Memorandum di una madre di figli adolescenti

 

I figli crescono  e me ne accorgo sempre più.L’affetto di mammà italica regna sovrano con qualche ansia, soprattutto serale, rapportata alle loro recenti, più frequenti e legittime  esperienze.Così ho stilato un memorandum: sono ben accetti i pareri di coloro che hanno esperienze diverse. 

  1. Dovevaiconchivaiacheoratorni è il minimo che una mater possa fare prima che i figli  escano di sera.  A che serva, non saprei. Se non a lanciare il sottinteso: “Mi raccomando! Io son qui che  vi aspetto.”
  2. Considera  sempre che possono rispondere quel che vogliono. Va bene lo stesso. Purchè si riesca   poi a ricostruire la loro serata e relazioni interpersonali dal successivo e spontaneo resoconto.
  3. Il consiglio precedente è nullo se il figlio è introversamente muto. In questo caso il classico “Non mi ricordo” oppure “Ma cosa vuoi sapere?” suona peggio di un’inesorabile mannaia. È auspicabile rinviare eventuali analisi del sangue, previste per il giorno dopo, perché i valori potrebbero risultare alterati da stress genitoriale.
  4. Nel caso succitato la mammà italica è in stato d’allerta. Nei giorni seguenti  raddrizza le antenne e cerca di captare, con orecchie da volpe del deserto, ogni piccolo cenno ad amici o a riferimenti spazio temporali della trascorsa serata  per sincerarsi che è tutto ok.
  5. La fiducia è basilare, ma non è mai troppa. Ci sono in giro tanti marpioni /e, e   ci sono sempre stati. Forse oggi più di prima o sono solo più emergenti nell’immaginario della genitrice?
  6. Evita il pedinamento a meno che non si abbia la certezza che stiano deviando. Se c’è sentore di allupati/e (oggi c’è par condicio) che abbiano troppi  anni più di vostra figlia/o, inizia a suonare lo scacciapensieri in un doingdoingdoing dinghidinghi e ad indossare un basco siciliano…sperando che il nuovo look sortisca l’effetto sperato.
  7. In caso di certa conferma, dopo avere ragionato invano con i piezz ‘e core, dedica almeno cinque giorni  ad allenamenti di corsa e di  lancio del giavellotto per avere abbastanza fiato e mira.  Non per sbraitare, ma  per rincorrerli  brandendo un bel battipanni o matterello. I vecchi rimedi funzionano sempre.
  8. Se i figli tardano eccessivamente, un paio di volte si può tollerare .Fai capire però che il tarlo della  preoccupazione procede con le lancette dell’orologio e che è ben accetta una loro telefonata rassicurante in caso di ritardo.
  9. Non angosciare con telefonate continue durante la loro uscita. Se il telefono non squilla, vuol dire che è tutto a posto.
  10. È opportuno dire che devono esser reperibili, qualora si voglia rintracciarli. Se il loro cellulare è sempre irraggiungibile, è meglio non ridursi ad avere anti estetiche occhiaie fino a metà guancia…con modi garbati e sorriso serafico sii sempre pronta ad accoglierli al rientro e poi sfogati pure con una defenestrazione – del cell , non dei figli-, visto che se ne servono  solo quando fa comodo.
  11. Il detto questa casa non è un albergo, è sempre attuale. L’ideale sarebbe pure che non fosse una stalla, perlomeno  la loro camera, dopo la lunga e caotica vestizione serale e frettolosa svestizione notturna. Ma hanno bisogno dei loro spazi, per cui fingi di non vedere fino a quando non c’è sentore di un controllo  dell’ASL. Al loro dolce risveglio, fai  trovare periodicamente ben allineati, in assetto da parata, scopa, straccio, detersivi e secchio d’acqua per provvedere. Qualora siano recidivi,  ottimo deterrente al soqquadro potrebbe essere  una catapulta per  sgomberare il pavimento dalle pezze sparse.
  12. Quando rientrano, se non sei già tra le braccia di Morfeo (che può essere pure uno pseudonimo), ogni tanto con la scusa di augurare la buonanotte e baciarli, annusa l’alito e controlla le pupille. Lo scotto di mammà possessiva val bene come controllo indiretto o prevenzione.
  13. Scatta come una molla  dal letto se per caso si affacciano in camera dicendo: “Mamma devo parlarti…” ; accomodati su un divano evitando di sbadigliare, ascolta e  conta fino a venti prima di rispondere.
  14. Prima di andare a dormire , spiega bene al cane o al gatto di casa che sarebbe opportuna la loro collaborazione. Come ti svegliano alle sei di mattino, mettendo il muso o allungando la zampa sul letto per ricordarti gli impegni della giornata, così devono avvisare quando i figli rientrano ad ora troppa tarda, al di là di quella pattuita. Altrimenti niente pappa. In famiglia tutti devono cooperare.
  15. Viceversa avvisa i pappagallini che se osano strepitare, saranno liberati al freddo e al gelo l’indomani.
  16. Se il figlio/a prende l’auto, il controllo del contachilometri dà utili indizi sugli annunciati spostamenti della serata. Se mente, pur sapendo di mentire, basta lasciare il serbatoio della benzina vuoto …altrettanto il portafogli.
  17. Se  tradiscono la vostra fiducia, medita col consorte una strategia educativa condivisa soprattutto a riguardo del contenuto e dei toni del ragionamento che vorrete intraprendere.
  18. Se il consorte fa lo gnorri, compra un bel biglietto per ignota destinazione nel week end e lascia che si assuma le sue responsabilità di paterfamilias. Le tue di matermatronissima bastano e avanzano.
  19. Rimuovi eventuali  sensi di colpa; pensa alla tua  adolescenza valutandone i pro e contro alla luce della sopraggiunta maturità ( anche se Peter Pan scalpita nel profondo io).
  20. Non disdegnare eventuali loro tatuaggi, purchè non cancellino dalla mente un tatù più consapevole “che mamma e papà sono i loro genitori, a rischio di passar per ansiosi e anacronistici caudilli, protagonisti e destinatari del sempiterno  scontro generazionale, e che non si preoccupano che facciano esperienze, ma esperienze senza ritorno”.

 

Vignetta tratta da “Tutta Mafalda” di Quino- ed. Bompiani.

I figli sono le ancore della vita di una madre ( Sofocle).

