Un post su luoghi di confine, che cambiano prospettiva di vita e di fede, per la seconda edizione del Carnevale della Letteratura ospitato da “Il Coniglio mannaro” di Spartaco Mencaroni. Un doveroso omaggio a un bambino, che non dimentico, e alla ricerca scientifica.
“Accadono cose che sono come domande. Passa un minuto, oppure anni, poi la vita risponde”(Alessandro Baricco).
Una chiamata improvvisa, inaspettata proprio quando avevo raggiunto un equilibrio vivendo in una sorta di standby, tra la rassegnazione e l’attesa con l’inconscia rimozione dell’inevitabile.
A volte ci sono cose difficili da narrare seguendo un filo logico. Proprio io, che cerco una logica in ogni cosa, oggi mi arrendo alla fatalità.
Il caso volle che, uscendo da una chiesa di Roma, l’occhio mi cadesse di sfuggita su un’immagine e, tornata sui miei passi, la scrutassi con attenzione ma non con gli occhi dell’arte. A quella santa degli impossibili rivolsi un pensiero, sempre lo stesso, prima svogliato poi più intenso.
La domenica successiva ripartii e tornai a casa in Liguria. Nel pomeriggio di lunedì azzardai una scelta, combattuta, con la perplessità del distacco, di una necessaria lontananza che complica tutto e che potrei ovviare solo con una clonazione per conciliare le esigenze della famiglia di origine e di quella acquisita. Mi frullava in testa da tempo e la rinviavo da qualche anno. Nella notte di lunedì però un cuore bambino chiamò e lei partì in fretta e furia per riceverlo. Era arrivato il momento tanto sperato e temuto da tutti noi. Col senno del poi, concludo che proprio questo allenamento di prevedere e rimuovere dai miei pensieri il rischioso evento risolutorio aveva indirettamente maturato un sorprendente autocontrollo, necessario nel momento dell’emergenza quando è inutile farsi prendere dal panico e non giova una qualsiasi decifrazione emotiva e razionale.
Avevamo programmato il da farsi: la valigia e le cartelle cliniche erano pronte, l’ambulanza era stata preavvisata, ma l’imprevisto c’è sempre e ci mise lo zampino un benzinaio che invece del pieno di benzina pensò bene (anzi non pensò affatto) di farne uno di diesel all’ auto di papà. Così dopo aver lasciato le chiavi di casa ad un’amica per provvedere a Skip vero, che si fece volontariamente rapire e coccolare, inforcai la mia Kiki quattroruote e sconfinai in quel di Lombardia con papà, ripetendomi più volte di guardare bene la strada per non distrarmi. Beato il giorno in cui mi decisi di riprendere a guidare!
Quel verdetto di nove anni fa se da una parte ha aiutato a comprendere i pregressi quarant’ anni di “forse, tentiamo, può darsi…” e a ricomporre la storia familiare di cuori indomiti, dall’ altra ha innescato razionali meccanismi di autodifesa, perché in certe circostanze bisogna selezionare anche le paure per aggirare quelle più infondate e prepararsi a sbarcare sull’ unica riva possibile, cercando di cogliere gli approdi più dolci.
Talvolta le ore sembrano ritagli di eternità. Frastornata la guardavo, stando dietro una vetrata con i miei genitori, che d’un tratto mi apparvero carichi di tutti gli anni e delle speranze riposte. Come noi anche tanti altri sconosciuti, provenienti da ogni parte d’ Italia, in piedi e in silenzio ad omaggiare la grandezza della scienza. Quanta solitudine a volte si prova nelle proprie emozioni…
Abbassando lo sguardo sul marmetto di quel confine trasparente vidi una figurella e poi altre, una distesa di figurelle, tutte allineate, tra le quali c’era anche un rosario in una scatoletta. Tributi di fede per gli intercessori di una grazia ricevuta, testimonianze di speranza. Parlavo mentalmente all’ ignoto bambino del cuore e continuavo a pensare che avrebbe dovuto sempre custodire in vita il proprio cuore e rincorrevo idealmente i suoi genitori, unicamente grandi nella generosità di offrire nuove opportunità di vita. Non riuscivo e non riesco ad immaginare quel donatore se non col volto dei miei figli a dodici anni. La vita è strana: ruba e regala quando meno te l’aspetti.
Quel cuore bambino ora palpita a nuovi compromessi, stillando in lei tante gocce, un flusso di vita, e lo penso spesso quando la osservo nei suoi costanti progressi. Da qualche tempo si sta ambientando, batte più forte di un tamburo nella conquista di un nuovo ritmo per reclamare l’istinto alla vita. Quel cuore ha rappresentato una svolta per scrostarci dalla zavorra di una vita intera. Per me è stato quasi un nullaosta per lasciare le nostalgiche terre blu e rimettermi in gioco, tessere una nuova rete di interessi e di relazioni, perché ho finalmente potuto sentire il bisogno di riappropriarmi dei miei desideri nella ricerca del bello e del nuovo in una città che mi affascina e mi ha parlato sin dal primo momento.
Tutto questo per confermare che l’Italia detiene un primato internazionale nel settore dei trapianti e che alcune malattie sono diagnosticabili grazie ai recenti progressi della ricerca sulla definizione degli aspetti diagnostici , decorso clinico della malattia e sviluppo di nuove strategie terapeutiche. Pochi sono i ricercatori clinici che si occupano di malattie rare e collaborano intensamente a livello internazionale con centri di ricerca americani ed europei , nonostante i limitati supporti finanziari. Convivere con malattie croniche per il paziente e i suoi familiari significa fare i conti con un senso di imprevedibilità e una mancanza di controllo sull’ignoto, induce a ripensare le priorità della vita e a ristrutturare un nuovo ordine di ruoli e valori. Impone una corazza che scherma dalla leggerezza dell’essere, che sprona a cercare di vivere normalmente, per quanto possibile, e a trovare forza per trasmetterla e non fare perdere la speranza.
Accadono cose che sono come domande. Riemergono a tratti, poi ad un certo punto le zittisci per guardare avanti. A volte le eccezioni fanno saltare andamenti lineari, fermano il tempo che per lei si pensava scaduto e per lui che non avrebbe dovuto fermarsi in una staffetta ove punto di partenza e di arrivo coincidono nell’ineluttabile trionfo della fatalità che sconfigge ogni logica. L’unica certezza è una profonda riconoscenza per coloro che hanno reso e rendono possibili i miracoli con grande professionalità medica da una parte, ma soprattutto con un’ammirevole generosità dall’altra.
A quei genitori noi tutti siamo vicini e vogliamo esprimere la nostra gratitudine per averci consentito di adottare il loro cuore bambino in una nuova vita.
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