quote assicurative in caso di infortunio o incidente sul lavoro . Sarà effettuato una sorta di censimento periodico che escluderà  le minori e assicurerà effettivi controlli  sanitari. Il  meretricio sarà un’occupazione provvisoria o definitiva come ogni altra, risponderà alla flessibilità organizzativa, sarà periodicamente monitorato  nel suo rendimento di mercato.

 Poco  importa se verrà meno la sensazione di trasgredire furtivamente per evadere dalla  quotidianità e  ricercare ebbrezze diverse, di  sottrarsi allo sguardo severo e vigile della propria coscienza .Basterà essere in regola col fisco!

I bambini nascosti e Irena Sendler

Durante l’Olocausto furono assassinati circa due milioni di bambini. Si stima che circa venti, trentamila bambini di età inferiore ai quattordici anni, tra i quali molti neonati, siano sopravvissuti alla guerra perché affidati dai genitori a persone di buon cuore  e a istituzioni cristiane o perché rimasero a lungo nascosti in vari rifugi . Alcuni bambini nascosti sopravvissero da soli nelle foreste e nei fienili, vivendo in un continuo stato d’allerta.

“Non eravamo come gli altri. Nessun altro poteva capire il nostro passato. Noi, i bambini dell’Olocausto, eravamo stati ignorati, le nostre parole troppo deboli per essere ascoltate. Invisibili, portavamo il nostro fardello in silenzio e da soli.

Avevo 12 anni nel 1942 quando, nel pieno della notte, dei soldati tedeschi a Żabno, in Polonia, dove vivevamo, mi puntarono addosso una pistola e mi chiesero dove fosse mio padre. Dissi che non lo sapevo. scesero nello scantinato dove mio padre si nascondeva e gli spararono a morte. Mia madre, mia sorella Rachel e io dovemmo fuggire in un fattoria nelle vicinanze…

La proprietaria ci fece rimanere controvoglia, ignorandoci totalmente. Rimanemmo lì per due anni e mezzo.In tutto quel tempo non ci diede mai nemmeno un bicchiere d’acqua…Potevo uscire solo quando non c’era la luna. Se mi avessero visto sarei stata spacciata…dovevamo bisbigliare – per due anni e mezzo non parlammo mai con un tono di voce più alto del sussurro! Né potevamo uscire con la luce del sole. Eravamo attaccati alla vita con un filo sottile, sempre infreddoliti, con la paura delle ombre, di corsa, in ascolto. Ogni giorno, ogni notte, portava del nuovo terrore. Era un’esistenza veramente terribile ma, nonostante fossi così spaventata, non ho mai pensato di darmi per vinta “(Ann Shore (Hania Goldman), in seguito divenne presidente della Hidden Child Fundation).

Ci furono però anche persone che si esposero in prima persona per aiutare i più indifesi, cioè le migliaia di bambini che morivano di fame, freddo e tifo nel ghetto di Varsavia. Dal 1939 al 1942 nel ghetto furono trasferite dai villaggi centinaia di migliaia di ebrei; nel 1941 c’erano oltre 400.000 persone, tra le quali tanti bambini, che si pensava di sterminare lentamente per fame. I più piccoli impararono ad uscire dal ghetto, spesso attraverso le fogne, per raggiungere la zona ariana in cerca di qualcosa da mangiare per sé e per gli altri, sfidando tanti pericoli e la sorveglianza dei soldati. Quelli rimasti orfani furono abbandonati a loro stessi per le strade. In seguito furono deportati nei lager, perlopiù a Treblinka. (informazioni  tratte da “Il futuro spezzato- i nazisti contro i bambini”, di Lidia Beccaria Rolfi e Bruno Maida.)