Quante persone  hanno inciso nella mia vita, chi più, chi meno: alcune sono state  stelle di passaggio, altre stelle fisse. Una mi ha dato l’imprinting dalla nascita. È  la cara mamma con la quale a tutt’oggi vige un rapporto di odio amore: una madre forte, quasi  granitica, che  mai si abbandona ad un complimento, una tenerezza, un’introspezione personale se non quando volutamente ce la porto io col mio fare diretto e a volte ironicamente  provocatorio Esiste  però anche un’altra mamma, detta mammà, cioè  la suocera. È la madre acquisita, cui voglio bene e che stimo per la sua vitalità ed ironia e con la quale ho instaurato  un rapporto schietto, nonostante ci siano state iniziali  incomprensioni, sanatesi poi in modo saggio …del resto era prevedibile visto che abbiamo due caratterini determinati ai quali, ancor oggi ,mi chiedo come sia sopravvissuto mio marito.

 Capirete che il rapporto suocera e nuora è ben diverso tra quello intercorrente tra suocera e genero. Il genero di solito è tollerato e  se ne sta in disparte;  con lui la suocera mantiene rapporti affettuosamente formali di squisita cortesia e  di solito è bendisposta nei suoi riguardi, ben sapendo  che gli  dovrebbe erigere un monumento in segno  di riconoscimento per avere avuto l’ardire di  impalmare e sopportare la  figlia. Generalmente,se le cose non vanno bene  nella coppia, la madre di lei  non affronta mai l’argomento col genero, MAI…ma  poi in privato  si chiarisce a squarciagola e senza troppe attenzioni con la figlia. Il matrimonio va salvato a tutti i costi: piuttosto la mamma di lei si sdraia sull’uscio di casa immolandosi ad un eventuale calpestìo dei coniugi in crisi  La più grande ferita inferta è quando la coppia , ormai scoppiata, si disaccoppia per sempre per cui, vita natural durante, la figlia sarà ritenuta responsabile del fallimento del matrimonio o, in casi eccezionali, di avere comunque fatto una scelta sbagliata, di non avere capito che pasta  d’uomo potesse essere il consorte . Su di lei graverà l’onta di avere sciolto un vincolo indissolubile. 

 Ah le donne di una volta!  Ostentavano fieramente sulla cervice le impalcature  del papà di Bambi  insieme alla fierezza di essersi sacrificate per l’unità della famiglia,votate al  dignitoso silenzio e sopportazione .Chissà  se in privato facevano scontare  al marito fedifrago e concubino le sue scappatelle e mancanze di rispetto per esser volato dietro a qualche compiacente e frivola sottana. La matermatronissima  si sarebbe   incatenata davanti alla porta di casa pur di non far andare via il paterfamilias in un momento di rabbia, debolezza  o sconforto,cementandolo  su un piedistallo  agli occhi dei figli come onesto lavoratore e padre esemplare, cui si poteva , anzi  si doveva perdonare qualcosa.

Questo  perchè una volta c’erano le Mogli Santissime, regine del focolare e osannate sul trono della sacra famiglia, mentre  fuori del regno familiare vagavano  le altre  comuni  ed insignificanti mortali.

 Merita però un discorso a parte  mammà…anzi MAMMÀ, l’unica e vera  presenza dominante della famiglia di lui, cioè la madre  del marito. Mammà è colei  che fa tremare le vene ai polsi a qualsiasi ragazza, dai 18 ai  60 anni, che si accinga  a conoscere i genitori di lui. Qualsivoglia  lei è in soggezione,  preoccupata quando per la prima volta si avvicina con timore riverenziale alla futura suocera.. Supermammà con un fare un po’ distaccato o cerimoniosamente gentile  scruta la rivale, colei che osa spodestarla dal cuore e dalla testa del figlio, colei che inoltre  lo spinge con arti seduttive a  uscire dal nido e a tagliare il cordone ombelicale. In una frazione di secondo la  genitrice  già immagina il suo bambino in versione casalinga , mentre affaticato porta sacchetti della spesa e della spazzatura,  consola pargoli febbricitanti  e piagnucolosi, pensieroso fa i conti con le bollette da pagare e di sera ,con  modi un po’ servili, cerca d’ingraziarsi la moglie stanca.

 Mammà ben sa di appartenere ad un’altra tempra, ad un’altra generazione,  quella dedita solo a casa e famiglia,le cui uniche divagazioni sono  tappe a cadenza prefissata  in  chiesa, nel  supermercato e  nel mercatino rionale; la più grande trasgressione vacanziera  è un viaggetto una tantum organizzato dalla parrocchia.

Mentre si svolgono i convenevoli di presentazione solitamente con invito a pranzo a  casa di lui, la fidanzata viene “scannerizzata” dagli occhi fissi e penetranti di mammà che si chiede pensierosa “ Sarà all’altezza di rendere felice mio figlio? Sarà seria? Sarà in grado di garantire progenie per il perpetuarsi della specie?” Perciò ,giovani fanciulle, non preoccupatevi per il vostro bell’apparire, per il trucco sbavato ed il look poco consono: mammà va oltre, punta direttamente alla sostanza del vostro essere.

 La futura suocera è colei che sa cucinare di-vi-na-men-te, che già al primo incontro vi  informa delle preferenze gastronomiche  del figlio perché -si sa- l’uomo si prende per la gola ( se solo immaginasse  quali sono i veri appetiti del suo  bambino!), e non riesce a capire che sarebbe ora di svezzarlo. È colei che stira benissimo, soprattutto le camicie, ricorda tutte le ricorrenze e non si sgomenta se deve preparare un pranzo  per 25 persone. È l’amministratrice delegata della grande azienda familiare, che dirige dal  ponte di comando  con  incredibile  maestria, mentre il suocero –ombra acconsente silenzioso purchè sia lasciato in pace a leggere il quotidiano e guardare la tv . Mammà  è sempre in ordine: va dalla parrucchiera in occasione delle feste comandate, usa da almeno trent’anni lo stesso profumo e  a stento mette un po’ di rosa sulle guance o un filo di rossetto. Indossa vestiti sobri che sembrano una divisa, comodi e poco appariscenti. Idem per le scarpe, adatte per ogni occasione e per repentini sprint d’attacco.  Legge qualche settimanale e  si diletta in parole crociate che fa quadrare con somma abilità  scrivendo  anche due letterine nella stessa casella. Segue tutte  le trasmissioni di cucina  ma predilige quelle  strappalacrime dove può commentare a viva voce o fare  il tifo per chi ha ragione in base alle emotive pulsioni del  suo grande cuore. È aggiornata sui fidanzamenti, separazioni e divorzi di tutti i personaggi del mondo dello spettacolo, dello sport e delle dinastie  regnanti, fino alla terza generazione ascendente.

 Quando finalmente  i piccioncini  arrivano allo stato coniugale,giuridico o di fatto, per la sposina inizia il vero rodaggio di convivenza…non con lui, ma con la mamma di lui.

