Roma, 16 ottobre 1943

Pare che ogni terra, ogni popolo abbia paura di ospitare l’innominabile nell’eterno  riposo.

Non saprei se provochi più sdegno il massacro di  tante persone inermi alle Fosse Ardeatine o il fatto che egli non abbia mai mostrato un minimo segno di pentimento o  di pietà per le vittime, e abbia sempre  ostentato arroganza e superbia.

Roma non dimentica. Anch’io non dimentico quel 16 ottobre 1943.Queste targhe parlano da sé, come le pietre d’inciampo che si trovano  nella capitale, non solo nel ghetto ebraico, ma ovunque ci siano state vittime della violenza nazifascista, anche dinanzi ad alcune  caserme dei carabinieri  come quella di Via Giulio Cesare  ove ce ne sono 12. Il 7 ottobre duemila carabinieri italiani furono deportati da Roma nei campi di prigionia per tante ragioni, perché aiutarono i disertori o altre persone o perché ritenuti inaffidabili, in fondo l’8 settembre  giovanissimi allievi carabinieri andarono a combattere sul Ponte della Magliana e morirono  per difendere  Roma.

targa ghetto ebraico roma

 

“La mattina di sabato 16 ottobre 1943 le SS irruppero nel ghetto di Roma e deportarono circa 1040 persone ad Auschwitz. Ne tornarono solo 17. Su 288 bambini e ragazzi da 0 a 15 anni, ne sopravvisse solo uno, Enzo Camerino nato nel 1928. Tra 288 giovanissimi c’erano 10 ragazzi di quindici anni, 15 di quattordici, 19 di tredici, 17 di dodici,16 di undici, 17 di dieci,10 di nove,16 di otto anni e 16 di sette,23 di sei,21 di cinque,24 di quattro,23 di tre,25 di due anni e 13 di un anno. Con loro muoiono 2 bimbi di 10 mesi, uno di 9, due di 8,due di 7,5 di sei, 2 di  cinque mesi, due di 4, tre di tre mesi, uno di 15 giorni e un neonato venuto alla luce poche ore dopo l’arresto della madre. Si aggiungano un bimbo e una bimba dei quali non si conosce l’età.

targa casa settimio calò

 

Di mattina presto un merciaio ambulante, Settimio Calò di 44 anni, abitante nel Portico d’Ottavia n 19 uscì da casa per fare la coda in una tabaccheria. Al ritorno trovò la casa vuota: i tedeschi avevano portato via la moglie, Clelia Frascati di 43 anni, e i 10 figli: Bellina di 22 anni, Esterina di 20, Rosa di 18, Ines di 16, Raimondo di 14, David di 13, Elena di 11, Angelo di 8, Nella di 6, Lello Samuele di circa 6 mesi. Con loro anche il cuginetto Settimio di 12 anni che quella notte per caso era stato ospitato dai Calò. Morirono tutti nelle camere a gas appena arrivati ad Auschwitz il 23 ottobre 1943. (informazioni  tratte da “Il futuro spezzato- i nazisti contro i bambini”, di Lidia Beccaria Rolfi e Bruno Maida. Libro dedicato alla piccola Sissel Vogelmann e a tutti i bambini assassinati.)

 Il post continua qui.

Vincenzo Gemito- Villa Pignatelli


villa pignatelli- napoli

 

Villa Pignatelli a Napoli ,splendida dimora inglese che mescola lo stile neoclassico  e neo palladiano, fu progettata nel 1826 da Pietro Valente per Sir Acton, passò poi ai Rothschild e infine ai Pignatelli Cortes d’Aragona che nel 1952 la donarono allo Stato Italiano. La villa, immersa in un parco, merita di esser visitata  per gli  arredi,statue, dipinti, decorazioni in stucco, collezioni di porcellane, argenti e  cristalli che la rendono simile a un raffinato gioiello d’epoca.

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È sede del   Museo Pignatelli dove a distanza di cinquant’anni dalla mostra monografica tenutasi al Palazzo Reale di Napoli nel 1953, nel 2009 sono  state esposte  più di centocinquanta opere – tra disegni, terrecotte, bronzi, gessi, cere e argenti- che documentano  l’attività creativa di Vincenzo Gemito, geniale protagonista del panorama artistico europeo tra l’Ottocento e il Novecento. Una mostra di foto d’epoca, autoritratti, ritratti di parenti, meduse e sibille,  grandi personaggi artistici e storici- come Verdi,Alessandro Magno e Carlo V-  e soprattutto popolani e scugnizzi (bambini di strada) ripresi dal vero nelle vesti di acquaioli e pescatori, rappresentanti di un’umanità atemporale che vive nelle opere scultoree e grafiche di Gemito.

zingara di gemito

 Gemito  visse la sua esperienza umana e artistica come una continua prova da superare, pagando con la follia la sua tensione espressiva. Tutta la sua produzione ( sculture e  disegni, in parte inediti, realizzati a penna,a matita, a carboncino, a seppia e ad acquerello) riflette una personale ricerca sia sull’ uomo, sia sull’ essenza della forma fissata nel gesto e nell’ attimo.