Un‘infermiera ed assistente sociale, Irena Sendler, ebbe il permesso di lavorare nel ghetto di Varsavia; spesso si spacciò per tecnico di condutture idrauliche per collaborare con la Resistenza polacca e portare in salvo circa 2500 bambini ebrei, nascondendo i più piccoli nella cassetta degli attrezzi e i più grandi in un sacco di iuta. Si avvalse del prezioso aiuto di un cane addestrato a stare nel camion e ad abbaiare per avvisare dell’arrivo dei nazisti o per coprire il pianto dei bambini. Quando fu scoperta, Irena subì la violenza dei soldati tedeschi che le spezzarono braccia e gambe. A guerra finita cercò di rintracciare i genitori sopravvissuti di quei bambini, dei quali aveva scritto i nomi veri accanto a quelli falsi in elenchi ben nascosti in barattoli sepolti sotto un albero del suo giardino; sistemò molti orfani presso famiglie affidatarie ed istituti. Al parlamento polacco che nel 2007 la proclamò eroe nazionale, Irena scrisse “Ogni bambino salvato con il mio aiuto è la giustificazione della mia esistenza su questa terra, e non un titolo di gloria”

Tempo fa è stata proposta per il premio Nobel per la pace, ma non è stata nominata. Nel 2008 è volata via all’ età di 98 anni.

 

Memorandum di una madre di figli adolescenti

 

I figli crescono  e me ne accorgo sempre più.L’affetto di mammà italica regna sovrano con qualche ansia, soprattutto serale, rapportata alle loro recenti, più frequenti e legittime  esperienze.Così ho stilato un memorandum: sono ben accetti i pareri di coloro che hanno esperienze diverse. 

  1. Dovevaiconchivaiacheoratorni è il minimo che una mater possa fare prima che i figli  escano di sera.  A che serva, non saprei. Se non a lanciare il sottinteso: “Mi raccomando! Io son qui che  vi aspetto.”
  2. Considera  sempre che possono rispondere quel che vogliono. Va bene lo stesso. Purchè si riesca   poi a ricostruire la loro serata e relazioni interpersonali dal successivo e spontaneo resoconto.
  3. Il consiglio precedente è nullo se il figlio è introversamente muto. In questo caso il classico “Non mi ricordo” oppure “Ma cosa vuoi sapere?” suona peggio di un’inesorabile mannaia. È auspicabile rinviare eventuali analisi del sangue, previste per il giorno dopo, perché i valori potrebbero risultare alterati da stress genitoriale.
  4. Nel caso succitato la mammà italica è in stato d’allerta. Nei giorni seguenti  raddrizza le antenne e cerca di captare, con orecchie da volpe del deserto, ogni piccolo cenno ad amici o a riferimenti spazio temporali della trascorsa serata  per sincerarsi che è tutto ok.
  5. La fiducia è basilare, ma non è mai troppa. Ci sono in giro tanti marpioni /e, e   ci sono sempre stati. Forse oggi più di prima o sono solo più emergenti nell’immaginario della genitrice?
  6. Evita il pedinamento a meno che non si abbia la certezza che stiano deviando. Se c’è sentore di allupati/e (oggi c’è par condicio) che abbiano troppi  anni più di vostra figlia/o, inizia a suonare lo scacciapensieri in un doingdoingdoing dinghidinghi e ad indossare un basco siciliano…sperando che il nuovo look sortisca l’effetto sperato.
  7. In caso di certa conferma, dopo avere ragionato invano con i piezz ‘e core, dedica almeno cinque giorni  ad allenamenti di corsa e di  lancio del giavellotto per avere abbastanza fiato e mira.  Non per sbraitare, ma  per rincorrerli  brandendo un bel battipanni o matterello. I vecchi rimedi funzionano sempre.
