“Non c’è nulla che puoi vedere che non sia un fiore;
non c’è nulla che puoi pensare che non sia la luna.”
Matsuo Bashō
Incamminarci
Al giro di boa ancora fiammeggiano le querce,
celebriamo il passaggio dell’anno, del fuoco
quello appena nato non può temere il gelo
tutte le foglie lo trattengono nel calore
fin che possa liberare le ali piumate
ruotare sopra di noi che dormiamo, incamminarci.
(Invasioni, 1984)
Auguro a tutti voi, amici e lettori, una buona fine anno e tanto tanto, tempo nel 2015 per ciò che desiderate di più.
Maria
Nella notte entreremo
a rubare
un ramo fiorito.
Passeremo il muro,
nelle tenebre del giardino altrui,
due ombre nell’ombra.
Ancora non se n’é andato l’inverno,
e il melo appare
trasformato d’improvviso
in cascata di stelle odorose.
Nella notte entreremo
fino al suo tremulo firmamento,
e le tue piccole mani e le mie
ruberanno le stelle.
E cautamente
nella nostra casa,
nella notte e nell’ombra,
entrerà con i tuoi passi
il silenzioso passo del profumo
e con i piedi stellati
il corpo chiaro della Primavera.
Poesia per Gianni Rodari
Mia figlia si svegliava con le tue rime in musica
A tua figlia dicevi fiabe ad alta voce
Anch’io a mia figlia leggevo ad alta voce
Ho studiato con tua figlia all’università
Il mio mestiere è diventato il tuo
C’è un fiume di padri e di figli, di rime e di fogli
C’è un giro di grandi stagioni, di madri e di mogli
C’è il rosso coraggio delle primavere
Le figlie son vere, le fiabe son finte
Ma tu non temere, le guerre che hai perso son vinte
C’è il rosso di foglie che cadono, qui nell’autunno
Nel tempo del sonno e del danno
Le foglie son vere, le figlie son molte
Le rime che lasci cadere
Son state raccolte
E ormai dureranno le estati della filastrocca
La gente ora sa che sapevi suonare
Suonare ci tocca
Ti abbiamo seguito, abbiamo accordato la rima
Le fiabe son vere, c’è un nuovo mestiere
Che non c’era prima
I poeti per bambini intagliano teatrini del mondo
I poeti per bambini costruiscono giocattoli dell’anima
I poeti per bambini son Piccoli Zii per i figli di tutti
Contro i Grandi Fratelli ignoranti, meschini e corrotti
Tutti noi stamburanti di rima
Tutti noi musicanti di Brema
Noi poeti un po’ gatti, un po’ galli, un po’ cani e somari
Camminiamo sulle strade aperte
Da Gianni Rodari
Da “Filastrocche” di Bruno Tognolini
L’acquazzone
Si cacciò avanti, lungo lo stradone,
carta foglie ed uccelli. il polverone.
Si udirono richiami disperati,
tonfi d’imposte e d’usci sbatacchiati.
Si videro donne lottare in un prato
con gli angeli impauriti del bucato.
Poi seminò la pioggia a piene mani
tetti e vie di danzanti tulipani;
tagliò il paesaggio, illividì ogni cosa
in un polverio d’acqua luminosa.
Quando si stava inebetiti e fissi
come sull’orlo d’infuocati abissi
dove il mondo pareva andar sommerso:
il cielo sulle case era già terso,
e nei vetri appannati del tinello
risorrise il paese ad acquarello:
sulla campagna dolcemente crespa
ronzò la chiesa d’oro come vespa.
Non rimaneva dell’orrendo schianto
che il gocciare di musicale pianto
della gronda, già buono già tranquillo:
lo raccolse morente il bruno grillo.
Coi tamburini gracili di pelle
le rane lo portarono alle stelle.
Corrado Govoni
Iniziamo con Marisa Bergamasco, che dall’Argentina cura il blog Cocina y Letras ove riesce abilmente a fondere letteratura e arte culinaria, mescolando la nostalgia per l’Italia con i sapori della buona cucina. Ci propone “La notte e le donne più belle d’Italia”, un racconto originale e spontaneo come gli affetti più cari associati a notti diverse che, nella loro luce e vicinanza, riescono ad annullare ogni distanza di spazio e di tempo.
“Pochi anni fa, quando telefonavo a mia madre da uno dei tanti posti in cui mi sono trasferita, le chiedevo che guardasse di notte “le tre Marie” (le tre stelle della cintura di Orione, quelle che nel mondo boreale vengono chiamate “I tre re”). A casa di mia madre se ne trovano sopra il serbatoio dell’acqua potabile che a sua volta si trova sopra il tetto della sua camera. Io le cercavo ovunque ci sia stato il mio cielo, e a quel punto, pensare l’una all’altra era il nostro modo casereccio per esorcizzare la lontananza.”