 È interessante la vita di quest’artista che fece dell’arte la sua ragione di vita fino a divenirne quasi una mitica vittima.

“Egli aveva nome Vincenzo Gemito. Era povero, nato dal popolo; e all’ implacabile fame dei suoi occhi veggenti, aperti sulle forme, si aggiungono talora la fame bruta che torce le viscere. Ma egli, come un Elleno, poteva nutrirsi con tre olive e con un sorso d’acqua (G.D’Annunzio, In morte di  Giuseppe Verdi).”

Il 18 luglio 1852 Suor Maria Egiziaca Esposito si presentò all’orfanatrofio dell’Annunziata con un bambino che di notte era stato deposto nella ruota (i bambini indesiderati venivano in tal modo affidati alle suore).Il bimbo aveva solo un pezzo di tela e l’ orecchio destro bucato. Gli fu dato il nome Vincenzo Gemito. Adottato da un’umile famiglia, che da poco aveva perso un figlio,  sin da piccolo fu avviato all’ arte della scultura e si dedicò a ritrarre giovinetti di strada. Fu subito notato nell’ ambiente artistico napoletano. Si classificò tra i primi nelle prove di ammissione al Real Istituto d’Arte e nel 1868 lo stesso re Vittorio Emanuele I acquistò il suo Giocatore in terracotta per la reggia napoletana di Capodimonte.

pescatore di gemito

Gemito si formò studiando i bronzi di Ercolano e dall’ arte antica ricavava la solennità che nobilita ogni soggetto“…Se a l’artista manca la cognizione del passato non potrà mai fare un capolavoro. Le mie opere sono prese dal vivo così come sono esistite…”. Prima lavorò materiali duttili, plasmabili con le mani, come cera e terracotta, poi utilizzò anche il bronzo e l’argento che gli consentivano di controllare la forma in modo quasi ossessivo. Tra il 1877 e il 1880 visse a Parigi ove divenne amico di Meissonier, famoso pittore, che acquistò il suo innovativo Pescatore di bronzo e, pur mantenendo un’autonomia artistica, ebbe relazioni coi grandi artisti dell’epoca, da Boldini a Rodin.

Nel 1880 tornò a Napoli e realizzò la statua di Carlo V. L’insoddisfazione peracquaiolo - gemito la resa in marmo della sua opera scatenò un esaurimento psichico che lo portò quasi alla follia “io non ho più la genialità di prima e non mi sento più lo stesso uomo…”.Per poco tempo soggiornò in una casa di cura, poi dal 1887 al 1909 si isolò volontariamente nella sua casa, ove  fu assistito dal padre “mastro Ciccio”, dalla moglie Anna e dalla figlia Giuseppina , che ispirarono molte sue opere. Nel 1909 riprese a viaggiare e a lavorare tra Roma a Parigi finché, ormai famoso,  tornò alla natia Napoli dove morì il 1° marzo del 1929 . Anche la sua scomparsa diventò mitica., come la sua fama.  Si narra che, quando il corteo funebre giunse davanti alla marina, i becchini sentirono d’un tratto la bara più leggera sulle spalle. Ci fu un po’ di scompiglio tra i personaggi ufficiali finchè un signore in tuba levò la mano a indicare il golfo di Napoli: scortato da due delfini, Gemito navigava verso i mari della Grecia.

 

Villa Pollio Felice

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Il Capo di Sorrento, che chiude a ovest la baia di Sorrento, è sede di uno dei siti archeologici più importanti dell’intera penisola sorrentina. Qui  sono ben visibili i resti di un’antica villa romana, detta di Pollio Felice, appartenente ad una nobile famiglia di Pozzuoli. Infatti anticamente i patrizi romani amavano villeggiare lungo la costa, ove sono evidenti le tracce del loro soggiorno e delle loro abitazioni che non a caso sorgevano nei luoghi più panoramici e belli .

La villa, risalente al I sec a. C. raggiungibile attraverso un sentiero pedonale o via mare, in effetti sarebbe la villa marittima. Domus e villa  a mare coprivano circa trentamila metri quadri di estensione. La domus vera e propria si troverebbe nella parte alta del promontorio  in località Puolo, da quanto emerso dagli studi più recenti dell’archeologo Mario Russo  (“La villa romana del Capo di Sorrento con i fondi agricoli acquistati dal Comune” della collana “Sud – Immagini e Memoria).. Probabilmente la villa era strutturata su due piani su una pianta di 20m  per 10m, da come la descrive anche il poeta Publio Papinio Stazio in due carmi delle Silvae. Comprendeva  sale di ricevimento, alloggi patronali, per gli ospiti e la servitù, bagni termali, magazzini, cucine e ninfei. Di questa domus non è rimasto quasi nulla se non resti di muri di sostegno e capienti cisterne che servivano ad irrigare le coltivazioni circostanti, perlopiù vigneti, dislocate su terrazzamenti.

