Voglio parlare di una bambina…

Voglio parlare di una bambina, bionda con i capelli sciolti e spettinati, gli occhi ambra, la gonna corta, le ginocchia nodose e le braccia sottili. Una donna, centenaria di baci e clienti, recita la solita solfa e con un sorriso accattivante  e sdentato, invita il passante ad assaggiare quel frutto acerbo che con ritrosia abbassa lo sguardo e cerca di retrocedere.Le tira su il mento, per mettere in mostra la sua bocca carnosa che si annida in un broncio infantile. La bambina dagli occhi selvatici guarda quasi con aria di sfida, ignara di accrescere così il suo potere d’acquisto. L’uomo che le compare davanti, le va incontro in silenzio con il passo lento ma fermo di due generazioni fa, di chi non si pone più tante domande, né si fa scrupoli pur di concedersi una scarica di adrenalina, forse l’ultima, che lo nutra di un altro vigore, forse l’ultimo, tra le carni giovani, mentre le sue irrancidiscono di egoismo, rancore e ineluttabile destino.La nonna ruffiana gli fa strada su un selciato polveroso verso una casa, ancora segnata dal terremoto, e tira per mano la bambina. Voglio parlare di una bambina che non sorride, che sconta la colpa di essere graziosa da quando ha dieci anni perché “doveva imparare presto” a soddisfare le voglie di un uomo qualunque e ad arricchire il protettore di turno.

 Voglio parlare di una bambina che ogni giorno percorre sei chilometri per andare a scuola, canta e saltella come una gazzella per i campi e si sente libera nel cielo turchino che l’accompagna. Sui libri le piace immaginare il suo futuro, pensare che andrà a studiare in città. Un giorno viene marchiata da colui che può quindi reclamarla come moglie. Non importa che sia il cognato, ormai vedovo e di vent’anni più vecchio di lei, e che l’abbia rapita, rinchiusa e violata in un casolare, lontana dai suoi sogni e dai suoi affetti. Tra le lacrime, le grida e i calci trova la rabbia e la forza di schizzare via da quell’uomo che confonde l’amore col possesso, dalle tradizioni, dalla volontà altrui, dal verdetto dei vecchi del villaggio, dall’omertà di tutti, dal silenzio di sua madre, dalla rassegnazione di suo padre. Voglio parlare di lei che ha cambiato un po’ la storia, ha creato un precedente in un continente dove le donne subiscono mutilazioni dei genitali e dei seni, fuggono da matrimoni combinati e preferiscono affrontare l’incognita di un viaggio senza meta sopportando la violenza di altri uomini,della calura del deserto e del mare.

Voglio parlare di una bambina che vive felice nel suo villaggio finché alcuni uomini, armati di sangue e odio, la rapiscono con la sorellina e la portano nella foresta insieme ad altri bambini. Con la nostalgia di casa nel cuore e la paura delle botte negli occhi cammina in silenzio per giorni aiutando la piccola, sfinita dalla fame e dalla stanchezza, fin quando un uomo le porge una pistola.Voglio parlare di una bambina soldato costretta a uccidere sua sorella, da allora in guerra con se stessa, che continua a combattere con quel ricordo, più che con quello degli altri morti ammazzati, degli stupri, delle gravidanze subite, di una libertà da pagare con l’emarginazione sociale.

nadia-murad-P

Voglio parlare di una bambina che hanno cercato di  sfregiare per cancellarne l’ identità di ragazza libera, curiosa di imparare,conoscere e scrutare orizzonti lontani; voglio parlare della riduzione in schiavitù di studentesse, della loro colpa di credere che l’istruzione possa emancipare e affrancare da ogni forma d’ignoranza, di pregiudizio, da ogni abuso e sopraffazione. Voglio parlare di donne di ogni età, vittime sacrificali di una precisa strategia militare. A nome loro hanno parlato una bambina e una ragazza che all’ONU hanno rivendicato la libertà e la dignità  delle tante vittime di uomini spietati e brutali. Il loro sguardo sofferente ma deciso ha urlato al mondo intero un’invocazione di giustizia più delle loro parole dirette, calme ed efficaci.

Voglio parlare di una bambina bella bella, gioia e orgoglio di mamma e papà, talmente bella da sembrare una bambola, truccata pettinata vestita come una Barbie in miniatura. Una piccola venere sotto i riflettori, idolo delle coetanee, incarnazione della vanità femminile, di una bellezza artefatta ma perfetta. Una bambola di bambina, capace di sedurre a sua insaputa: i suoi  occhi splendenti e il suo sorriso da star nel teleobiettivo gli sono rimasti impressi nel cervello anche quando l’ha stuprata e fatta a pezzi. Magari fosse scappata da quel gioco attraente di luci,tulle e paillettes. Voglio parlare delle bambine plagiate a essere una finta donna, a volte proprio da chi avrebbe dovuto proteggerle, vittime di un ruolo non scelto, di un’infanzia negata dalla miseria, dalla pubblicità o dalla perversione degli orchi.