Mammà  va raramente a farle  visita, per non dare fastidio( in effetti non sopporta il disordine cronico della casa degli sposi che potrebbe svelare qualche dettaglio della loro felice intimità) . Preannuncia il suo arrivo cinque minuti prima di una sua eventuale visita, per fare “scavezzacollare” meglio gli sposini in un riordino last minute .  Non appena la nuora apre la porta, la  fissa negli occhi per capire come stanno le cose col figlio. Attenzione se fa troppi complimenti del tipo “Come  sei bella e radiosa oggi!” (sottintende: Vi ho sgamati! – se c’è  bonaccia , oppure “Non è che qualcun altro ti ronza intorno?”, se spira vento di tramontana).

La suocera avanza come un Panzer quando  viene alla luce la progenie ,cioè quando finalmente la discendenza è stata garantita…Olè, supermammà in mille faccende affaccendata,s’adopra indaffarata come  supervisore perché i pargoletti crescano bene, educati, sani e forti. Giorno e notte aiuta  la neomamma inesperta,  nutrendola con cibi sostanziosi ( ecchissenefrega dei chili in più) perché produca latte in abbondanza e  dispensando consigli che si tramandano da generazioni sull’allevamento della specie umana. In tal caso assecondatela, altrimenti ve la farete nemica per sempre.

Chissà perché  i  nipoti somigliano sempre al papà o al nonno, alla zia e alla sorella di lui, mai alla mamma naturale. Puta caso  il pargolo abbia  i capelli sfacciatamente rossi come la madre, mammà zittisce il neopapà che osa rilevare questa somiglianza  dicendo:”Ma no,che dici! Nella nostra  famiglia c’era un trisavolo detto Peppiniello Il rosso …”

 Care ragazze e care signore, perdete ogni speranza se avete intenzione di belligerare con vostra  suocera: lo scontro tra due titani  è controproducente per l’armoniosa sopravvivenza della coppia…rischiereste entrambe di affondare come il Titanic, perdendo  l’amato e conteso bene ( il lui che gongola, non sempre beato, tra  l’incudine e il martello  fingendo spesso di non vedere e non sapere delle vostre schermaglie).

A meno che  non vi siano ragioni più che gravi, fate buon viso a cattivo gioco, ma solo dopo aver magistralmente ed educatamente definito il vostro ruolo, campo d’azione  e ambito di competenza. Contate fino a 300 prima di risponderle  per le rime, ricordatevi  che Lei lo fa perché nutre un amore viscerale per suo figlio e si preoccupa per lui, e non per fare dispetto a voi.

Pensate  che forse un giorno anche voi diverrete suocere: immaginate  per un secondo se vostro figlio, per la legge del contrappasso, un giorno vi presenterà o sceglierà una compagna eccessivamente disinibita, con le gonne troppo corte e troppo sorridente , ambiguamente solare,…una che vi sembrerà una gattamorta, magari plurilaureata ma che pare  non sappia  spiccicare due parole con un senso logico, e che vi risulti cordialmente antipatica per il semplice motivo che dentro di voi- non l’ammetterete mai- siete semplicemente rose dal maledetto, atavico e inguaribile  tarlo della  gelosia che s’annida in ogni  mammà!

Erre come… Rosarno

Tre anni fa Rosarno fu teatro di una rivolta urbana , in seguito al ferimento di due immigrati africani, con un’arma ad aria compressa, da parte di sconosciuti. Dal 7 al 9 gennaio 2010 gli scontri coinvolsero immigrati, cittadini e forze dell’ordine, facendo emergere una realtà di degrado e di sfruttamento, indegna di un paese civile.

 Riecco Erre…a ricordo della rivolta di Rosarno.

 Rissosa rivolta di raggirati reietti rappresenta reazione a regia di reprobi, rapaci rais. Ragazzi racimolavano ridicole retribuzioni, raccogliendo. Recentemente raggrumano rantolanti  respiri mentre  rapide ruspe raspano Rognetta, rivoltano rancidi rifiuti e resti di riscossa.

Rimpatrio, risarcito rimborso di rinnegato rispetto nelle rimbalzanti responsabilità, risveglierà  rimorsi? Rosarno  resterà  roccaforte di rustici rampanti che reingaggeranno remissive reclute, riconquisteranno recinti, o riconoscerà rovinose ribalderie? Ruggente si riarmerà, resisterà per risanarsi, ricostruire relazioni, redimersi, o ruffianamente  riverirà racket e ragguardevoli rampolli reggicoda? 

Reiterata recrudescenza ricerca riflessioni, rivendica regole, raccomanda reale  e reciproco recupero. Rabbia e revanscismo reclamano ragionevoli rimedi, risposte, risultati.Requiescat  Rognetta, rugginoso ritratto, risaputo reflusso,  rude radiografia di rilassata  Repubblica.

Recondita rapsodia riconcili, restituisca  rispetto a reduci di rivolta, relegati in rinunce, ricatti e restrizioni. Redivivi repressi raggranellano rare reliquie di remoti ricordi, rimpiante ragnatele di radici.

 Rincresce ricordare, romita Rosarno!

 

Tra i demoni di ieri e di oggi nel presepe… e non solo.

 

“Certo l’immaginario popolare napoletano è ricchissimo di aneddoti”, nota Roberto De Simone. “Si vuole che sulla Terra, nel periodo da Santa Lucia all’Epifania, oltre ai santi ci siano esseri demoniaci che si tengono lontani con l’incenso ed erbe pungenti.”

Il diavolo, simbolo del male e dell’imperfezione, apparteneva al presepe nello scenario di vita e morte, realtà e immaginazione, sacro e profano, religione e magia. Poi è scomparso insieme ad altre figure esoteriche e straordinarie cedendo il posto a derelitti, deformi e  mendicanti, riprodotti con estremo realismo nel  presepe del ‘600 . Il diavolo è il simbolo del malessere dell’anima, di una maligna forza sovrannaturale che svuota, ossessiona, acceca, immobilizza e soggioga  nel male e nel terrore.

 I demoni presenti in forma subdola nelle menti e nell’animo umano, hanno preso consistenza grazie alla maestria tecnica e alla creatività dei famosi Fratelli Scuotto che reinterpretano la tradizione in forme artistiche sempre nuove  e originali nella bottega “La Scarabattola” in via dei Tribunali, nel centro storico di Napoli.

 

Qui  pare quasi che le creature diaboliche si autocompiacciano  di essere ammirate nella loro mostruosità o ammaliante bellezza artistica, come per dire che bisogna temere ciò che è intangibile e invisibile e si insinua in forme più subdole.