Pare che le stesse ninfe marine di notte salissero dal mare per rubare dolci grappoli d’uva.

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La villa marittima invece sorgeva sulla punta del promontorio ed era collegata alla domus da scale e terrazze. Aveva il suo approdo a mare, peschiere dove si allevava pesce per i banchetti e un ninfeo che si trovava in una conca d’acqua marina interna cui si accede da una fenditura della roccia che forma un arco naturale e oggi noto come bagni della regina Giovanna.

Si narra che qui la regina Giovanna II d’Angiò Durazzo ,che governò Napoli tra il XIV e XV sec, fosse solita immergersi  e uccidere  gli amanti.

 Chissà se i bagnanti della foto sono al corrente che sulla scogliera ove lucertolano d’estate, nelle notti di plenilunio compaiono due spettri, di una donna di bianco vestita che corre  inseguita da un tenebroso cavaliere, su cavallo nero, che però non riesce a raggiungerla.

 

Hic sumus felices – Le magiche Lune di Pompei

Da maggio a ottobre  del 2010 e 2011  il Parco Archeologico degli Scavi di  Pompei ospitò l’edizione di “ Le  Lune di Pompei”, consistente in  visite notturne del sito archeologico. Per la terza edizione del Carnevale della Letteratura  ricordo quelle notti del 2010 e 2011 che per me sono state tra le  più magiche e suggestive finora vissute.

domus pompei

 

Nel chiarore magico e  misterioso delle Lune Eterne ( la Luna di Morte, la Luna della Speranza, la Luna Virtuale, la Luna della Vita, la Luna che non c’è, la Luna che si Diverte) l’antica città sepolta  racconta i misteri non svelati, che mai hanno abbandonato Pompei .

necropoli lune di pompei

Il percorso parte dalla necropoli di Porta Nocera,  prosegue nell’Orto dei Fuggiaschi, continua verso la Casa del Giardino d’Ercole, in via dell’Abbondanza, soffermandosi nella casa del profumiere, di Octavius Quartius,erroneamente  chiamata in un primo tempo domus di Loreius Tiburtinus, di Venere in Conchiglia e infine si conclude con suggestivi ed onirici giochi di luce nell’Anfiteatro. La voce dell’attore Luca Ward e alcune proiezioni guidano il pubblico in una suggestiva ed eterna realtà parallela per fare vivere e rivivere  Pompei.

L’eruzione del Vesuvio, per l’esattezza  del monte Somma,  nel 79 d. C. fermò la vita di orti dei fuggitivi pompeiPompei sotto una coltre di cenere e lapilli spessa 6-7 metri. La maggior parte degli  abitanti, fuggiti dalle case, trovarono la morte  sul litorale. I pochi rimasti, sperando di salvarsi nei sotterranei  delle abitazioni, morirono asfissiati. Toccanti testimonianze della tragedia sono  i calchi dei Fuggiaschi, ricostruiti  dall’archeologo Giuseppe Fiorelli nel 1863  versando gesso liquido nelle cavità lasciate dai corpi nello strato di cenere.

Camminare per le vie di uno dei siti archeologici più suggestivi  e famosi del mondo, è sempre emozionante. È come viaggiare a ritroso nel tempo. Passeggiare di notte  in una Pompei  illuminata da splendenti Lune piene, seguendo un itinerario tracciato da fiammelle, è un’esperienza unica ed affascinante.

via dell'abbondanza pompeiPassare in punta di piedi sulla strada , esterna alla cinta  della città e conducente  a Nocera, fiancheggiata da numerosi sepolcri monumentali dà l’impressione di violare e consacrare allo stesso tempo la profonda  intimità della morte in una città apparentemente muta e  deserta. Qui si coglie la ciclicità di vita e morte, ove la morte non è frattura o interruzione ma è una delle incombenze dell’uomo, un continuum  della vita e la vita è commistione di otia e negotia , di sacro e profano confluenti nel mito. “Si tenevano in casa le ceneri o le immagini dei propri avi; li si salutava entrando, i vivi restavano in contatto con loro; all’entrata della città, le loro tombe allineate ai due lati della strada,  somigliavano a una prima città, quella dei fondatori”(H.Taine – “Viaggio in Italia”)

Qui però stranamente si continua a respirare la vita quotidiana dell’antichità nelle abitazioni e nelle botteghe, il fermento dei luoghi pubblici, la devozione per gli dei e la pietas per i defunti, il gusto raffinato per l’arte e i piaceri della vita, il valore del talento, dell’ingegno e dell’operosità.