  8. Se i figli tardano eccessivamente, un paio di volte si può tollerare .Fai capire però che il tarlo della  preoccupazione procede con le lancette dell’orologio e che è ben accetta una loro telefonata rassicurante in caso di ritardo.
  9. Non angosciare con telefonate continue durante la loro uscita. Se il telefono non squilla, vuol dire che è tutto a posto.
  10. È opportuno dire che devono esser reperibili, qualora si voglia rintracciarli. Se il loro cellulare è sempre irraggiungibile, è meglio non ridursi ad avere anti estetiche occhiaie fino a metà guancia…con modi garbati e sorriso serafico sii sempre pronta ad accoglierli al rientro e poi sfogati pure con una defenestrazione – del cell , non dei figli-, visto che se ne servono  solo quando fa comodo.
  11. Il detto questa casa non è un albergo, è sempre attuale. L’ideale sarebbe pure che non fosse una stalla, perlomeno  la loro camera, dopo la lunga e caotica vestizione serale e frettolosa svestizione notturna. Ma hanno bisogno dei loro spazi, per cui fingi di non vedere fino a quando non c’è sentore di un controllo  dell’ASL. Al loro dolce risveglio, fai  trovare periodicamente ben allineati, in assetto da parata, scopa, straccio, detersivi e secchio d’acqua per provvedere. Qualora siano recidivi,  ottimo deterrente al soqquadro potrebbe essere  una catapulta per  sgomberare il pavimento dalle pezze sparse.
  12. Quando rientrano, se non sei già tra le braccia di Morfeo (che può essere pure uno pseudonimo), ogni tanto con la scusa di augurare la buonanotte e baciarli, annusa l’alito e controlla le pupille. Lo scotto di mammà possessiva val bene come controllo indiretto o prevenzione.
  13. Scatta come una molla  dal letto se per caso si affacciano in camera dicendo: “Mamma devo parlarti…” ; accomodati su un divano evitando di sbadigliare, ascolta e  conta fino a venti prima di rispondere.
  14. Prima di andare a dormire , spiega bene al cane o al gatto di casa che sarebbe opportuna la loro collaborazione. Come ti svegliano alle sei di mattino, mettendo il muso o allungando la zampa sul letto per ricordarti gli impegni della giornata, così devono avvisare quando i figli rientrano ad ora troppa tarda, al di là di quella pattuita. Altrimenti niente pappa. In famiglia tutti devono cooperare.
  15. Viceversa avvisa i pappagallini che se osano strepitare, saranno liberati al freddo e al gelo l’indomani.
  16. Se il figlio/a prende l’auto, il controllo del contachilometri dà utili indizi sugli annunciati spostamenti della serata. Se mente, pur sapendo di mentire, basta lasciare il serbatoio della benzina vuoto …altrettanto il portafogli.
  17. Se  tradiscono la vostra fiducia, medita col consorte una strategia educativa condivisa soprattutto a riguardo del contenuto e dei toni del ragionamento che vorrete intraprendere.
  18. Se il consorte fa lo gnorri, compra un bel biglietto per ignota destinazione nel week end e lascia che si assuma le sue responsabilità di paterfamilias. Le tue di matermatronissima bastano e avanzano.
  19. Rimuovi eventuali  sensi di colpa; pensa alla tua  adolescenza valutandone i pro e contro alla luce della sopraggiunta maturità ( anche se Peter Pan scalpita nel profondo io).
  20. Non disdegnare eventuali loro tatuaggi, purchè non cancellino dalla mente un tatù più consapevole “che mamma e papà sono i loro genitori, a rischio di passar per ansiosi e anacronistici caudilli, protagonisti e destinatari del sempiterno  scontro generazionale, e che non si preoccupano che facciano esperienze, ma esperienze senza ritorno”.