Un girotondo di angeli dannati e beffardi ostenta sfacciatamente se stessa ed esula dalle figure stereotipate del presepe artigianale. Orride e fantastiche creature, a volte goffe, ambigue e  quasi ridicole, a volte sensuali, affascinanti e seducenti, spodestate dall’immaginario collettivo hanno preso forma grazie ai fratelli Scuotto. Non sembrano artefici di incubi, né di malefici, ma appaiono neutralizzate dalla loro visibilità rivelata, esorcizzate dall’ intrigante ed originale raffinatezza dell’opera d’arte.

 I demoni sono circondati  da un’umanità di sofferenti  ed esclusi,  ricreati in modo originale, vittime di pregiudizi, di imprudenza, di ingiustizie, di  paure come gli appestati, il femminiello, gli schiavi, i bambini rapiti da Maria a’ Manilonga, la suicida Mafalda, lo Zi Michele atterrito dal Lupo Mannaro. A loro si  contrappongono schiere di angeli, luminose  e dolci  Natività, e  sono arginati  dal capitone su meridiana, frazionato per  rompere la linearità del tempo con la speranza di arrestare gli eventi nefasti e rigenerare un tempo nuovo, più equo e giusto.

  

Eccone alcuni, esposti nella mostra “Tradizione in azione” del  2009.

Flagromor  è l’urlo di Satana, vive nel suo fiato e alimenta roghi blasfemi appiccati per riti pagani.

Bersyl  ha rughe incise dagli artigli del demonio per rubare la fiducia degli uomini in nome della saggezza.

 

 

 

Demorciso, plasmato da Lucifero nell’argilla, è l’immagine della vanità dell’uomo e si nasconde nei riflessi compiaciuti degli specchi. La sua esistenza è andata sparendo nell’inganno della bellezza effimera, che lo ha ridotto all’inconsistenza del suo stesso riflesso.

 

Gelfo 333, troppo curioso per scrutare nelle fiamme del male, ha scorso l’altra metà del tutto ove alberga il bene. Pertanto è stato punito da Satana che gli ha cavato un occhio.

Raptoreves: in inverno il demone bianco (nella prima foto del post) si allea con Satana per confondersi nel gelido freddo delle anime perse che hanno smarrito il calore della speranza.

A fine inverno gli subentra Lividus Gruneraptor (nella seconda foto del post), suo alter ego, che vive nelle ombre dei giorni estivi. Il demone nero segue le prede, fino al calar del sole, per trafugare i sogni dell’uomo fino a rubargli l’anima.

Questo percorso d’arte tra tradizione e contemporaneità, tracciato con genialità dai fratelli Scuotto, si riassume nella figura del Pulcibastiano,trafitto dai corni delle molteplici contraddizioni di una città dalle tante emergenze. Ha  un’espressione di sofferenza sul viso per le spine che si innestano sul suo tronco vitale. “Pulcinella è in scena come ortodossa maschera di napoletanità e anche come emblema di cambiamento.” (Salvatore Scuotto).

Esprime “Il cruento trapasso dallo stadio di superstizione a quello di super azione e martirio. Necessario dolore pagato al miracolo della rinascita urgente e inevitabile come la muta di un serpente che vuole crescere.” 

La sua visione, all’interno della sala,  mi fu  anticipata da un piccolo Pulcinella coricato sulla luna sul pozzo del cortile di San Lorenzo, uno dei  complessi conventuali più importanti del Medioevo napoletano. Abbracciato alla sua malinconia, sembrava avvilito, stanco, inerte. La luna si frapponeva alla demoniaca Maria ‘a Manilonga che dagli abissi continua nel nostro immaginario ad allungare gli artigli per rapire bambini imprudenti. La luna piena lo sostiene ancor oggi,  gli dona  un’aura quasi surreale, sospesa tra il passato, presente e futuro delle tradizioni e della cultura napoletana, che compensano una napoletanità a volte colpevole, ma il più delle volte bistrattata da altri mali. La luna indica trasformazione, crescita, rinnovamento ciclico e fa sperare che trasmetta energia a Pulcinella perché torni ad essere  burlone, scanzonato, vitale, malandrino senza dovere più vendere l’anima al diavolo del facile compromesso e dell’illecito.

Se il piccolo Pulcinella, di ieri e di oggi, crea l’attesa di una nuova risata e suscita qualche profonda emozione, significa che vive ancora in tanti. Come la voglia di rialzarsi e riscattarsi.

 

Quando si gioca a tombola

 Un detto raccomanda “Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi” perciò da sempre trascorro in famiglia la sera della  Vigilia e il Natale, tranne due volte che raggiunsi il consorte con prole e bagagli  al seguito. Non importa con quale ramo della famiglia si stia , anche se la tradizione vorrebbe con quello affettuosamente infestante dei parenti più prossimi. Sì perché le cose si complicano quando subentra la famiglia del/della  coniuge per cui spesso si adotta la soluzione dell’ half and half trascorrendo a turno la sera della  Vigilia e il Natale a casa dai tuoi genitori e poi dai suoi ( suoceri),  a meno che non si ricorra alla clonazione o si preferisca riunirsi tutti insieme appassionatamente.  Posso solo immaginare le diplomatiche acrobazie in cui si cimentano coloro che hanno più famiglie.