Le Lune di Pompei splendono in alto riversando un’aura di bianca quiete su luoghi che raccontano a tutti per essere ascoltati da alcuni.

 

Gli orti, arricchiti di filari  e di ulivi dalla chiome argentate, nel 1961 restituirono alla storiacalchi vittime pompei 2  tredici vittime dell’eruzione, asfissiate dal gas e dalle ceneri durante la fuga. Nei cosiddetti Orti dei Fuggiaschi il destino di Pompei parla a chiunque. La pietas erompe alla vista di  sagome contorte e sofferenti. L’immaginazione assume una dimensione tristemente più concreta, ma proprio quei calchi fanno rivivere la città. I vuoti dei corpi si riempiono di  tutta la vita narrata sui muri e sui basoli sconnessi, nelle domus, tabernae, terme, teatri e foro dando una dimensione umana ad una civiltà grandiosa.

 

tabernaeOgni  muro, colonna, cubiculum, peristilio, cespuglio di rosmarino, giardino interno  respira ancora e l’immaginazione restituisce gli affreschi, i mosaici, le suppellettili e le statue che arricchivano gli spazi, ora deserti, dove ti senti un intruso in uno scenario fuori dal tempo e percepisci  un invadente senso di solitudine che ti riempie di riverente stupore ed ammirazione  per un  qualcosa di irraggiungibile e grande.

 Come il bello che traspare dalla domus più raffinate. E ti pare di sentire le fragranze della casa del profumiere, di vedere scorrere l’acqua nella lunga vasca di marmo ombreggiata da una pergola nella casa di Octavius Quartius. Ti pare di vedere brillare al sole i personaggi mitici e leggendari  di altri tempi e civiltà.

venere in conchiglia pompei

E ti chiedi chi possa avere calpestato quella strada, chi si sia fermato sull’uscio di quella locanda, chi sia l’autore di questi graffiti che,in questi casi, non informavano nè provocavano ma comunicavano per davvero un modus vivendi.

hic sumus felices graffiti pompei

“ HIC SUMUS FELICES” cioè “QUI  SIAMO FELICI”.

Una solenne proclamazione  di gioia e vitalità collettiva che associo a tutte le genti che vivevano Pompei. Uno squillo per i secoli a venire , una speranza di buon augurio per noi,  provenienti dal futuro, incapaci soltanto di definire la felicità se non per difetto e tanto meno di scrivere una cosa del genere sui muri di una qualsiasi città. “Qui siamo felici.” E sarà una delle magiche  lune di Pompei  o il fascino acuito dalle ombre di una dolce notte d’estate, sarà il mistero di queste strade percorse da chissà chi  e di questi muri  che raccontano più di mille parole, ma in questa scritta graffiata c’è tutta la vita, la forza  prorompente e la grandezza di una civiltà. Qui siamo felici. E non provo invidia ma commozione e un senso di compiaciuta appartenenza a un patrimonio universale, a una sorta di  Eden nascosto, carpito attraverso le fonti storiche. 

Pompei, maledetta dalla natura e benedetta dagli dei, suggestiona chiunque nei suoi chiaroscuri, nell’eco remota che risuona dentro, nella sua  immensità costellata da vibranti fiammelle che segnano il percorso, quasi a ricordo del percorso esistenziale dell’umanità.“Qui siamo felici” è l’epitaffio più bello in memoria di una città che ha ancora tanto da dire indistintamente a tutti.

 Scontenti e perennemente incontentabili, riusciremo mai ad annunciare ai posteri “Qui siamo felici” non per effetto di una momentanea scarica di adrenalina o senza cedere ad una qualsiasi forma di finzione?

 casa del profumiere 1casa profumiere pompeinecropoli porta nocera pompeigraffiti pompei 2graffiti pompei 3affreschi pompei

Nostalgia

meta

 

La storia della terra e dell’uomo si srotola lungo i superbi costoni a picco sul mare, nelle ville d’altri tempi e nei borghi marinari accerchiati dall’argento degli ulivi e dall’odore di zagara, fino ai pendii assolati e alle  torri solitarie che occhieggiano delfini e naviganti. 

Punta Campanella

 

Austeri giganti di roccia al vento  narrano di sirene e di miti lontani. Nulla è più dolce del  nascondersi nel respiro di questo mare e nell’ abbraccio di questo cielo. Nulla è più dolce del librarsi in questa serena  libertà originaria, mai persa come l’istinto a scoprire il bello. 