Voglio parlare di una ragazza dal sorriso dolce e dagli occhi grandi, spalancati sul domani, sui sogni della giovinezza e sull’ amore sbagliato,che ride con lui, piange per lui, litiga con lui, a lui si ribella e da lui viene uccisa.Voglio ricordare le tante ragazze assassinate dalla stessa mano che poco tempo prima accarezzava e diceva di amare la loro voglia di vivere. Ora gravano sul cuore e sulla coscienza di tutti, perché sono un po’ le nostre figlie, indifese nell’ estremo tentativo di reagire, salvarsi, vivere.Come stille di pioggia scivolano lungo una foglia, evaporando, si sono dileguate troppo presto lasciando nel web quei sorrisi indelebili e preziosi.

103843947-0b39a899-25c9-4ce2-82e7-aa73c0607048

Scusatemi se parlo per le tante bambine che vivono nell’ ombra di una baracca o in un bordello per turisti, o se grido per tutte quelle bambine e donne che oggi come ieri  pagano l’essere femmine in un contesto dove nascere è una disgrazia, ma nascere femmina lo è ancora di più. Scusatemi se ho impresse negli occhi quelle bambine senza voce, invisibili per chi ha troppa fretta o indifferenza, schifate perché di diversa origine, provenienza, lingua e cultura anche da madri di altri figli, troppo ottuse e frustrate per uscire dal buco in cui si rintanano gongolanti di pregiudizi. Ascoltatemi se parlo di bambine che hanno per bambolotti i fratellini o i figlioletti da accudire, di quelle che vivono per strada, o delle spose bambine da comprare a vita in cambio di un pasto sicuro, da scartare poi per soddisfare un nuovo capriccio.

Non smettiamo di parlare delle donne che non sono mai state bambine e delle bambine che non possono più diventare donne, perché nessuna guerra, usanza, ignoranza, distanza può giustificare certi crimini.

Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne 2018

Articoli correlati

Da Cicatrici di guerra: il Clan delle Cicatrici 

I fatti di Colonia tra denunce, responsabilità, reazioni, opinioni, strategie politiche affinché i diritti e le libertà delle donne siano valori indiscutibili e non negoziabili

Giornata internazionale contro la violenza sulle donne 

La violenza sulle donne: da patologia a fenomeno socio-culturale che si manifesta in varie forme e stereotipi. 

Speriamo che sia…femmina?

Quanto mi dai?

Quanto mi dai?

I recenti fatti di cronaca di minorenni che svendono il loro corpo o si esibiscono via mms o in portali a luci rosse  in cambio di una ricarica, abiti griffati, droga e soldi  non sono tristi episodi ma un fenomeno sociale da non sottovalutare, che  dimostra quanto sia grande la crisi di identità in cui cadono gli adolescenti in Italia.

Se di fatto esiste un disagio giovanile sul quale riflettere, riconosco però che esiste anche disagio nel ruolo genitoriale. Alcuni genitori rifuggono il proprio ruolo educativo, altri cercano di trasmettere i cosiddetti sani principi ma si trovano a combattere contro quelli propinati da altre agenzie “educative” più accattivanti  che ostentano prototipi femminili che spesso si fanno strada nel mondo dello spettacolo, e non solo, in cambio di prestazioni che nulla hanno a che vedere con il merito, la competenza e la bravura.

Nella nostra società, grazie all’imperante consumismo, si considerano sempre più l’aspetto materiale della vita e l’esteriorità delle persone e di fatto esiste il culto dell’apparire, enfatizzato anche a  livello mediatico. Se anni fa le bambine giocavano con le bambole, compagne del loro immaginario infantile, oggi tendono ad identificarsi nelle bambole  in carne ed ossa, belle, ricche e di successo… sempre in vetrina. Modelli da emulare.

L’ambito abito griffato, che fa tendenza, è divenuto una sorta di status symbol che rassicura e viene percepito come garanzia di omologazione, di consenso sociale e di un senso di appartenenza indiretta all’Olimpo della passerella dove però tra variopinti voile, trine e nastri si snodano anche diverse interpretazioni estetiche della femminilità. L’abito di valore copre la persona, compensa la mancanza di valori e di spessore della persona (Erich Fromm parlava di avere o essere…).