 Quando ero bambina trascorrevo la vigilia a casa delle sorelle di papà e il Natale in quella  dei nonni materni. Dopo gli esibiti e largamente apprezzati  virtuosismi gastronomici che folleggiavano in un turbinio di portate , noi bambini, più veloci della luce, aiutavamo a sparecchiare perché aspettavamo la pausa del dopo cena o pranzo per giocare a tombola. Ci mobilitavamo per svuotare la tavola e invaderla di più serie di cartelle della tombola , mentre mamma e zie già lavavano le stoviglie e preparavano il caffè da servire con struffoli e zeppole. I cugini più grandi verificavano che tutti i numeri fossero nel  panariello, per evitare un contenzioso  senza fine qualora a termine della giocata si fosse scoperto che mancava il fatidico numero che avrebbe annullato le sofferte vincite.  Io e gli altri cugini  iniziavamo a esaminare  le cartelle. Sì perché è un rituale  giocare a tombola. Ognuno ha un criterio personale di scelta di cartelle. Alcuni preferiscono pagare un’intera serie, così almeno trovano  sempre il numero estratto, altri cercano cartelle contenenti uno o più numeri porta fortuna, i più devoti  giocano solo con cartelle  marchiate dal loro  inconfondibile segno di riconoscimento. Mio fratello ne aveva una colorata di nero, che noi consideravamo nefasta perché portava fortuna solo a lui. Poi ci procuravamo i tapparielli, fagioli, monetine, pezzetti di carta per coprire i numeri, finchè non furono brevettate le cartelle con le finestrelle di plastica incorporate. Mentre gli uomini continuavano ad aiutare o a chiacchierare , noi già eravamo in fibrillazione a contare gli spiccioli, racimolati durante l’anno per le giocate di Natale. Iniziava allora la parata dei borsellini delle amministratrici delegate di famiglia, cioè delle mamme, che finanziavano i consorti. I grandi ci chiedevano di cambiare le banconote di 500 e 1000 lire e noi non aspettavamo altro per farci un po’ di cresta, giustificata dal servigio reso. Poi si concordava il costo di una cartella che solitamente era di 10 o 20 lire, che con l’inflazione aumentò a 50 , 100  e 200 lire e con l’euro a 20-30 centesimi (in tal caso melius deficere quam abundare e  non cadere nella tentazione del gioco d’azzardo). Allora le monetine fluttuavano su e giù per il tavolo, distribuite nei premi, restituite come resto o allineate in buon ordine, davanti alle cartelle, come buon auspicio di vincita. Quando finalmente la zia, padrona di casa, usciva trionfalmente dalla cucina levandosi il grembiule, eravamo tutti pronti in assetto di partenza, ben seduti e concentrati. Dopo un’animata contesa su chi doveva avere il cartellone e quindi governare il gioco, iniziava l’estrazione di numeri. Chi estrae i numeri deve essere rapido e veloce e sapere tenere banco, creare suspense  e animare la serata. Sì perché ogni numero della tombola napoletana ha un significato, a volte scurrile o allusivo, ma può divertire la combinazione che se ne fa. Per le anime innocenti presenti i numeri “sporchi” venivano taciuti , finchè furono messe in commercio le  cartelle della tombola napoletana e quindi ci istruimmo più o meno anche in questo. Bè ammetto che  ci ho impiegato circa  20 anni, facendo una memorabile gaffe pubblica, per capire che  “quella che guarda in terra” del numero 6  non era una timida pulzella, e nemmeno una che cercava quadrifogli o lenti a contatto smarrite, ma niente meno quella cosa che nel connubio col padre delle creature  contribuisce alla riproduzione dell’umana specie ( qui la spiegazione dell’arcano) .

All’estrazione del primo numero, un immancabile  spiritoso smorzava la quiete dell’attesa gridando AMBO…e solitamente la zia un po’ dura d’orecchi replicava:

“Cosa è uscito… il canto?”

“ No, no niente!”

“ Allora che ha detto?”

“Ha detto ambo, ma non è possibile farlo con un solo numero. Sta’pazziando (scherzando)”

 E via si procedeva guardando fissamente il numero che si desiderava fosse chiamato per fare ambo, poi terno, quaterna, cinquina sforzandosi di  comunicare telepaticamene con lui, che capitombolava nel panariello, affinchè si facesse catturare  e si decidesse ad uscire. Spesso capitava che due o più giocatori vincessero lo stesso premio, che veniva ripartito in ugual misura. Se ciò non era possibile, qualche spicciolo andava a rimpinguare il tombolino, democraticamente deliberato per offrire  la chance della seconda tombola. A volte si prevedeva anche una terza tombola, premiata  col tombolicchio, per  consentire quindi a più persone di vincere qualcosa.

 La tombola napoletana diverte se ad ogni numero viene associato il significato  attribuitogli dalla smorfia napoletana. I napoletani sono soliti dare i numeri, nel senso che matematizzano molto la realtà, e pure i sogni, e talvolta si accaniscono a rincorrere i numeri al lotto chiedendo devotamente aiuto a qualche santo protettore con la speranza che interceda presso la Fortuna. Ahimè non hanno ancora capito che la dea non ci vede e non ci sente.

  Intanto il numero 1 è l’Italia, forse a ricordo dell’art 1 della Costituzione che la riconosce una ed indivisibile. Olè! 2 è a’ figliola e, per prassi consolidata di casa mia, con la discrezione del mangia polpette, si chiede “ Quanti anni ha?”  Può essere che sia giovincella e ne abbia solo  23…”ma allora è pure scema” oppure 22 “ma è pazza” . Se per caso ne ha  33 , “ha  l’età di Cristo”, se supera la quarantina nasce una diatriba sul considerarla giovane o matura, se ne ha 77 è  sicuramente ‘na nennella della terza età , però dalle gambe scattanti di pin-up.  Una reazione a catena. Altro numero atteso dai bambini è il 4 ( il maiale) e il numero successivo ne conferma il peso. Il 31  prevede l’altisonante Pillicciò, che segnava la fine della conta prima di giocare a nascondino. All’11 dei suricilli ( topolini) segue la domanda “ Quanti sono?”

 

“ 65”

 “Maronna!”

 “ Sempre sia lodata”.  E mi rivedo mentre seguivo gli occhi della zia, rivolti in alto,  credendo di vedere un raggio celeste farsi strada nel soffitto.

“Che ha detto? E’ uscita A’ Maronna?”  

“No mammà. Era un’esclamazione.”

“ Ahhhhhh. E allora che è uscito?”

“65 ( il pianto)” 

“E ci credo che  tutti ‘sti surici  fanno piangere”

“ Mo’ ci vò ‘na jatta ( una gatta) .”

“ E’ uscita la gatta?…”

“No, no, sarebbe ora che uscisse  il cane ( quello vero per fare la pipì).”

“Ma o’ cane che numero è?”

 

Ad un certo punto la tiritera veniva interrotta da una telefonata. C’era sempre qualcuno lontano o in mezzo al mare che, a conoscenza della riunione di famiglia, telefonava per fare gli auguri a tutto il parentado. Seguiva un andirivieni dal tavolo al telefono, tra lacrime di commozione e abbracci a distanza che veniva poi addolcito da un giro di mustaccioli, roccocò e susamielli (dolci di Natale).

 

  Chi s’assumeva l’incombenza di estrarre i numeri scuoteva a lungo il panariello per fare crescere la suspense della tombola, il cui premio  poteva ammortizzare la spesa sostenuta dall’intera famiglia per l’acquisto delle cartelle. E allora per essere sicuri di non averne dimenticato qualcuno, a turno tutti davano i numeri chiedendo:  

“È uscito 54?” “ No”

“E 63?” “Neppure”

“ 7 ?” “Neanche.”

“E 89?” “Nemmeno.”