Capri dal mare

 

Ovunque regna un’eternità sospesa  in una luce divina che placa misticamente i sensi  e dispensa carezze di trasparenze alle rive  e schegge di verde e di pietra avvolte ora in una tenue foschia, ora in un intenso blu cobalto . 

li galli

 

L’anima buona della natura  palpita in queste profondità marine e celesti  che inondano  gli occhi e il cuore. E dopo averne carpito la magia, la cerchi per sempre.

 

Li Galli

li galli

L’arcipelago delle Sirenuse ( oggi detto Li Galli)  spicca in mezzo al mare tra la costa sorrentina e Positano e rientra nell’area marina protetta di Punta Campanella.E’ formato da tre isolette (il Gallo Lungo, la Rotonda e il Castelluccio) considerate già dal greco Strabone (I sec a. C) la mitica sede delle Sirene  ammaliatrici. Nell’arte greca arcaica queste divinità erano rappresentate per metà donna e metà uccello ( di qui il nome Li Galli); solo successivamente come donne con una coda di pesce. Le astute Sirene stregavano i naviganti con un canto irresistibilmente melodioso e sapevano incantare con dolci parole toccando il cuore e l’intelletto dei malcapitati, che beatamente si lasciavano sedurre e naufragavano contro gli scogli.

A Ulisse promisero che, se si fosse fermato, gli avrebbero rivelato i segreti della conoscenza e ciò che sarebbe avvenuto in ogni tempo e luogo della terra. Non poteva esserci tentazione più forte per  l’intelligente Odisseo, che peregrinò a lungo per terre e mari  spinto dal desiderio di conoscere. Ma l’eroe si fece legare all’albero della nave dopo aver furbamente turato con la cera le orecchie dei suoi marinai .Invano cercò di svincolarsi dalle corde cedendo alle dolci lusinghe. Quindi le sirene, da lui sconfitte , poiché non erano immortali ma vivevano finchè riuscivano ad incantare, si uccisero gettandosi nel mare dall’alto delle isole. Si chiamavano Leucosia, Ligeia e Partenope. Il corpo di quest’ultima fu portato tra gli scogli di Megaride dove sorse il primo insediamento di quella che sarebbe poi diventata Napoli. Gli abitanti del villaggio scoprirono la dea con gli occhi chiusi, il viso bianco di fanciulla e lunghi capelli, simili ad alghe, e in suo onore eressero un sepolcro. Partenope diede il nome al villaggio diventandone la protettrice,venerata dalla popolazione con sacrifici e fiaccolate sul mare. A lungo storici e archeologici hanno cercato di localizzare il suo sepolcro… ma storia e leggenda si confondono.

Li Galli- Positano

 

Altri  personaggi mitologici s’imbatterono nelle Sirene, cioè gli Argonauti, una schiera di circa 50 eroi che a bordo della nave Argo si scavezzacollarono in mille avventure e peripezie per conquistare un prodigioso vello d’oro. L’abile Orfeo riuscì a cantare e suonare la lira divinamente, umiliando così le Sirene che si gettarono in mare e si tramutarono in sassi.Probabilmente nel mito le Sirene sottintendevano i pericoli della navigazione in un tratto di mare caratterizzato da forti correnti, che spesso causavano il naufragio delle imbarcazioni contro queste isole.

Nel 1225 Federico II di Svevia donò al monastero di Positano le  tres Sirenas quae dicitur Gallus . Nel 1924 il coreografo e ballerino russo Leonide  Massine acquistò le isole e vi fece costruire una splendida villa, abbellita poi dall’architetto Le Corbusier. Tra gli anni ’80 e ‘90 nella pace de Li Galli amava ritirarsi un altro ballerino russo, Rudolf  Nureyev. Attualmente le isole sono proprietà di altri privati.

 Li Galli, sospesi tra cielo e abissi, tra storia e leggenda affascinano terribilmente …

Il Vervece

vervece 1

Vervece

 

Di fronte a Marina della Lobra, borgo marinaro di Massa Lubrense, a circa un miglio di distanza da terra  emerge dal mare lo scoglio del Vervece (dal latino vervex che significa caprone), in dialetto detto ‘o Revece.

