È un’impressione…

Per anni ho oscillato su brevi, medie e lunghe distanze attraversando in treno  quasi tutta l’Italia. Su e giù  sui treni FFSS ( cioè  “fate finta siete soddisfatti”) oggi detti  Trenitalia. Forse sarebbe meglio solo Treni. Per un po’ sono stata quieta, o meglio mi sono spostata con altri mezzi, e ho avuto nostalgia di  viaggiare sulla strada ferrata. È un’impressione che nulla sia cambiato sui treni in tanti anni e non solo in meglio, grazie ai confortevoli treni ad alta velocità, quali i Freccia Rossa o Eurostar.

 Innanzitutto  ci sono quasi solo porte scorrevoli, di quelle che dimezzano la silhouette del viaggiatore che non si sbriga a scendere. Un sistema di apertura decisamente migliore di quelle porte che si spingevano in fuori e automaticamente fuoriusciva il predellino. Bisognava chiedere ad Ercole la forza per aprire quella porta e puntare bene i piedi per terra. Chi non aveva un buon stacco di coscia faceva  stretching, allungando le zampe come un fenicottero, per toccare pian piano il marciapiede sottostante oppure doveva zompare dall’ultimo scalino del predellino facendo sfoggio di virtuoso equilibrismo. L’incauto viaggiatore rischiava di finire sotto le rotaie,  a meno che non si avvinghiasse saldamente alla sbarra laterale di appoggio e vi ruotasse intorno in  una sorta di improvvisata  lap dance. Se aveva al seguito i figli, si cimentava in un gioco di logica. Un po’ come per il trasbordo di capra, lupo e cavoli da una riva all’altra del fiume in modo che il lupo non mangiasse la capra e la capra i cavoli.  Doveva valutare se  lanciare giù prima i bagagli o i figli, sperando non si volatilizzassero,  o precederli tutti, ammonendo la prole perchè stesse ferma e non si infilasse nel bagno del treno. Una volta sulla banchina trovavi i facchini, soppiantati da comodi carrelli portabagagli e dalle più agevoli valigie con le rotelle. Peccato che a Genova non ci  siano i carrelli, perché rotolerebbero molto bene nelle scalinate dei sottopassaggi e quindi si consiglia di soppesare armi e bagagli qualora si debba effettuare un cambio treno.

 Oggi molti vagoni  non sono più suddivisi in scompartimenti. Senza barriere interne i viaggiatori stanno  tutti insieme appassionatamente per guadagnarsi le indulgenze, mentre ascoltano pazientemente  almeno 35 telefonate della signora, seduta sette posti più avanti, che saluta gli amici e parenti appena lasciati e altrettanti amici e parenti ai quali preannuncia l’arrivo. Gli uomini non sono da meno: spesso parlano animatamente  di lavoro, a quattr’occhi o per cellulare. Tacciono solo  per montare e smontare il pc portatile, mobilitando il passeggero dirimpettaio che li guarda ammirato, finchè scopre che tutto l’ambaradan serve ad ingannare il tempo con un solitario. Ma volete mettere il fascino suscitato da un ultramoderno pc con quello di un antiquato mazzo di carte sparpagliato sul tavolino? Allora il viaggiatore, allietato sempre dalla logorroica signora, contempla il paesaggio fuori dal finestrino. Un’opera surreale resa evanescente da  vetri mai lavati che hanno reso inutili quei tendoni, pesanti per il tessuto o lo sporco annidato, che non facevano filtrare nemmeno un raggio di sole.

Oggi i treni offrono anche più servizi. Prima l’assetato viaggiatore doveva  attraversare più carrozze per arrivare al vagone ristorante e acquistare una bottiglietta d’acqua a meno che, durante una fermata del treno, non partecipasse all’ arrembaggio collettivo dell’unico venditore fermo sulla banchina, sbracciandosi e sporgendosi a mezzo busto fuori dal finestrino. Da anni sui treni gira il trespolo ambulante, il carrello- mini bar, che fino a qualche tempo fa avanzava squillante nei corridoi. Pareva arrivasse un monatto. Ora è preceduto da silenziosi  megatrolley che  scivolano da soli nel corridoio, facendo strike di tutti i malcapitati che incontrano a portata di rotelle, e da un’orda  di passeggeri che improvvisamente invadono lo scompartimento, dove prontamente si eseguono le  grandi manovre di gambe accavallate, che si disaccavallano per fare più spazio, in una  salutare ginnastica di arti anchilosati .