Spesso l’adolescente evade, anche con alcool e droga,  e si rifugia in un mondo fantastico perché non accetta quello reale, talvolta simula precocemente quello reale per sentirsi più grande. Realtà e finzione si confondono in un gioco vero o simulato ove conta riscuotere conferme, consensi e anche soldi per potere apparire sempre più. Perché se appare, esiste.

Nella fase del no assoluto, la ragazzina trasgredisce per affermare se stessa nel graduale processo di costruzione della propria identità. Questo è il periodo più critico per l’adolescente, in balìa di se stessa e delle pulsioni emotive che non sa ancora decifrare. Talvolta non ha “paletti fissi”e trasgredisce sempre più, perché non ha interiorizzato valori o non li condivide abbastanza (i valori si acquisiscono se trasmessi con l’esempio ed input univoci ).Tutto fa spettacolo sul palcoscenico del sè egocentrico , spesso frustrato da insuccessi e timori, mancanza di punti di riferimento, solitudine e noia per cui le ragioni dell’ “usa e getti” (corpo compreso, inteso come bene di facile consumo), del “tutto e subito” divengono il mezzo di una prima affermazione sociale.

 La giovane età è però sempre un’attenuante. Responsabili sono gli adulti, che come genitori  a volte abdicano al ruolo educativo, incapaci di mettersi in gioco o più semplicemente ineducati loro stessi.  Nessuno insegna  a fare il genitore. Genitori si diventa: gradualmente si cresce e si matura con i figli avvalendosi della propria educazione, esperienza, buonsenso e umiltà di mettersi in discussione, di ascoltare e cercare di capire disancorandosi da se stessi, di chiedersi se si sbaglia o meno tra varie perplessità e responsabilità, a volte anche stanchezza. Per quanti sforzi si facciano non è detto che si riesca al meglio, perchè ogni adolescente ha una personalità propria, infatti capita che gli stessi input educativi possano produrre reazioni diverse in due o più figli.Delegare agli altri è più comodo, come il dire sì a ogni richiesta è più facile, perchè il no deve essere motivato e mantenuto. Sostenere gli adolescenti nel processo di crescita significa impegnare tutte le proprie risorse interiori  con un atto d’amore che implica non solo affetto e disponibilità ma anche  fermezza, energia, costanza e coerenza (insomma un’ardua impresa!)

  Maledettamente responsabili sono  soprattutto quegli adulti che abusano in vario modo, anche se c’è un libero consenso della minore, perché è un consenso   comunque immaturo di chi è ancora sospeso tra la fragile emotività, che ancora all’infanzia nel bisogno di dare e ricevere tenerezza,  e l’istintiva, naturale, apparentemente precoce pulsione ad affermarsi con un’identità e un ruolo ancora in divenire.

Infanzia e adolescenza non sono solo fasi della vita ma dovrebbero essere percepiti come valori di cui tutti dovrebbero farsi carico perché “Per fare crescere un bambino ci vuole un intero villaggio” (proverbio africano).

 

Artist Chris Buzelli

Nell’adolescenza … “la vita inizia a pulsare forte con tante, contrastanti emozioni che morsicano il cuore, con un carico di energia che ha bisogno di venire fuori per non implodere dentro. A quell’età l’intuizione prevale ancora  sulla logica, che sgomitola fili ingarbugliati, e  non riesce a trovare risposte opportune ai quesiti sempre più incalzanti, alle perplessità e ai timori del domani. Al cambiamento apparente  del corpo e della voce si sovrappongono l’inquietudine, il dubbio, un senso di inadeguatezza e  una  latente insicurezza  di fronte a un presente in cui bisogna ripensarsi per ripensare nuove e più confortanti certezze. Troppa confusione e nostalgia di àncore e del futuro, mai messe a fuoco in maniera nitida, chissà come  riescono a rendere   possibile il miracolo della crescita perché la miopia dell’adolescenza in fondo è il motore della vita, la spinta alla ricerca, alla scoperta di sé e del mondo” (da “La nuotatrice in skipblog.it)

Chi interrompe e fuorvia l’armoniosa e graduale costruzione di identità  dei ragazzi compie uno dei reati più odiosi e abietti, la cui gravità non è comprensibile a tutti, soprattutto a coloro che non si fanno scrupoli pur di godere o arricchirsi. Ben venga l’iniziativa del Ministero della Pubblica Istruzione di promuovere l’educazione all’affettività nelle scuole di ogni ordine e grado, perché è da lì che bisogna ripartire per fronteggiare quest’emergenza educativa, sperando di riuscire a vederne i frutti nelle prossime generazioni.

 

Articoli correlati:  

Ciao, piccola ombra

Chapeau, Rottejomfruen!  

In nome del padre

Diversità, ovvero non fa la stessa viva sensazione il solletico a tutte le persone