 Pare che quest’isolotto abbia determinato la forma del fondoschiena delle donne massesi. Infatti una leggenda popolare narra che le energiche massesi, giovani e meno giovani, zitelle e maritate, decisero di tirare lo scoglio a riva con una robusta fune temendo che i Sorrentini volessero rubarlo o, secondo un’altra versione, per riparare Marina della Lobra  dalle mareggiate. A forza di tirare, la fune si spezzò e le donne caddero all’indietro subendo un grave danno consistente nell’ appiattimento e ingrossamento del deretano. L’aneddoto è descritto da un canonico a Monsignor Giuseppe Giustiniani, arcivescovo di Sorrento dal 1886 al 1917  nel terzo canto del poemetto ‘O Paese mio di Francesco Saverio Mollo.

vervece e capri

Vervece e sullo sfondo Capri

 

Il Vervece fa da scenario anche ad un’altra storia che ha come protagonisti due pittori: Carlo Amalfi e Luigi Blower. Quest’ultimo si rivelò un falso amico, invidioso e malvagio al punto tale da fare imprigionare Carlo. Durante la prigionia l’Amalfi capì l’inganno e meditò la vendetta. Scontata la pena, l’esperto marinaio Carlo invitò l’amico a fare un giro in barca a vela proprio quando s’avvicinava una burrasca. Luigi, non sapendo nuotare e spaventato dal mare agitato, lo pregò di farlo sbarcare. Carlo pensò bene di abbandonarlo sullo scoglio del Vervece, esortandolo a meditare sul male che gli aveva fatto. Il giorno dopo tornò all’ isolotto per recuperarlo, ma non lo trovò. Lo cercò invano e a lungo e per il resto della vita fu tormentato  da incubi di tempeste e naufragi causati dal rimorso di aver provocato la morte di Luigi. Quando capì di essere in fin di vita, Carlo chiamò un frate cappuccino per confessare il presunto delitto e scoprì che quel frate era proprio Luigi Blower che, tratto in salvo da alcuni procidani, si era poi ritirato in convento per espiare i peccati commessi. Così Carlo Amalfi  morì libero dal senso di colpa…ma in compenso l’amico Luigi gli aveva turbato non poco la vita.

 

Il Vervece però è noto perché nelle sue prossimità Enzo Maiorca conquistò il record mondiale di profondità in apnea (1974). Successivamente fu posta una Madonnina di bronzo alla base dello scoglio a circa 15 metri di profondità. Qui ogni anno, la seconda domenica di settembre, è celebrata una messa in onore della Madonna del Vervece, protettrice dei subacquei, alla quale partecipano molti devoti, che raggiungono lo scoglio con ogni tipo di imbarcazione, e sub che s’immergono per deporre fiori.

 

“Quando voglio pensare a qualche cosa di piacevole e di riposante mi viene subito davanti agli occhi la mia cara villa di Bordighera” (Regina Margherita di Savoia, 1923)

 

regina margherita di savoia- bordighera

Margherita Maria Teresa Giovanna di Savoia  nacque a Torino nel 1851 da Ferdinando di Savoia – Genova e Elisabetta di Sassonia.  Rimasta orfana del padre a quattro anni , fu accudita dalla contessa Clelia Monticelli di Castelrosso e da don Mottura, un prete liberale amico di Gioberti, che si preoccuparono della salute, dell’educazione e della serenità  della piccola. Dopo qualche anno  si avvicinò alla musica e alla pittura  acquisendo gradualmente gusto per il colore che sperimentò negli acquerelli anche durante la vita da regina. Imparò  quattro lingue, ma solo a quattordici  anni iniziò a studiare l’italiano, la storia e la letteratura italiana con il professore Andrea Tintori.

Cresciuta nel clima risorgimentale Margherita conciliò bellezza  e buon gusto con la forza e la determinazione del carattere, il  senso del dovere con una buona  capacità di comunicazione. A otto anni preparò bende per i feriti degli scontri del 1859 per un dovere di assistenza che l’accompagnò anche in seguito come regina madre dedita ad opere di beneficenza.

Nell’aprile del  1868, a diciassette anni,  sposò il principe Umberto, che in realtà amò sempre la  bella Bolognina, cioè  Eugenia Attendolo Bolognini, contessa Litta. Tra migliaia di margherite, che addobbarono il duomo di san Giovanni a Torino e gli abiti delle dame , la fanciulla sposò la monarchia sin dall’inizio, dimostrando di avere un profondo senso del proprio ruolo regale, e chiese al re Vittorio Emanuele II il permesso di affacciarsi i per salutare il popolo festoso. Non fu un caso se  divenne  uno dei personaggi più amati della storia italiana: con  l’aggraziata  freschezza di sposa fanciulla e il carisma di un’innata signorilità conquistò l’alta società e il popolo. Anche quando visse a Monza , ove dimorava la “Bolognina”, la principessa Margherita  non dimenticò  le funzioni e i doveri del suo rango. Si trasferì a Napoli quando il re decise che il nascituro  erede al trono doveva nascere lì per ragioni di stato. Infatti  il piccolo Vittorio Emanuele  III  nacque a Napoli  nel novembre del 1869 e fu accolto in una  culla regale, decorata con  medaglioni di madreperla e corallo, dono dei  napoletani realizzato sotto la guida di  Domenico Morelli e di Luigi Settembrini. Quando Roma si unì con un plebiscito al regno d’Italia, la famiglia reale si trasferì al Quirinale. Nella Città eterna la principessa Margherita  conciliò impegni di vita mondana con quelli familiari di cura del figlio, ma soprattutto iniziò ad accogliere nella nuova reggia poeti, letterati , artisti famosi e non. Il 9 gennaio 1878 morì il re Vittorio Emanuele II e il principe Umberto salì al trono . Margherita divenne pertanto la prima regina d’Italia. Una  regina incantatrice: colta, raffinata, elegante e affabile si fece amare durante un viaggio per l’Italia non disdegnando di indossare costumi tipici e gioielli di orafi locali. Ebbe  carisma e rappresentò  la vera forza della monarchia perché fu ben consapevole del proprio ruolo regale, dei propri doveri nella vita privata e pubblica , di mecenate delle arti e della cultura, di generosa  e affabile interlocutrice con ambasciatori stranieri e gente del popolo dalla quale si lasciò avvicinare. Divenne un punto di riferimento , a differenza dello schivo consorte  più dedito all’ arte venatoria e amatoria. La regina visitava collegi, orfanatrofi  e  scuole, partecipava  a inaugurazioni ed eventi culturali e mondani. 