“Ma’ ( mamma),  dilli tutti  così ci leviamo il pensiero.”

 Nel frattempo, a mo’ di scimpanzé, sgranocchiavo noci, nocciole ed arachidi  infornate, fichi mandorlati o al cioccolato, follarielli ( involtini di uva sultanina infornata e avvolta in foglie di agrumi) mentre bicchierini di limoncello e nocino per i grandi, acqua e bibite per i piccoli, volteggiavano sulla tavola.

  Quanti ricordi, risate e voci legati alle tombolate. Di zii che abbiamo rimpiazzato agli occhi dei nostri figli e nipoti. Noi siamo il presente per le nuove generazioni , come loro lo sono stati a lungo per noi. Ogni anno rivive un po’ l’atmosfera di quella “casa senza orologi dove il  tempo era  scandito dai fiori di stagione e tralci d’edera raccolti in giardino, dai racconti, dai quadri, dai mobili, dagli affetti.

Un mondo di radici mai strappate, che mi appartiene, ancor più nei profumi, nei sapori e nelle luci che ridanno colore a scene un po’ sbiadite dal tempo e rendono  nostalgicamente caldo ogni  Natale.

 

A Eduardo direi: “Sì, mi piace il presepe” .

Mio papà dedicava un intero fine settimana per allestire il  presepe in un camino, ovviamente non funzionante . Preparava  la colla con acqua e farina, che  cospargevamo su carta da pacchi marrone cui davamo la forma di montagne, dipinte poi  con le tempere. Mi dava indicazioni per  costruire casette di cartone di varie dimensioni: le più piccole erano le più lontane. Il cielo era stellato, di quelli già pronti invece. Le montagne ostili, rigorosamente innevate, erano cosparse di agglomerati urbani surreali, illuminate da lucine interne che papà, armeggiando a lungo, riusciva a posizionare.

Ogni anno creavamo la grotta in un punto diverso dello scenario…a volte era arroccata, a volte in pianura. Un anno quei poveri Re  Magi, che spostavamo giorno per giorno, dovettero inerpicarsi tra stretti sentieri montani per raggiungerla. Povero soprattutto il cammello al seguito, che a stento ci passava e il più delle volte precipitava facendo una strage di pastori. Nel muschio affondavano greggi immensi di pecorelle di varia grandezza. Il laghetto era uno specchietto sovrappopolato di paperelle tra le quali spiccava pure un cigno gigantesco, che vi aveva sconfinato emigrando da un’altra collezione di animaletti.

Un giorno mia madre portò a casa nuove statuine: una vecchina che filava, un ciabattino, un pescivendolo col banchetto del pesce e una statuina mai vista prima di allora. La più affascinante di tutte. In verità era una coppia di personaggi: un uomo che portava un orso legato ad una fune. Sembravano due compari. L’orso, massiccio ed enorme, era in piedi e stava a fianco dell’uomo. Non ci azzeccava nel presepe ma forse, libero, poteva ambientarsi tra le montagne. Ne fui conquistata. Divenne la mia statuina preferita, quella che mettevo in bella mostra suscitando la curiosità di chi si trovava a contemplare il mio presepe.

Perchè fare un presepe è un rituale divertente per grandi e piccoli…ma è rigorosamente d’obbligo ammirarlo ed esprimere giudizi positivi, anche se è poco artistico o non si rispettano le proporzioni, non per altro per riverire  la fatica sostenuta e il suo intrinseco significato. 

L’allestimento di un presepe è  una vera e propria arte, molto viva a Napoli.Ogni anno mi piace visitare quelli permanenti dei Musei  ( merita di essere visitata la sezione presepiale del museo di San Martino , oppure all’entrata della chiesa di  Santa Chiara) o allestiti temporaneamente nelle chiese o nelle varie mostre della città che espongono pezzi di collezioni private. Molto originali quelli in miniatura o di terracotta protetti da bacheche e campane di vetro, incisi  con abile e creativa maestria. Quando posso, visito la via dei presepi a San Gregorio Armeno, nel centro storico di Napoli. Qui ci sono solo  botteghe artigianali rinomate per l’assortimento di  statuine che  rappresentano sia i personaggi tradizionali, sia quelli profani( pare che quest’anno siano molto richiesti (Steve Jobs, Monti, il principe  William e la consorte Kate ). Mi incanto a vedere le sfaselle (ceste) in miniatura piene di ortaggi e frutta, i cesti ricolmi di uova o formaggi, le cassettine dei pesci, polpi, crostacei e frutti di mare,  le ‘nserte (trecce) di pomodorini e  cipolle, i meloni di Natale  in rete che adornano le facciate delle tipiche case napoletane riprodotte nei presepi, le botteghe del fruttivendolo, del fabbro, del  fornaio e del vinaio, le  stalle con armenti e pecore. 

Nel presepe napoletano, gli elementi fisici e antropici dei paesaggi hanno una collocazione talvolta non  casuale ed assumono un significato simbolico. Per esempio i venditori rappresentano i dodici mesi dell’anno (il macellaio o salumiere rappresentano gennaio, il venditore di ricotta e formaggio febbraio, il  pollivendolo marzo, il venditore di uova aprile, la venditrice di  ciliegie maggio, il panettiere giugno, il venditore di pomodori luglio e quello di cocomeri agosto, il contadino settembre, il vinaio ottobre, il venditore di castagne novembre, il pescivendolo dicembre).

Il presepe è un connubio di sacro e profano, espressione di rigorosa progettualità spaziale e creatività  nella celebrazione costante di vita e morte (l’acqua del fiume e del pozzo assumono duplici significato, il ponte), del regno dei cieli (pescatore), della terra (cacciatore) e degli inferi(fiume che ricorda il traghettamento dei dannati), di realtà e immaginazione ( fontana e Benino che sogna il presepe), di eternità e tempo (le pale del mulino indicano il fluire inesorabile del tempo, il cavallo bianco  dei Magi indica l’aurora, quello rosso il mezzogiorno,e il nero la sera e la notte). Spesso La Natività è sospesa su una piccola altura, tra le schiere degli angeli e  il livello sottostante ove si muove un’umanità di popolani dalle mille smorfie e nobili compassati finemente vestiti, di umili e potenti, di gaudenti peccatori (Meretrice, Cicci Bacco col fiasco in mano) e devoti fedeli ( Stefania che si finse madre avvolgendo  una pietra nelle fasce per arrivare dal bambin Gesù e il giorno dopo la pietra fu tramutata in bambino, Santo Stefano, festeggiato il 26  Dicembre), di animali esotici e domestici.