Un mix poetico, delicatamente genuino come la sorpresa finale, molto gradita da Skip e ancor più da me. 😉
“La notte illuminata dal chiaro di luna è una delle ambientazioni più comuni e suggestive che si possono ritrovare in ambito sia letterario che musicale” è l’incipit del post “Il chiaro di luna tra musica e letteratura” del giovane Leonardo Petrillo, esperto di musica e scienze, che sul Tamburo Riparato ci delizia con un’ armonia di composizioni musicali e letterarie.
“Sempre nell’atto V, Shakespeare immette un’emblematica riflessione relativamente alla musica: L’uomo, nel cui cuore la musica è senza eco, o l’uomo, che non si commuove ad un bell’ accordo di suoni, è capace di tutto: di tradire, di ferire, di rubare e i moti del suo spirito sono foschi quanto la notte e le sue passioni nere quanto l’inferno. Non ti fidar di lui, ascolta la musica.”
E noi accogliamo volentieri l’invito leggendo e ascoltando il post di Leonardo, magari durante una notte romantica, e il futurista Marinetti ci scuserà se non abbiamo ancora ucciso il chiaro di luna 😉
E ora destiamoci e spalanchiamo bene gli occhi, lasciandoci guidare dall’eclettica Annarita Ruberto, la professoressa del web, esperta di matematica, fisica, scienze e astronomia di cui scrive su Scientificando e Matem@ticamente, oltre che pubblicista di articoli scientifici sulla rivista “Scuola & Didattica”. Questa volta sul blog Web 2.0 and Something ci offre due componimenti poetici.
Immersa nella volta celeste contempla la Notte che
Annarita però non può non subire il fascino degli astri e lo traduce in versi in “ Le stelle” che rischiarano le strade del cielo, dell’uomo e delle varie civiltà e da sempre racchiudono nella loro magica polvere il mistero dell’universo.
“Quella notte” , lettori, che notte! Una notte tutta da scoprire su Il Gloglottatore , che lascia ampio spazio all’immaginazione e alla libera interpretazione. Bernardo R., l’autore, è anche uno degli ideatori del Carnevale della Letteratura e gloglotta convinto che il mondo umanistico può amalgamarsi con quello scientifico o di altre arti e campi dell’ingegno umano. Infatti ci ha contagiati e convinti, speriamo di esserlo sempre in più. Qui trovate i temi delle varie edizioni del Carnevale.
Seguiamo adesso Margherita Spanedda che cura i blog Un po’ di chimica e Il gatto a righe. Nelle “Stelle” racconta una di quelle notti pungenti che riescono a parlare all’anima tra presente e passato, tra le luci e le ombre della vita di Maria. “…le ombre dei suoi pensieri, dei suoi desideri, diventate improvvisamente solide , palpabili” riemergono da uno spazio vissuto e divenuto troppo stretto e respirano in quello della memoria e nell’ infinito universo ove ricongiungersi alla luce di quelle stelle che attraversano la nostra vita come comete…
Altro contributo di Margherita è il post “La Dea” che nel suo splendore affascina gli uomini sin dalla notte dei tempi, incanta regalando un senso di infantile stupore a una nostra lontana progenitrice che non può ancora intuirne i misteri nel ritmo del tempo e nella ciclicità della natura.
“La luna spuntando dietro la cresta dei Ronchi, fece la sua comparsa nel cielo stellato e limpido e si mise all’opera per completare l’impresa iniziata dall’acqua. Con la sua straordinaria forza di gravità capace di alzare e abbassare le acque dei mari e degli oceani, come una misteriosa alchimia, mescolò le molecole dell’acqua con le vitamine della cornola dando così origine a una nuova forma di vita sconosciuta sulla terra.” Chi nacque? Il Sanguanello, un folletto dispettoso e burlone che è ricomparso dalle leggende delle valli dell’Altopiano di Asiago nei racconti di Fiorella Lorenzi insieme a “L’Anguana del Cion” .Tra suggestive descrizioni e un’apparente semplicità narrativa personaggi reali ed immaginari dei monti e dei boschi fanno decollare la fantasia nella semplice, quasi fiabesca, atmosfera di un mondo rurale di altri tempi. Io e Skip ringraziamo anche Silvano Bottaro, alias Novalis, che ha pubblicato il post di Fiorella nel blog Novalismi e invitiamo la cara Fio a scrivere, scrivere e farsi leggere. Ecco l’abbiamo detto ufficialmente!