villa regina margherita

Nel luglio del 1900 il gioviale re Umberto, scampato a precedenti attentati, fu  assassinato con quattro colpi di pistola dall’ anarchico Bresci e quindi  l’11 agosto gli successe al  trono il re Vittorio Emanuele III. Di conseguenza la  regina Margherita assunse il ruolo di regina madre, continuando a dedicarsi ad opere di beneficenza e di promozione delle arti e della cultura .

finestra villa regina Margherita

 Dopo l’attentato  al consorte, nel settembre 1879, si recò a Bordighera e fu ospitata dal barone Bischoffsheim nella  villa Etelinda. Anni dopo ritornò nella tranquilla cittadina del Ponente ligure e nel 1914 acquistò una villa con giardino  che l’architetto Luigi Broggi trasformò nella splendida Villa Regina Margherita. Dal 1916 da maggio a dicembre la regina si ritirava nella villa, dove ritrovava  la serenità tra le tante rose e il verde del parco. Non si sottrasse a impegni di vita pubblica fino a quando  si spense  nell’ amata villa di Bordighera il 4 gennaio 1926.

“Margherita di Savoia è artista pel bisogno di vivere in un ambiente esteticamente bello nell’insieme e nei particolari, dai mobili di stile, ai ninnoli, ai quadri, alle statue, alle piante, ai fiori con intonazione che riveli un concetto. Era artista Margherita perché aveva negli italiani suscitata la persuasione che le emozioni estetiche  erano un bisogno del suo cuore  e che offrirgliele era l’omaggio che più gradiva. All’arte la regina dava un posto d’onore come già i greci nell’educazione… era artista sempre, se sonava, se cantava, se dipingeva , se lavorava, se si vestiva, se sceglieva le sue villeggiature estive o invernali, se organizzava una festa” (Giovanna Vittori, Margherita di Savoia, 1927)

villa regina margherita bordighera

 

Basti ricordare che la regina  influì nelle scelte architettoniche  e decorative della villa; volle che Tommaso Bernasconi , proveniente dall’ Accademia di Brera, decorasse l’interno della villa. Non a  caso questo gusto per il bello si rispecchia  nei sopraporta della villa in un itinerario dei ricordi e dei luoghi cari alla regina: palazzo Chiablese a Torino dove nacque nel 1821, la villa ducale di Stresa dove visse con la madre in seguito alla morte del padre Ferdinando di Savoia- Genova, il palazzo del Quirinale, il palazzo Margherita  di Roma ove si trasferì dopo la morte del re,  Castel Savoia a Gressoney  e il castello ducale di Aglié, dimore estive, il castello di Stupinigi ove si ritirò nei primi anni di vedovanza.

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Villa Regina Margherita si trova sulla Via Romana di Bordighera, lungo il percorso dell’antica via  Julia Augusta  che in età romana collegava la Liguria alla Gallia. Nel 2009 la villa è stata acquistata dall ’amministrazione provinciale di Imperia e della Città di Bordighera che d’intesa con la Regione Liguria e la famiglia Terruzzi  hanno trasformata la villa in un museo. Qui  è possibile ammirare  la pregiata collezione “Terruzzi” di dipinti del Seicento e Settecento, nature morte italiane e straniere dal 1500 in poi , porcellane orientali, bronzi, argenti, ceramiche e  mobili . Tra antichi arredi, spettacolari vetrate artistiche –le mie preferite- e lampadari, delicati stucchi e parquets  in un’oasi di storia e di arte raffinata spiccano opere dell’arte ligure del Seicento, delle scuole napoletana , tra le quali tre quadri di Luca Giordano, emiliana , caravaggesca e francese (Jean Baptiste Lallemand, Joseph Sauvage, Jean François de Troy ).

