Ai limoni, raggi di luce divenuti frutti, fa capo una delle dodici fatiche di Ercole che uccise il drago Ladone incaricato con le Esperidi di vigilare su un giardino, per custodire i pomi d’oro che Gea aveva donato a Era in occasione delle sue nozze con Zeus. Con l’aiuto delle ninfe, Ercole si procurò i frutti e li portò ad Euristeo. Nella cultura medio orientale, soprattutto ebraica, si parlava perlopiù dei cedri che crescevano in Israele quando gli ebrei rientrarono da Babilonia nel VI sec. a. C. ; cedri denominati meli di Persia da Teofrasto di Ereso, filosofo greco ed esperto id botanica, nel 300 a. C .
La presenza dei limoni nel mondo romano fu confermata non solo da Plinio il Vecchio che lasciò notizie sul trasporto del cedro in tante regioni ma anche dalle piante da frutto, tra cui due limoni, dipinte sulle pareti della casa del frutteto di Pompei e dalle trentotto piante di limone in vaso, trovate nella villa Oplonti di Torre Annunziata .Nel 1952 l’archeologo Maiuri concluse che il limone citrino ovale si era già acclimatato in Italia sin dal I sec. d. C. In epoca romana però non si distinse ancora la differenza tra limone e cedro, cui si giunse verso il X secolo. Sicuramente gli arabi portarono i limoni durante le invasioni della Spagna e dell’Italia meridionale tra il X e il XII secolo ma anche i crociati, di ritorno dalle guerre sante, importarono le piante di limoni, ben presto coltivate nelle zone a clima caldo-temperato. In verità nella costiera sorrentina –amalfitana il limone era già presente nell’Alto Medio Evo (V I sec. d. C.), come documentano le testimonianze dei medici salernitani che lo usavano a scopo terapeutico. Certamente il “citrus limon massese” o “ femminiello massese” di Massa Lubrense, nota per i suoi limoni, fu importato dall’oriente dai monaci gesuiti nel lontano XVII secolo e proprio il gesuita massese padre Vincenzo Maggio promosse la coltivazione dei limoni. A fine ‘500 Napoli e dintorni erano ormai “un gioioso loco” ricco di aranci, limoni e cedri, tanto da fare esclamare più tardi a Goethe “Conosci tu il paese dove fioriscono i limoni? Nel verde fogliame splendono arance d’oro. Un vento lieve spira dal cielo azzurro, tranquillo è il mirto, sereno è l’alloro. Lo conosci tu bene? …”
Gran parte dell’economia sorrentina ruotò intorno all’agrumicoltura, che dall’ 800 sostituì colture non più redditizie come quella dei gelsi , anche per la sempre più massiccia importazione dall’oriente dei bozzoli destinati all’industria serica. Proprio per l’esportazione di arance e limoni verso il nord Europa e l’America agli inizi dell’800 si sviluppò la cantieristica navale e di conseguenza sempre più la tradizione marinara della penisola sorrentina, ancor oggi radicata. Nel 1917 in penisola circolavano circa ottocento tra cavali, asini e muli per il trasporto di agrumi e la commercializzazione dei limoni all’ estero fu garantita tutto l’anno perché d’inverno erano conservati nelle grotte e le piante venivano protette con le “pagliarelle”. Queste, ancora in uso, sono stuoie di paglia appoggiate su pergolati per formare una sorta di tetto sul limoneto ed evitare che i limoni siano danneggiati dalle gelate.
Solo con il limone della costiera amalfitana e sorrentina aventi il marchio IGP, cioè lo sfusato di Amalfi e l’ovale di Sorrento, si produce il limoncello, liquore digestivo di fama internazionale.
L’origine del limoncello è piuttosto controversa e contesa tra Capri, Sorrento e Amalfi. Se per i capresi l’imprenditore Massimo Canale fu il primo a registrare il marchio “Limoncello” negli anni ’80, per gli amalfitani le origini del limoncello si fanno risalire a epoche remote, addirittura al tempo delle invasioni saracene quando i pescatori lo bevevano per combattere il freddo. Probabilmente invece fu prodotto in un monastero, come tanti dolci e prelibatezza campane, anche se i sorrentini sostengono che sin dall’inizio del ‘900 le nobili famiglie del luogo lo offrivano agli ospiti illustri, secondo una ricetta tradizionale.
Per Achille Bonito Oliva il limoncello è il liquore bambino.
“Liquore di antica famiglia, il limoncino, casa e chiesa, silenzioso e senza malizia di sapore, è per gli adulti senza essere vietato ai bambini. Ha il colore paziente del convitto, senza oggetto o decisione di fondo, ma con sapore continuo alla gola. Fatto per lo sguardo e malinconica distrazione, non permette e non trattiene ricordi. Liquore di passaggio, il limoncino. Un giallo che rimanda all’azzurro. Non ama essere versato ma preservato in ampolle sicure e personali. Il diminutivo limoncino dichiara un liquore infantile anzi bambino, che nasce limone e desidera diventare limoncino, sicuramente in vitro, così trasparente e guarda dalla bottiglia in girotondo…”
Esistono molte varianti della ricetta sia per le diverse percentuali di zucchero e alcool, sia per il procedimento.
Ricetta del limoncello
Ingredienti:
10 limoni non verdi
1 lt di alcool per liquori
750g di zucchero
Procedimento:
Sbucciare i limoni senza intaccare il mesocarpo o albèdo (la parte interna bianca del limone), mettere le bucce in infusione nell’ alcool in un recipiente di vetro chiuso e in un luogo fresco e buio per 9 giorni. Quando è concluso il periodo di macerazione, preparare il giulebbe versando 750 g di zucchero in un litro d’acqua, mescolando e lasciando bollire per 5 minuti circa finché lo zucchero non si sia sciolto. Quando lo sciroppo si è raffreddato, aggiungervi l’alcool con le bucce, girare e infine filtrare con una garza e imbottigliare. Il limoncello è un ottimo digestivo da servire preferibilmente in bicchierini gelati, oppure lo si può conservare nel congelatore in quanto zucchero e alcool gli impediscono di congelare.
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