 

Vignetta tratta da “Tutta Mafalda” di Quino- ed. Bompiani.

I figli sono le ancore della vita di una madre ( Sofocle).

Quante persone  hanno inciso nella mia vita, chi più, chi meno: alcune sono state  stelle di passaggio, altre stelle fisse. Una mi ha dato l’imprinting dalla nascita. È  la cara mamma con la quale a tutt’oggi vige un rapporto di odio amore: una madre forte, quasi  granitica, che  mai si abbandona ad un complimento, una tenerezza, un’introspezione personale se non quando volutamente ce la porto io col mio fare diretto e a volte ironicamente  provocatorio Esiste  però anche un’altra mamma, detta mammà, cioè  la suocera. È la madre acquisita, cui voglio bene e che stimo per la sua vitalità ed ironia e con la quale ho instaurato  un rapporto schietto, nonostante ci siano state iniziali  incomprensioni, sanatesi poi in modo saggio …del resto era prevedibile visto che abbiamo due caratterini determinati ai quali, ancor oggi ,mi chiedo come sia sopravvissuto mio marito.

 Capirete che il rapporto suocera e nuora è ben diverso tra quello intercorrente tra suocera e genero. Il genero di solito è tollerato e  se ne sta in disparte;  con lui la suocera mantiene rapporti affettuosamente formali di squisita cortesia e  di solito è bendisposta nei suoi riguardi, ben sapendo  che gli  dovrebbe erigere un monumento in segno  di riconoscimento per avere avuto l’ardire di  impalmare e sopportare la  figlia. Generalmente,se le cose non vanno bene  nella coppia, la madre di lei  non affronta mai l’argomento col genero, MAI…ma  poi in privato  si chiarisce a squarciagola e senza troppe attenzioni con la figlia. Il matrimonio va salvato a tutti i costi: piuttosto la mamma di lei si sdraia sull’uscio di casa immolandosi ad un eventuale calpestìo dei coniugi in crisi  La più grande ferita inferta è quando la coppia , ormai scoppiata, si disaccoppia per sempre per cui, vita natural durante, la figlia sarà ritenuta responsabile del fallimento del matrimonio o, in casi eccezionali, di avere comunque fatto una scelta sbagliata, di non avere capito che pasta  d’uomo potesse essere il consorte . Su di lei graverà l’onta di avere sciolto un vincolo indissolubile. 

 Ah le donne di una volta!  Ostentavano fieramente sulla cervice le impalcature  del papà di Bambi  insieme alla fierezza di essersi sacrificate per l’unità della famiglia,votate al  dignitoso silenzio e sopportazione .Chissà  se in privato facevano scontare  al marito fedifrago e concubino le sue scappatelle e mancanze di rispetto per esser volato dietro a qualche compiacente e frivola sottana. La matermatronissima  si sarebbe   incatenata davanti alla porta di casa pur di non far andare via il paterfamilias in un momento di rabbia, debolezza  o sconforto,cementandolo  su un piedistallo  agli occhi dei figli come onesto lavoratore e padre esemplare, cui si poteva , anzi  si doveva perdonare qualcosa.

Questo  perchè una volta c’erano le Mogli Santissime, regine del focolare e osannate sul trono della sacra famiglia, mentre  fuori del regno familiare vagavano  le altre  comuni  ed insignificanti mortali.

 Merita però un discorso a parte  mammà…anzi MAMMÀ, l’unica e vera  presenza dominante della famiglia di lui, cioè la madre  del marito. Mammà è colei  che fa tremare le vene ai polsi a qualsiasi ragazza, dai 18 ai  60 anni, che si accinga  a conoscere i genitori di lui. Qualsivoglia  lei è in soggezione,  preoccupata quando per la prima volta si avvicina con timore riverenziale alla futura suocera.. Supermammà con un fare un po’ distaccato o cerimoniosamente gentile  scruta la rivale, colei che osa spodestarla dal cuore e dalla testa del figlio, colei che inoltre  lo spinge con arti seduttive a  uscire dal nido e a tagliare il cordone ombelicale. In una frazione di secondo la  genitrice  già immagina il suo bambino in versione casalinga , mentre affaticato porta sacchetti della spesa e della spazzatura,  consola pargoli febbricitanti  e piagnucolosi, pensieroso fa i conti con le bollette da pagare e di sera ,con  modi un po’ servili, cerca d’ingraziarsi la moglie stanca.

 Mammà ben sa di appartenere ad un’altra tempra, ad un’altra generazione,  quella dedita solo a casa e famiglia,le cui uniche divagazioni sono  tappe a cadenza prefissata  in  chiesa, nel  supermercato e  nel mercatino rionale; la più grande trasgressione vacanziera  è un viaggetto una tantum organizzato dalla parrocchia.

Mentre si svolgono i convenevoli di presentazione solitamente con invito a pranzo a  casa di lui, la fidanzata viene “scannerizzata” dagli occhi fissi e penetranti di mammà che si chiede pensierosa “ Sarà all’altezza di rendere felice mio figlio? Sarà seria? Sarà in grado di garantire progenie per il perpetuarsi della specie?” Perciò ,giovani fanciulle, non preoccupatevi per il vostro bell’apparire, per il trucco sbavato ed il look poco consono: mammà va oltre, punta direttamente alla sostanza del vostro essere.

