Nei film degli anni ‘50 la donnina era di solito una ragazza un po’ sempliciotta e sprovveduta , sedotta e abbandonata dal mascalzone di turno, disonorata al punto tale da essere costretta a fuggire dal paesello per lavare l’onta subita dalla famiglia d’origine. Trovandosi in difficoltà , in città veniva adescata da una marpiona esperta che la instradava con l’illusione di una vita agiata tra cuménda e palazzinari, viziosi ma benestanti, e finiva in una casa di tolleranza demonizzata dai politici e religiosi di ogni tempo, ma in effetti tollerata nella consapevolezza dell’importante ruolo svolto nel contesto sociale.
Lì intere generazioni di uomini perseguivano il piacere fine a se stesso , immerso e sommerso in arredi e broccati barocchi, tra statue neoclassiche e tendaggi pesanti. Le ragazze in déshabiller apparivano come dee in cima a scalinate, audaci protagoniste dell’immaginario collettivo maschile molto represso e apparentemente castigato. Regine di passerelle, maestose, formose, generose, stelle lucenti nella noiosa ed ipocrita monotonia borghese dove la vita era scandita da rituali formali e i sentimenti erano raramente sinceri .
I bordelli erano oasi felici in cui la libido poteva scorrazzare indomita e l’istinto puro si liberava dei freni inibitori di mogli sconsolate e apatiche, sterili di vive emozioni, addestrate a ruoli sociali prestabiliti, necessariamente condivisi per poter appartenere all’élite. Un mondo basato su una sorta di riscatto sociale, sull’etichetta anche se ipocritamente poco sentita, sulle maniere apparenti, sui cerimoniali castranti della spontaneità. Dall’altra parte c’erano le case del piacere popolate da seduttrici dagli spiccati accenti e inflessioni regionali, Veneri intriganti che facevano sognare. Tra concessioni di favori , di frizzi e lazzi, di sorrisi e di risate schiette, di sguardi sfrontati e forme generosamente in mostra ruotava un mondo trasgressivo, un paradiso per iniziare ai piaceri della vita il giovincello e soddisfare i robusti appetiti sessuali di scapoli e ammogliati. Lì ogni tabù spariva dietro la porta chiusa e nella penombra di persiane accostate. Era un mondo alternativo a quello reale dove talvolta nascevano amori veri dal lieto fine, talvolta tormentate passioni impossibili.
La legge Merlin ha fatto chiudere quelle case, segnando la fine di un’epoca storica. Il mestiere più antico del mondo ha però continuato ad essere svolto per necessità, per vocazione, a volte per noia, spesso per vero e proprio sfruttamento del sesso di donne private di ogni dignità, rapite, ingannate, vendute, violate, sbattute sulla strada, maltrattate da aguzzini e clienti.
Donne senza lacrime né poesia, senza sorrisi sinceri. Lucciole che brillano a intermittenza sui cigli delle strade provinciali, solitarie, squallide, buie. Falene notturne infreddolite vicino a piccoli falò, variopinti animali esotici, trampolieri in bella mostra che danzano , che imitano, che interpretano un ruolo sempre uguale . Vite succubi di avidi imprenditori.
Esistono però anche le professioniste del sesso, quelle che lavorano in proprio: vere imprenditrici di loro stesse e arrampicatrici sociali. Investono in titoli e nel mattone per poter vivere di rendita quando la natura reclamerà il suo dazio e cesserà la stagione del bell’ apparire. Le signorine programmano il loro futuro, non potendo vantare un passato; corrono nel presente e non si voltano mai indietro, guardano sempre avanti .Si riscattano col benessere materiale.
“Si dice che ad ogni rinuncia corrisponda una contropartita considerevole,
ma l’eccezione alla regola insidia la norma…
se è vero che ad ogni rinuncia corrisponde una contropartita considerevole,
privarsi dell’anima comporterebbe una lauta ricompensa”
(Carmen Consoli)
Alla rinuncia del cuore per lo meno corrisponde un buon tornaconto economico.
Tempo fa la Corte di Cassazione ha ritenuto che i proventi dal meretricio sono da intendersi come una «forma di risarcimento del danno» che la donna subisce alla sua dignità , vendendo se stessa. Ma tutto cambia e diviene. Circa cinque anni fa la Commissione tributaria della Lombardia ha condannato una prostituta, proprietaria di sei appartamenti e di due auto, a pagare quasi settantamila euro tra tasse e sanzioni perché non ha dimostrato la provenienza del suo reddito. Insomma la signorina in questione non è stata in grado di dimostrare come aveva accumulato tutti quei beni, esibendo magari un atto di donazione o regolare fattura, quindi risultava che non aveva pagato le tasse su un gettito extra, non dichiarato.
Di qui il dilemma se le lucciole debbano pagare le tasse e debbano esser riconosciute come in tanti altri paesi. Hanno un loro sindacato e rivendicano accoglienti strutture aziendali dove erogare ed espletare servizi ad un’utenza varia per età e richieste, dove tutto sia scandito con precisione secondo una tabella di marcia di appuntamenti quantificati e definiti per durata e impegno. Come saranno qualificate? Consulenti sessuali, lavoratrici dello spettacolo o professioniste della grande distribuzione? Madame del volontariato sociale, espletatrici di un lavoro socialmente utile ? Non ci sarà più sfruttamento della prostituzione ma si passerà alla legalizzazione del commercio sessuale.Saranno garantiti minimi salariali e tariffari uniformi comprensivi di IVA in ogni regione, a prescindere dalla qualità dell’ erogatrice del piacere o dell’ abilità mostrata , versamenti di contributi previdenziali e di quote assicurative in caso di infortunio o incidente sul lavoro . Sarà effettuato una sorta di censimento periodico che escluderà le minori e assicurerà effettivi controlli sanitari. Il meretricio sarà un’occupazione provvisoria o definitiva come ogni altra, risponderà alla flessibilità organizzativa, sarà periodicamente monitorato nel suo rendimento di mercato.
Poco importa se verrà meno la sensazione di trasgredire furtivamente per evadere dalla quotidianità e ricercare ebbrezze diverse, di sottrarsi allo sguardo severo e vigile della propria coscienza .Basterà essere in regola col fisco!