Un popolo che coralmente avanza  verso il nuovo sole, quel Bambino che rappresenta non solo una  volontà soprannaturale, ma anche  il trionfo naturale della vita. Una vita venuta al mondo senza nulla e nonostante tutto, adorna soltanto di amore e della luce delle stelle, accolto dalla mansuetudine di un bue e di un asino, riconosciuta nel suo valore assoluto e divenuta poi un punto di riferimento per tanti. Ogni anno si rivive un po’ la magia del Natale nel suo significato di rinascita interiore forse perché, a prescindere dalla condivisione di fede, il presepe è la sintesi dell’umanità di sempre che tra arti e mestieri, stagioni, scorci di case, mari, valli e montagne, gioia e dolore (zi’ Vicienzo e zì Pascale, simboli del Carnevale e della morte), piacere e spiritualità è tutta protratta al festeggiamento della vita, quella più semplice e innocente di un bambino, sospesa tra terra e cielo, prodigio della natura o magia divina. E’ difficile definire luce e amore. Ma quel bambino ne incarna il concetto. Suscita tenerezza ed evoca la fase iniziale di un percorso, dalla quale siamo partiti tutti. 

Natale è anche questo, forse soprattutto questo: riscoperta di una dimensione che ci appartiene comunque, un richiamo a  quell’originaria  purezza d’animo che si rivive con una gioia un po’ malinconica man mano che avanzano le nostre stagioni.

Auguri di luce e serenità a tutti. Buon Natale!

 

Arriva Natale…

Nonostante le buone intenzioni dei primi giorni di dicembre, finalmente ieri ho finito di preparare presepe ed alberello creando un po’ di atmosfera natalizia senza ridurmi alla vigilia di Natale. Effetto di un ultimatum che mi sono imposta perché da anni, pur riproponendomi sin dall’ Immacolata di adempiere ai rituali natalizi, spesso e volentieri per intere settimane gli addobbi giacevano inerti sul pavimento del salotto in attesa di essere disimballati. Addirittura un anno, poiché partivamo a Santo Stefano prevedendo di rientrare il giorno precedente l’Epifania, ho bypassato l’allestimento natalizio comandato, con un po’ di senso di colpa per la cronica indolenza prefestiva.

 Quest’anno  ho rinnovato il presepe. O meglio, l’ho ridotto ai minimi termini con statuine giganti, che richiamano un po’ quelle antiche, acquistate dal consorte. Una bella Sacra Famiglia che troneggia su un tavolino, circondata  da una stella di Natale e da qualche ramo di abete e di agrifoglio. Mi spiace non poterlo fare come sempre, utilizzando la base napoletana doc di San Gregorio Armeno e  tutto l’occorrente.

 

 Colpa anche della gatta se da qualche anno rinvio i preparativi.

I gatti sono animali imprevedibili.  Apparentemente non ci sono mai mentre prepari l’albero e collochi le statuine cercando di creare un’equilibrata armonia di colori e di forme. Ma dopo l’impegno serale dell’intera tribù, adunatasi al completo per  discutere di logistica delle palle e delle luci, immancabilmente trovavo i rami bassi dell’alberello completamente spogli. Gli addobbi giacevano  sotto il tappeto o in angoli del salotto, probabilmente dopo avere rotolato a lungo. Qualche anno fa ci fu una strage di decori di paglia e un’ecatombe  di pastori. Tutti – dico tutti – comprese le pecore, rigorosamente coricati, abbattuti. Opera della gatta.

 Il gatto Tigro è troppo pigro per queste imprese. Gri Gri invece è intraprendente e molto furba. Non so se capisca o, semplicemente dal tono di voce, intuisca che è il momento di filare via. Quando trovai il muschio sparso sul pavimento, alzando lo sguardo la colsi in flagrante con un alberello del  presepe in bocca e, al mio perentorio invito di mollare la preda, pensò bene di rispondere non con una veloce fuga, ma con un salto sulla credenza, portando in salvo il suo trofeo. Da lì  continuava a puntare il presepe con occhi sempre più gialli e grandi, pronta a deltaplanarci su.

In casa non combina molti disastri. Li concentra tutti nel periodo di Natale, anche se in questa foto ha un’aria felinamente angelica.

 

Le ho parlato telepaticamente con uno sguardo inequivocabile di sfida, dicendole che se quest’anno assalta le statuine giganti, la ridurrò a manicotto dei re Magi. Mi sorprende la sua capacità di prendermi alla lettera. Stamattina il presepe era intatto. In compenso lo spiritello felino  ha sparpagliato qualche pallina dell’albero per le stanze di casa e, pur di portare a buon fine le sue scorribande notturne, ha imparato ad aprire la porta del salotto :) 

In una notte d’autunno.

L’aria frizzante la saluta al risveglio e l’ accompagna a casa di sera.  La statica quiete delle ombre culla in un caldo silenzio i colori che infiammano i rami e restano lì, sospesi, per stupire nuovamente alla luce del giorno. La stagione volta pagina nelle foglie accartocciate sul selciato, porta luce breve ma intensa , piogge che nutrono la terra e inondano i corsi d’acqua. Il mare sbatte sulla riva flutti violenti che ridiventano plumbei e distesi all’ orizzonte.  La melagrana rinnova il suo mistero, mentre  i fili allentati ritrovano  il loro tracciato.

 

 La notte è fatta per danzare sull’impalpabile pentagramma dell’anima e su sogni interrotti da invadenti pensieri. Lei ha bisogno del tepore di casa e di un  tempo ritrovato dentro di sè per generare  una leggerezza inventata che smarrisca  l’ineluttabile e rinnovi il sorriso. A volte si ritrae per ascoltare quelle parole mai dette che solo i suoi  occhi riescono ad esprimere. Ci sono sguardi di una densità emotiva  che comunicano e, più di mille parole, riescono a stabilire legami con chi vede oltre. Spesso lo sguardo si ferma in superficie e  si perde nell’ insieme scorgendo un’andatura elegante come un foulard  accarezzato dal vento, il movimento di  capelli spettinati, un passo fiero o incerto, un  sorriso smagliante o solo accennato. Di solito gli occhi sfuggono perché non sempre sono visibili o più semplicemente passano  inosservati. Eppure  sono lo specchio dell’anima che in essi si annida per contrarsi o esplodere. Nelle fotografie lei  copre con la mano prima gli occhi, poi la bocca ed infine  guarda il viso nella sua espressione globale. Talvolta  il sorriso  è  aperto e radioso ma lo sguardo procede per conto proprio, diverge in parallelo, è altrove. Sono  rare le foto di effettiva sintonia tra il sorriso, che maschera di più lo stato d’animo, e gli occhi. Difficile celarsi dietro uno sguardo non sincero. Quando lei si specchia, per quante finzioni o pose possa inscenare, i suoi  occhi le parlano un linguaggio autentico. In quello sguardo,  che  la  viviseziona dentro senza alcuna compassione né garbo , ritrova la sua anima bambina. La stessa che tace parole non scritte per pudore e per timore di annoiare e di ferirsi. La stessa che ora si lascia decantare e si placa  nell’ abbraccio  di una morbida notte  d’autunno .