Ora passiamo a uno dei promotori e assiduo sostenitore del Carnevale della letteratura, cioè Spartaco Mencaroni di Il Coniglio Mannaro. Chi è il Coniglio? “Il Coniglio Mannaro è quella parte di ognuno di noi che si è persa in un posto magico e guarda da lontano il nostro mondo e la sua luna. Continua a raccontare storie fantastiche e frammenti di sogni, a volte fingendo di voler tornare indietro.” Un biglietto di presentazione per un giovane scrittore, di grande creatività e sensibilità, che riesce sempre a produrre racconti suggestivi, ora teneri e delicati, ora misteriosi e avvincenti. Spartaco ha contribuito a questa rassegna con ben tre post.
Neve sull’argine grande è invece un racconto poetico che prende spunto dall’ “Autoritratto con paesaggio” di Matteo Pedrali e accarezza le varie sfumature dell’amore nell’alternanza di giorno e notte, delle luci e delle ombre dell’umano sentire. Questo post è un bell’esercizio di scrittura di Spartaco Mencaroni che riesce a dipingere con descrizioni accurate e incisive.
Di notte accadono cose che non si possono capire, ma solo intuire. “Ma quest’inverno è diverso. C’è uno strano freddo, che entra nell’anima. Le giornate non sono mai del tutto luminose ed è come se la notte assediasse le ore di luce. Posso sentire le ombre, si spingono ai margini del giorno, in attesa del buio.” Nelle Notti d’inverno si snoda una storia avvincente che sconfina dal mondo reale a quello immaginario negli inesplorati meandri della mente umana, popolati da inquietanti presenze.
“L’anima è piena di stelle cadenti (Victor Hugo) “e anche la notte di San Lorenzo che ha ispirato semplici riflessioni e una grande meraviglia di fronte a uno spettacolo che si ripete e non stanca mai.
In una notte d’autunno è un breve sguardo dentro di sé per ritrovare “ l’anima bambina. La stessa che tace parole non scritte per pudore e per timore di annoiare e di ferirsi. La stessa che ora si lascia decantare e si placa nell’ abbraccio di una morbida notte d’autunno.”
Siamo quasi arrivati alla conclusione del Carnevale e io e Skip ringraziamo tutti i partecipanti e i lettori per avere seguito questa luuuuuuuuuunga rassegna.Ricordiamo che la quarta edizione del Carnevale della Letteratura sarà ospitato su Scienza e Musica di Leonardo Petrillo che ha scelto come tema “ il tempo”. Potrete segnalare i link di vostri post inerenti il tempo entro la fine di settembre .
Ora ci congediamo lentamente e vi regaliamo un ultimo e splendido omaggio di Fernando Pessoa alla Signora che, nelle sue mille sfumature , ci ha ispirati e guidati perché “La notte non è meno meravigliosa del giorno, non è meno divina; di notte risplendono luminose le stelle, e si hanno rivelazioni che il giorno ignora.” ( Nikolaj Berdjaev)
Vieni, Notte antichissima e identica,
Notte Regina nata detronizzata,
Notte internamente uguale al silenzio, Notte
con le stelle, lustrini rapidi
sul tuo vestito frangiato di Infinito.
Vieni vagamente,
vieni lievemente,
vieni sola, solenne, con le mani cadute
lungo i fianchi, vieni
e porta i lontani monti a ridosso degli alberi vicini,
fondi in un campo tuo tutti i campi che vedo,
fai della montagna un solo blocco del tuo corpo,
cancella in essa tutte le differenze che vedo da lontano di giorno,
tutte le strade che la salgono,
tutti i vari alberi che la fanno verde scuro in lontananza,
tutte le case bianche che fumano fra gli alberi
e lascia solo una luce, un’altra luce e un’altra ancora,
nella distanza imprecisa e vagamente perturbatrice,
nella distanza subitamente impossibile da percorrere.
Nostra Signora
delle cose impossibili che cerchiamo invano,
dei sogni che ci visitano al crepuscolo, alla finestra,
dei propositi che ci accarezzano
sulle ampie terrazze degli alberghi cosmopoliti sul mare,
al suono europeo delle musiche e delle voci lontane e vicine,
e che ci dolgono perché sappiamo che mai li realizzeremo.
Vieni e cullaci,
vieni e consolaci,
baciaci silenziosamente sulla fronte,
cosi lievemente sulla fronte che non ci accorgiamo d’essere baciati
se non per una differenza nell’anima
e un vago singulto che parte misericordiosamente
dall’antichissimo di noi
laddove hanno radici quegli alberi di meraviglia
i cui frutti sono i sogni che culliamo e amiamo,
perché li sappiamo senza relazione con ciò che ci può
essere nella vita.
Vieni solennissima,
solennissima e colma
di una nascosta voglia di singhiozzare,
forse perché grande è l’anima e piccola è la vita,
e non tutti i gesti possono uscire dal nostro corpo,
e arriviamo solo fin dove arriva il nostro braccio
e vediamo solo fin dove vede il nostro sguardo.