 La futura suocera è colei che sa cucinare di-vi-na-men-te, che già al primo incontro vi  informa delle preferenze gastronomiche  del figlio perché -si sa- l’uomo si prende per la gola ( se solo immaginasse  quali sono i veri appetiti del suo  bambino!), e non riesce a capire che sarebbe ora di svezzarlo. È colei che stira benissimo, soprattutto le camicie, ricorda tutte le ricorrenze e non si sgomenta se deve preparare un pranzo  per 25 persone. È l’amministratrice delegata della grande azienda familiare, che dirige dal  ponte di comando  con  incredibile  maestria, mentre il suocero –ombra acconsente silenzioso purchè sia lasciato in pace a leggere il quotidiano e guardare la tv . Mammà  è sempre in ordine: va dalla parrucchiera in occasione delle feste comandate, usa da almeno trent’anni lo stesso profumo e  a stento mette un po’ di rosa sulle guance o un filo di rossetto. Indossa vestiti sobri che sembrano una divisa, comodi e poco appariscenti. Idem per le scarpe, adatte per ogni occasione e per repentini sprint d’attacco.  Legge qualche settimanale e  si diletta in parole crociate che fa quadrare con somma abilità  scrivendo  anche due letterine nella stessa casella. Segue tutte  le trasmissioni di cucina  ma predilige quelle  strappalacrime dove può commentare a viva voce o fare  il tifo per chi ha ragione in base alle emotive pulsioni del  suo grande cuore. È aggiornata sui fidanzamenti, separazioni e divorzi di tutti i personaggi del mondo dello spettacolo, dello sport e delle dinastie  regnanti, fino alla terza generazione ascendente.

 Quando finalmente  i piccioncini  arrivano allo stato coniugale,giuridico o di fatto, per la sposina inizia il vero rodaggio di convivenza…non con lui, ma con la mamma di lui.

Mammà  va raramente a farle  visita, per non dare fastidio( in effetti non sopporta il disordine cronico della casa degli sposi che potrebbe svelare qualche dettaglio della loro felice intimità) . Preannuncia il suo arrivo cinque minuti prima di una sua eventuale visita, per fare “scavezzacollare” meglio gli sposini in un riordino last minute .  Non appena la nuora apre la porta, la  fissa negli occhi per capire come stanno le cose col figlio. Attenzione se fa troppi complimenti del tipo “Come  sei bella e radiosa oggi!” (sottintende: Vi ho sgamati! – se c’è  bonaccia , oppure “Non è che qualcun altro ti ronza intorno?”, se spira vento di tramontana).

La suocera avanza come un Panzer quando  viene alla luce la progenie ,cioè quando finalmente la discendenza è stata garantita…Olè, supermammà in mille faccende affaccendata,s’adopra indaffarata come  supervisore perché i pargoletti crescano bene, educati, sani e forti. Giorno e notte aiuta  la neomamma inesperta,  nutrendola con cibi sostanziosi ( ecchissenefrega dei chili in più) perché produca latte in abbondanza e  dispensando consigli che si tramandano da generazioni sull’allevamento della specie umana. In tal caso assecondatela, altrimenti ve la farete nemica per sempre.

Chissà perché  i  nipoti somigliano sempre al papà o al nonno, alla zia e alla sorella di lui, mai alla mamma naturale. Puta caso  il pargolo abbia  i capelli sfacciatamente rossi come la madre, mammà zittisce il neopapà che osa rilevare questa somiglianza  dicendo:”Ma no,che dici! Nella nostra  famiglia c’era un trisavolo detto Peppiniello Il rosso …”

 Care ragazze e care signore, perdete ogni speranza se avete intenzione di belligerare con vostra  suocera: lo scontro tra due titani  è controproducente per l’armoniosa sopravvivenza della coppia…rischiereste entrambe di affondare come il Titanic, perdendo  l’amato e conteso bene ( il lui che gongola, non sempre beato, tra  l’incudine e il martello  fingendo spesso di non vedere e non sapere delle vostre schermaglie).

A meno che  non vi siano ragioni più che gravi, fate buon viso a cattivo gioco, ma solo dopo aver magistralmente ed educatamente definito il vostro ruolo, campo d’azione  e ambito di competenza. Contate fino a 300 prima di risponderle  per le rime, ricordatevi  che Lei lo fa perché nutre un amore viscerale per suo figlio e si preoccupa per lui, e non per fare dispetto a voi.