Tappa obbligata è la terrazza  panoramica che si affaccia sul mare, sui giardini  e sulla sempre bella Bordighera.

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La sempre più emergente Street Art nel quartiere Ostiense (seconda parte)

Continua la passeggiata nel quartiere Ostiense di Roma alla scoperta dei murales.

I due sottopassi ferroviari del quartiere Ostiense regalano  opere di noti street artists che alleggeriscono pareti e piloni dal pesante grigiore del cemento, grazie a una iniziativa  promossa  dalla Provincia di Roma, ex Municipio XI, ex Municipio XV, dalla Fondazione Romaeuropa.

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Nel sottopasso di via Ostiense  si possono ammirare  i murales di  Moneyless, Martina Merlini, Andreco, 2501, Ozmo, Tellas e Gaia, tra i quali i ritratti di Shelley e Gramsci, le cui spoglie riposano nel vicino cimitero Acattolico al Testaccio ( di cui avevo raccontato qui).

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Nel  sottopasso di via delle Conce  ci si trova invece  immersi in  uno scenario naturalistico e fantastico popolato da draghi, uccelli, gatti e tralci  fioriti, realizzati da Lucamaleonte e Hitnes.

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Poco distante, sempre in via delle Conce, incuriosisce non poco  una lunga parete affrescata dal brasiliano Murale di Herbert Baglione, artista della biennale d’Arte di San Paolo che in occasione dell’Outdoor Festival  del 2011 ha dipinto il conflitto tra l’uomo e la città. 

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L’ho scoperto di notte, facendo quattro passi a piedi con marito e figli dopo avere cenato fuori,  e vi assicuro che le esili  figure bianche e nere erano  molto suggestive ( provate a cliccare sulle miniature sottostanti).

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Di fronte a questo murales, sempre in via delle Conce, si nota  il mega stencil di Lex & Sten sulla facciata del  “Rising Love”, uno spazio underground e di avanguardia musicale. Spero di riuscire ad andarci per vedere poster e graffiti sulle pareti interne.

Queste opere stanno valorizzando in modo originale  un’area che era industriale e che oggi offre ampi spazi alla creatività e al talento artistico degli street artist, trasformandola in una mostra a cielo aperto piacevole a vedersi.

 

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Il quartiere Ostiense di Roma si presta a una bella passeggiata a piedi per scoprire i numerosi murales, più o meno visibili, realizzati da artisti di fama internazionale.

fronte del porto blu

 

Qui ho parlato del mitico Blu che sta valorizzando l’ex caserma dell’aeronautica, detta  Fronte del Porto, e vi informo che, alquanto emozionata, sono riuscita a vederlo  all’opera mentre ne dipingeva il portone, bardato di occhiali da sole, cappuccio e  cappello. Posso solo dirvi che è giovane e longilineo, non l’ho immortalato per rispettare il suo anonimato. Nella foto sopra il murales è aggiornato da nuovi  personaggi, presenti sulla facciata del portone e  qui sotto da alcuni particolari coloratissimi. 

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via ostiense

 

Ho scoperto che anche queste auto incatenate  sono opera sua, da me fotografate  mesi fa  quando  avevo colto il talento artistico dell’autore, ignorandone però il nome. Questo palazzetto si trova in via Ostiense 122  e ospita il centro sociale Alexis, dedicato ad Alexis   Grigoropoulos, lo studente greco quindicenne ucciso nel quartiere Exarchia di Atene nel dicembre 2008. 

 

 

In via del Porto Fluviale, sulla pescheria Ostiense, domina il grande “Nuotatore” di Agostino Iacurci realizzato in occasione dell’Outdoor Festival nell’ottobre 2011.

nuotatore

nuotatore - agostino iacurci- roma

 

 

L’autore “cerca spazi che siano significanti oltre l’opera stessa”; la città è un acquario urbano ove “una figura nuota indisturbata in un vortice di pesci, in una sintonia perfetta che è metafora di pacifica convivenza.” Come è scritto in questa targa.

 

 

In Via dei Magazzini generali  non passa di certo inosservato the “Wall of fame” un muro rosso e lungo ben  60 metri, sul quale sono rappresentati personaggi famosi, gli idoli dell’artista JB Rock che li ha dipinti in ordine alfabetico da Dante Alighieri  a Zorro.  

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Di fronte invece spicca su fondo  blu una galleria di ritratti dal titolo “Black and White Power”,  opera permanente di Lex & Sten che si firmano alla fine nel logo di una donna pantera, simbolo della forza creativa controllata dalla mente. 

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Sono persone comuni, in verità a me una delle donne ritratte ricorda Grazia Deledda  😉

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Alla prossima passeggiata!

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