Vieni, dolorosa,
Mater Dolorosa delle Angosce dei Timidi,
Turris Eburnea delle Tristezze dei Disprezzati,
fresca mano sulla fronte febbricitante degli Umili,
sapore d’acqua di fonte sulle labbra riarse degli Stanchi.
Vieni, dal fondo
dell’orizzonte livido,
vieni e strappami
dal suolo dell’angustia in cui io vegeto,
dal suolo di inquietudine e vita-di-troppo e false sensazioni
dal quale naturalmente sono spuntato.
Coglimi dal mio suolo, margherita trascurata,
e fra erbe alte margherita ombreggiata,
petalo per petalo leggi in me non so quale destino
e sfogliami per il tuo piacere,
per il tuo piacere silenzioso e fresco.
Un petalo di me lancialo verso il Nord,
dove sorgono le città di oggi il cui rumore ho amato come un corpo.
Un altro petalo di me lancialo verso il Sud
dove sono i mari e le avventure che si sognano.
Un altro petalo verso Occidente,
dove brucia incandescente tutto ciò che forse è il futuro,
e ci sono rumori di grandi macchine e grandi deserti rocciosi
dove le anime inselvatichiscono e la morale non arriva.
E l’altro, gli altri, tutti gli altri petali
– oh occulto rintocco di campane a martello nella mia anima! –
affidali all’Oriente,
l’Oriente da cui viene tutto, il giorno e la fede,
l’Oriente pomposo e fanatico e caldo,
l’Oriente eccessivo che io non vedrò mai,
l’Oriente buddhista, bramanico, scintoista,
l’Oriente che è tutto quanto noi non abbiamo,
tutto quanto noi non siamo,
l’Oriente dove – chissà – forse ancor oggi vive Cristo,
dove forse Dio esiste corporalmente imperando su tutto…
Vieni sopra i mari,
sopra i mari maggiori,
sopra il mare dagli orizzonti incerti,
vieni e passa la mano sul suo dorso ferino,
e calmalo misteriosamente,
o domatrice ipnotica delle cose brulicanti!
Vieni, premurosa,
vieni, materna,
in punta di piedi, infermiera antichissima che ti sedesti
al capezzale degli dei delle fedi ormai perdute,
e che vedesti nascere Geova e Giove,
e sorridesti perché per te tutto è falso, salvo la tenebra e il silenzio,
e il grande Spazio Misterioso al di la di essi… Vieni, Notte silenziosa ed estatica,
avvolgi nel tuo mantello leggero
il mio cuore… Serenamente, come una brezza nella sera lenta,
tranquillamente, come un gesto materno che rassicura,
con le stelle che brillano (o Travestita dell’Oltre!),
polvere di oro sui tuoi capelli neri,
e la luna calante, maschera misteriosa sul tuo volto.
Tutti i suoni suonano in un altro modo quando tu giungi
Quando tu entri ogni voce si abbassa
Nessuno ti vede entrare
Nessuno si accorge di quando sei entrata,
se non all’improvviso, nel vedere che tutto si raccoglie,
che tutto perde i contorni e i colori,
e che nel cielo alto, ancora chiaramente azzurro e bianco all’orizzonte,
già falce nitida, o circolo giallastro, o mero diffuso biancore, la luna comincia il suo giorno.
Fernando Pessoa
immagini dal web
I ricordi mi vedono
Un mattino di giugno, troppo presto
per svegliarsi, troppo tardi
per riprendere sonno.
Devo uscire nel verde gremito
di ricordi, e mi seguono con lo sguardo.
Non si vedono, si fondono totalmente
con lo sfondo, camaleonti perfetti.
Così vicini che li sento respirare
benché il canto degli uccelli
sia assordante.
Tomas Tranströmer
(da Poesia dal silenzio, Crocetti, 2008 – Traduzione di Maria Cristina Lombardi)
La cipolla è un’altra cosa.
Interiora non ne ha.
Completamente cipolla
fino alla cipollità.
Cipolluta di fuori,
cipollosa fino al cuore,
Potrebbe guardarsi dentro
senza provare timore.
In noi ignoto e selve
di pelle appena coperti,
interni d’inferno,
violenta anatomia,
ma nella cipolla – cipolla,
non viscere ritorti.
Lei piú e piú volte nuda
fin nel fondo e cosí via.
Coerente è la cipolla,
riuscita è la cipolla.
Nell’una ecco sta l’altra,
nella maggiore la minore,
nella seguente la successiva,
cioè la terza e la quarta.
Una centripeta fuga.
Un’eco in coro composta.
La cipolla, d’accordo:
il piú bel ventre del mondo.
A propria lode di aureole
da sé si avvolge in tondo.
In noi – grasso, nervi, vene,
muchi e secrezione.
E a noi resta negata
l’idiozia della perfezione.
Wisława Szymborska