Pensate  che forse un giorno anche voi diverrete suocere: immaginate  per un secondo se vostro figlio, per la legge del contrappasso, un giorno vi presenterà o sceglierà una compagna eccessivamente disinibita, con le gonne troppo corte e troppo sorridente , ambiguamente solare,…una che vi sembrerà una gattamorta, magari plurilaureata ma che pare  non sappia  spiccicare due parole con un senso logico, e che vi risulti cordialmente antipatica per il semplice motivo che dentro di voi- non l’ammetterete mai- siete semplicemente rose dal maledetto, atavico e inguaribile  tarlo della  gelosia che s’annida in ogni  mammà!

Meglio aggiungere vita ai giorni che non giorni alla vita (Rita Levi Montalcini)

 

Rita Levi Montalcini, premio Nobel per la medicina nel 1986 e senatrice a vita dal 2001, è stata una delle donne che hanno fatto l’Italia. Nel ’36 si rifugiò in Belgio, anni dopo rientrò a Torino per proseguire la ricerca sulle cellule nervose, allestendo un laboratorio in camera da letto, finchè nel 1947 raggiunse gli Stati Uniti ove lavorò per venti anni.

Una donna straordinaria che ha attraversato e superato il ‘900 investendo tempo, energie e intelligenza principalmente nella  ricerca scientifica, anche dopo aver rinunciato a incarichi  per sopraggiunti limiti di età, e più di recente in campagne di interesse sociale e ambientale.

Con parole mai banali la Signora Levi Montalcini ha trasmesso la determinazione di chi ha  passione e forza  interiore, la saggezza e l’intelligenza dei grandi, la fede laica  ispirata al  bisogno di conoscenza che l’ha animata sempre e ovunque, anche nei periodi più cruciali della sua vita.

Una figura emblematica del nostro secolo, tra le più stimate e amate. Una donna che ha scelto di vivere disinteressandosi della propria persona, in nome della libertà di pensiero e di una continua ricerca  tendente a scoprire verità nei misteriosi meandri della mente umana.

“Posso dire che l’unico ideale per cui ho lavorato è stato quello di aiutare gli altri e forse per questo la ricerca mi ha dato molto di più di quanto potessi sperare”.

Grazie, splendida Signora!

 

Il regno della teletta in “Fascino muliebre” di Matilde Serao

 

Mentre ero a spasso per il mercato  domenicale di Porta Portese, su una bancarella di stampe,di manifesti pubblicitari e giornali,  ho scorto la scritta “ Matilde  Serao” su un libretto nascosto tra vecchie  etichette e cartoline. Il nome della scrittrice è già di per sé garanzia di uno  stile ridondante in cui le descrizioni si snodano  dall’esterno per intrecciarsi  nella mente  del lettore , inconfondibile per le sfumature  lessicali e – cosa straordinaria delle grandi penne- per  le   riflessioni sempre attuali, forse perché attingono dall’animo umano e da un’intelligenza vivace. Il titolo del libricino è “Fascino Muliebre” e sinceramente credevo riservasse  argute frecciate alle dame dei salotti  che amavano spettegolare sull’anticonformismo della scrittrice.

L’ho letto d’un fiato e ho scoperto che i vari capitoli esplorano  l’universo  della bellezza femminile attraverso immagini storiche e mitologiche, osannano l’acqua , l’idroterapia e i rituali del regno della teletta, suprema arte feminea, svelano consigli e  segreti per esibire  belle mani, bei piedi nel capitolo intitolato “La bellezza di Cenerentola”, una splendida capigliatura in “ La chioma di Berenice”, il profumo di belle labbra. Da riferimenti storico letterari di partenza la Serao arriva a reclamizzare – qui la sorpresa-  prodotti chimico-farmaceutico- igienici della società A Bertelli di Milano , e in particolare modo  della linea di profumeria igienica Venus (acqua, estratti, brillantina, lozioni, olio, profumi, saponi, pomate) elencati in un prezzario nelle ultime pagine.

 Peccato che sul libretto non sia indicato l’anno di stampa . Presumo che fosse annesso a qualche altra pubblicazione, forse di un giornale dell’epoca?   