 

Via, si riparte di nuovo! È tornato Skip Blog.

Quattro anni fa nacque Skipblog, una creaturella un po’ insubordinata, che derivava il nome dal mio cane Skip vero. Ogni tanto spariva all’improvviso senza preavvisare, facendo arrovellare me e la cerchia di amici e parenti. Infatti è stato dato per disperso più di una volta. Sì, desaparecido. Non ho mai capito  se da buon self made dog ( dicitura soft per indicare  un bastardino) avesse assunto una dimensione reale e davvero fosse scappato via nella rete senza guinzaglio  e museruola in preda a un capriccioso moto di ribellione, o se fosse stato misteriosamente rapito da sconosciuti, o invece  fosse stato colpito e affondato. Talvolta ho malvolentieri immaginato  il mio avatar stare ben ritto ed imperterrito sul ponte di comando mentre il blogherello  sprofondava nelle sabbie mobili del web.

Sta di fatto che, dopo  una crisi di astinenza di qualche giorno, iniziavo  a  pensare a un epitaffio a sua imperitura memoria se non altro per rendergli un doveroso tributo di stima e affetto per il tempo e la pazienza che ha avuto nell’ accogliere i miei pensieri, i commenti degli amici del web e le letture dei lurker o dei visitatori di passaggio. All’improvviso però  la creaturella prodiga ricompariva.

 

Un bel giorno della scorsa estate  è sparita per davvero. Si è volatilizzata. Ho sperato di rivederla, anche solo per un attimo, almeno per salutarla; l’ho aspettata, l’ho cercata ma -si sa- nulla è per sempre. Pian piano  mi sono rassegnata alla sua scomparsa, che non è stata  una fuga volontaria. Mi mancava , perché in fondo era un po’ la  memoria storica del mio vissuto, e così ho deciso che come ho resettato un po’ la mia vita reale, così a maggiore ragione  avrei potuto  resettare quella scritta. Rigenerata da una  lunga e riposante pausa estiva,  ho sentito il bisogno di scrivere, di ritrovarmi nella scrittura, di condividere cose belle, scoperte e metabolizzate. Ho ritrovato i vecchi post, ho ricominciato a leggerli, a ripercorrerli e a riscontrare che in fondo sono accadute tante cose in questi anni, che mi sono sembrati lunghissimi, perché in un certo qual modo documentati dai post. Insomma mi sono armata di coraggio e  ho deciso che Skip blog non poteva inabissarsi così, senza preavviso e  senza scelta, nelle profondità del web; se un giorno uscirà di scena, sarà per sua volontà e  non perché colpito e affondato da cause accidentali.

 

 

Come si ricomincia, se non con le parole, che condivido una per una,  del mio primo post di quattro anni fa, quando mi trovai disorientata dinanzi a una pagina bianca e a uno spazio tutto mio. 

“In fondo la curiosità di  leggere i pensieri altrui è la vera ragione che mi ha avvicinato alla cosiddetta blogosfera dove è possibile informarsi, confrontarsi, condividere opinioni o divergerne.Il mondo reale, vivaio di persone concrete, ciascuna con una propria specifica e ben definita identità, con un ruolo privato e pubblico, con competenze e responsabilità, con sogni e sentimenti, interessi, ambizioni, velleità e quant’altro…più o meno palesemente percepibili, visibili, verificabili, pian piano traspare  dal  mondo virtuale ( o scritto) di personaggi, quasi in cerca d’autore, talvolta protagonisti, altre volte invece semplici spettatori sul palcoscenico del proprio Io. Personaggi che si caricano di aspettative , proprie ed altrui ,talvolta  illusorie e fallaci, di messaggi variamente interpretabili ove il fascino della parola scritta può incantare ,incuriosire, indurre a riflettere o a provocare un istintivo outing mediatico col quale si lasciano fluire i pensieri e le emozioni più immediate, che magari in un discorso dal vivo non si riuscirebbe a descrivere, in una sorta di autoanalisi, lettura introspettiva del proprio essere che può spaziare libero dai condizionamenti del reale e dalla routine della quotidianità.
Il mondo virtuale ci appartiene in una dimensione universalmente e tacitamente condivisa. È un mondo sempre nuovo perchè illimitato ,capace di rigenerarsi e divenire continuamente  senza la necessaria ciclicità propria invece della storia reale, perciò è un mondo che può sempre incuriosire e stupire.

Da qualche anno ho lasciato tracce disordinate delle mie caotiche idee facendo zapping  in vari blog e forum a mò di un cane graffitaro , da cui deriva il mio nick, e che scappa senza museruola né guinzaglio …un cane a volte  meticcio, a volte di razza, di attacco , da difesa o semplicemente da compagnia, a seconda dei casi.”

 

 

 La metafora del cane è sempre la stessa, si è solo un po’ evoluta  perché “I cani sono i maghi dell’universo. Basta la loro presenza per trasformare in persone sorridenti quelle arcigne, in persone meno tristi quelle che lo erano: sono generatori di rapporto. Il cane ama con tutto il cuore e perdona facilmente, può correre a lungo e lottare. Ode e vede in modo diverso dall’essere umano, con un forte udito può captare la selvaggia e misteriosa natura femminile, divenendone un tramite tra lei e il rimanente genere umano.” ( da “Donne che corrono con i lupi”-  Clarissa Pinkola Estés).

 

Il graffito è comparso nell’header:  ho voluto rendere omaggio allo street artist francese Zilda che ha regalato la bellezza rinascimentale perlopiù di angeli e di donne angelicate ad angoli nascosti, abbandonati,scrostati e insignificanti di Napoli, rivisitando la pittura simbolista e preraffaelita. “La Speranza che risolleva l’amore ferito”,  tratto dall’omonimo quadro di Carlos Schwabe, si affaccia sul porto e su Skip Blog.

 

 

Cari lettori e lettrici, amici e sconosciuti visitatori, benvenuti in questa nuova casa virtuale. Grazie a chi mi ha nuovamente incoraggiata, al webmastèr Dario che mi supporta, a chi frequenterà questo angolo.

 

A presto! :)

 

Maria skip