 A lungo andare il viaggiatore diventa un equilibrista, abile a non ustionarsi col bicchierino di caffè bollente, sia quando ritira gli spiccioli del resto che quando apre la  bustina dello zucchero  e del cucchiaino. Inoltre si tempra stoicamente grazie a  benefiche escursioni termiche, simili a quelle di una  sauna finlandese seguita da un’immersione nell’acqua gelida, e impara ad adattarsi a temperature da disidratazione e a quelle da eskimo.  D’estate sboccia come in una serra, si trasforma in una rosa spampinata a causa del sistema di aria condizionata, spesso non funzionante, e dei finestrini bloccati. Quando intravede un posto libero, nei pressi dell’unico finestrino aperto, in preda all’istinto di sopravvivenza si precipita  per occuparlo e mettere il viso in direzione della folata di ossigeno. Poi s’ingegna contro l’effetto serra, disdegnando l’alternativa di tornare  a casa o a piedi o a nuoto. Prova  ad aprire la porta di comunicazione tra due vagoni e -mamma bella, non è un’impressione- di solito non ci riesce. Un passeggero corre invano in suo aiuto, quindi  sopraggiunge pure qualcun altro. E così dopo l’immane sforzo di aitanti bicipiti   -Apriti sesamo! – la porta scorre. Mentre i cavalier serventi proseguono  nel serpentone ferrato in cerca di un posto a sedere più aerato, con nonchalance il viaggiatore resta  in piedi nel passaggio tra le vetture per godersi la  bella corrente d’aria e ballare la tarantella per mezz’ora, riuscendo così  a rinfrescarsi.

 Uno dei vantaggi principali dei viaggi in treno è il rafforzamento del sistema immunitario. Decenni fa si credeva che ai bambini facesse bene respirare la puzza del letame nelle stalle. Adesso basta aprire una porta delle toilette per farsi tanti, tanti anticorpi. Non appena una vocina squillante urla Pipììììììì la giovin signora, col pupetto al collo, s’affretta a raggiungere  un bagno libero o  aperto. Se è fortunata, lo troverà  dall’altra parte del vagone, altrimenti proseguirà nella sua corsa, mentre  tutti  cedono  il passo, timorosi di dover assistere a qualche altra forma di evacuazione immediata.

 Altra meraviglia dei treni italiani riguarda l’illuminazione. Una volta pareva che negli scompartimenti ci fossero i fuochi fatui per cui  l’appassionato di lettura  come minimo perdeva un paio di diottrie in 800 km di percorrenza. Adesso i treni sono ben illuminati: a giorno di notte, per guardarsi bene da eventuali malintenzionati notturni,  e  a notte di giorno, perché magari l’impianto di illuminazione viene attivato solo dopo avere lasciato al buio  a lungo i passeggeri ( nelle tante gallerie del Ponente ligure, per esempio).

 Oggi poi il viaggiatore non rischia più  di appisolarsi e di scendere alla stazione sbagliata. Sui treni ad alta velocità una gentile signorina o un tenebroso speaker preannuncia  le fermate, prima in italiano poi in inglese, strepita invitando a non parlare ad alta voce e ad abbassare la soneria dei cellulari, fa buona compagnia con frequenti e rinnovati auguri di buon viaggio. Il rassegnato passeggero impara presto a memoria   la litania e mentalmente la completa con un “baci, abbracci e salutam  a’ soreta”, agognando un po’ di silenzio. Persa la concentrazione per decodificare sommariamente ciò che tenta di leggere, può sempre giocare  a inseguire le nuvole che intravede dal finestrino, intrattenersi in piacevoli conversazioni coi compagni di viaggio, estraniarsi  con la musica diffusa dall’ i-pod del vicino che perfora anche i timpani altrui.

Quando la gente è sfollata, esausto e annoiato inizia a rilassarsi . Ma è ora  di scendere. Prepara il bagaglio con sufficiente anticipo per non rischiare di incappare nella porta non funzionante del vagone e si prepara diligentemente allo sbarco.

Sulla banchina scorge una faccia sorridente che lo accoglierà  con un immancabile “Hai fatto buon viaggio?” al quale risponderà laconicamente “Sì, grazie”e un abbraccio finale compenserà  ogni disagio.

 

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