Eccone uno stralcio tratto dal capitolo  “Nel regno della teletta”

“La parola toilette– dicono i ricercatori delle origini delle parole- trasse la sua fortuna da un movente assai esiguo, come accade di quasi tutte le cose destinate ad una grande popolarità. Essa viene  da toile, tela, giacchè al principio del diciassettesimo secolo, le signore solevano portare in viaggio, in un sacchetto di tela, esternamente assai lavorato e leggiadramente adorno, gli oggetti per l’abbellimento del volto e dei capelli; il sacchetto era fatto per modo che, aprendolo, si distendeva come una tovaglietta, una piccola tela, una toilette, sovra un tavolino da lavoro, che si collocava avanti alla specchiera, e lì la signora, la sua camerista, la sua pettinatrice o l’azzimato parrucchiere dalla mano lieve comme des pattes de papillons, compivano quella mirabile opera di architettura, di polverizzazione, d’incipriamento, di miniatura, di ritocco e di dipintura minuziosa che assurse poi agli onori della massima illustrazione, un secolo dopo, sotto lo scettro di Madame de Pompadour, di Maria Antonietta e della principessa di Metternich.

Alcuni filologi hanno invocato anche l’origine dalla parola provenzale e italiana tavoletta, taoletta ,e quindi anche tailetta, toilette, teletta.

Che cosa diventò, poi, la teletta! Ve ne erano, per le dame francesi, due, e non più di tela, ma fisse avanti all’enorme specchio, che le avviluppava tutte nella sua ampiezza indiscreta: una era per la preparazione intima, la teletta privata, raccolta, discreta, l’altra, vero poema di merletti e di rabeschi, era per l’adornamento sontuoso, che la dama si faceva completare in presenza dei cortigiani e dei corteggiatori, in un  salone dorato e rabescato. Questo era il salotto- boudoir– dalla tradizionale spinetta che accompagnava il passo molle e carezzoso del minuetto; ivi si compiva l’incipriamento, la postura dei nèi finti, si dava l’ultimo tocco di minio, si appuntava l’aigrette, fra le lodi sussurrate e le ciance dolci e banali. Oh, cari, spirituali, frivoli e pur affascinanti boudoirs, ritratti dal pennello di Watteau, ove aleggiava la poesia sottile come la cipria e colorita come una tortuosa pavana! Ancora, ancora da quelle figure di donne per le quali il supremo studio della vita era l’arte di piacere, di ammaliare, l’arte d’ingentilire in un’onda d’incanti la loro bellezza, ancora come da esseri viventi e gorgheggianti si sprigiona un caldo sapore di vita, un’onda di armonie che raramente possono ritrovarsi ai giorni nostri!

Che cosa vi era, allora, su la teletta tutta avorii, ori e argenti della signora elegante, dove i più celebri miniaturisti, orafi, argentieri, incisori e scultori annidavano le carezze della loro arte delicata, tutta leggiadrie e profumi? Chiedetelo a gli scrittori che ricostruirono quel mondo così gaio e così interessante: ai Goncourt, che ne penetrarono l’anima; a Théophile Gautier, che ne dipinse con pennellate nobilissime la merlettata esteriorità. Erano arsenali di ninnoli, di fiale, di cofanetti, di boccette, di ordegni, di ampolle, il contenuto dei quali era una immensa varietà sortita di fantasie sempre fertili, sempre tormentate dall’idea fissa dell’originalità.

Oggi, la moda, il gusto diverso, i ritrovati nuovi hanno semplificato ogni cosa; ma il piccolo arsenale della teletta di una signora elegante, che segua le norme dell’igiene con la stessa scrupolosità con cui cura la sua bellezza, non è meno interessante. Il tipo è unico, e la donna d’altronde è conservatrice per eccellenza, anche quando sembra subire qualche evoluzione…” 

Seguono citazioni di prodotti Venus  , acqua da teletta, vellutina, brillantina, glicerina, lozione, crema cosmetici antisettici ricciolina, essenze profumate al gelsomino, mughetto, violetta rosata, rosa thea, ylang-ylang …

Usi, costumi e atmosfera di altri tempi, ma il piccolo arsenale, fisso e mobile, della  teletta esiste ancora, a ogni età e non solo per le donne. Una ragione in più per difendere a spada tratta  dalle critiche e dai tentativi di espropriazione le creme e le cremine idratanti, emollienti, struccanti, nutrienti, rigeneranti, antirughe, antistress, rassodanti, snellenti ecc…ben schierate  nei mobiletti e sulle mensole del bagno .