Con questo post offro il mio limitato contributo al Carnevale della Matematica #57 su Matem@ticaMente di Annarita. Ringrazio inoltre le amiche matematiche Annarita e Giovanna che gestiscono con passione e costante impegno siti didatticamente interessanti e utili.
_°_°_°_°_°_
Mi scontrai con la misteriosa matematica sin dal primo giorno di scuola quando “uno strano segno circolare, sbarrato da una linea obliqua, premiò i miei primi sforzi scolastici. Dalla veemenza con cui era stato inciso e dagli strepiti della suora, intuii che aveva un brutto significato. Era uno Zero Spaccato. Io guardavo quel nuovo sgorbio affascinante: lo Zero spaccato, sbarrato, tagliato che, nel resoconto che diedi ai miei genitori , chiamai Zero scappato. Ma perché sbarravano gli zero? Per timore che vi anteponessero un 1 e si trasformassero in 10? Per sottolineare che era irrimediabilmente zero…un insieme vuoto, un annullamento senza speranza di rimedio? Per un bambino che non conosce il significato dei numeri che poteva significare? Infatti io non conoscevo lo zero scappato e mi chiedevo perché mai fosse scappato sul mio quaderno”.
Insomma a causa delle mie involontarie prodezze grafiche mi imbattei nel signor Numero per eccellenza, il più enigmatico, controverso, incomprensibile, a volte neutrale a volte annullante, l’unico che non poteva omaggiarsi di un + o di un — , quello che marcava il confine tra numeri positivi e negativi e non compariva fra i giorni del calendario, se non accompagnandosi ad altre cifre, ma in compenso regnava sulla linea del tempo segnando la nascita di Cristo.
Da piccola apprendevo facilmente i meccanismi operativi ma avevo difficoltà nel risolvere i problemi. Nei testi c’erano sempre una mamma che andava a fare la spesa e un fruttivendolo che vendeva mele e pere, fiori che, liberati dai mazzi, si moltiplicavano per essere poi distribuiti nei vasi, caramelle regalate dalla nonna e mangiate da voraci nipoti, figurine che entravano e uscivano dagli album. Negli anni delle scuole medie, forse maturando un po’, si sbloccò la logica.
Tra fiumi di vino travasati dalle e nelle damigiane, lunghe distanze percorse dal signor Caio su e giù per l’Italia e innumerevoli camion che trasportavano di tutto mi districavo nelle equivalenze, saltellavo tra numeratori e denominatori , aprivo e chiudevo parentesi operando tra polinomi, ruotavo la testa negli angoli e sul quadrante dell’orologio, scioglievo nella mente ettometri di rete per recintare campi di patate di varie forme di cui poi dovevo calcolarne la superficie, disegnavo maldestramente cubi appoggiati su parallelepipedi o sormontati da piramidi .Finalmente la matematica iniziò a piacermi grazie soprattutto ad un’insegnante, che sapeva spiegarla e motivarmi, e a mio fratello che di sera smetteva di scrivere velocemente indecifrabili numeri e formule per aiutarmi nei compiti.
Cominciai a livello intuitivo a matematizzare la realtà riconoscendo che la spesso considerata bestia nera del curricolo scolastico è ovunque e di uso comune: nella sequenzialità delle più semplici azioni quotidiane, nelle compravendite, costruzioni, ricette, melodie, attività di ricamo e cucito, giochi di carte e scacchi, profitti e deficit, tempo e spazio.
Ancor oggi nelle mie limitate conoscenze, la matematica mi affascina. Mi appare come il mondo di enunciati certi, possibili, probabili, impossibili, del magico prodotto positivo di due numeri negativi, degli enigmatici numeri primi, delle curve ascendenti e discendenti, della sezione aurea che da sempre si trasmette nella perfezione della natura a differenza delle impercettibili asimmetrie del corpo umano, dell’infinitamente grande e dell’infinitamente piccolo.
È il mondo di abilità concatenate che velocizzano il pensiero: contare per contare, manipolare oggetti e materiale strutturato per quantificare e costruire il concetto di numero dentro di sé, interiorizzare simboli, ordinare, seriare, confrontare quantità, numeri e grandezze, misurare, classificare e mettere in relazione, sommare, sottrarre, moltiplicare, dividere, elevare, estrarre, evidenziare, calcolare rapidamente a mente fino ad acquisire automatismi operativi, semplificare … semplificare tutto per arrivare al risultato esatto. Se il risultato finale è errato, occorre ricominciare o rivedere con pazienza tutti i passaggi per trovare l’inghippo, l’errore che è lì da qualche parte. La matematica si impara per errori e anche l’errore ha una sua logica. Anche la discalculìa ha una spiegazione e richiede strategie alternative, dispensative e compensative per aggirare le difficoltà e poter accedere a questo mondo.
Nella matematica però c’è un qualcosa che affascina e va al di là dei contenuti, del gioco, dell’esercizio, dell’ allenamento coi numeri e con le procedure perché plasma una forma mentis elastica, pronta e rigorosa allo stesso tempo. Costruisce il ragionamento sin da piccoli quando nella risoluzione di problemi si impara a rilevare dati, individuare la domanda per selezionare quelli utili, osservare, formulare ipotesi risolutive, procedere per verificarle, a volte per tentativi, trovare la soluzione, ricostruire infine a voce il significato delle operazioni per riflettere sul procedimento seguito e confrontarlo con altri possibili.
La matematica è misteriosa come la mente umana, è il bandolo di una matassa che si snoda per gradi ove, grazie ad un’iniziale intuizione, passo dopo passo si giunge poi alla conoscenza e, ad alti livelli, alla pura astrazione.
È frutto del pensiero divergente di menti curiose che in ogni epoca e civiltà, partendo da un’osservazione o da una scintilla iniziale hanno astratto regole, formule e procedimenti. Non a caso molti matematici sono stati anche liberi pensatori che spesso hanno precorso i tempi e, con rinunce, hanno scontato il loro amore del sapere e la loro genialità applicata anche ad altri campi e arti. Penso a quelle donne che coltivarono di nascosto questa loro passione in epoche in cui lo studio era una prerogativa maschile, come la bella Ipazia di Alessandria, alla quale di recente hanno reso merito col film “Agorà”, o Marie Sophie Germain che, pur di studiare, nascose il suo talento dietro un’identità maschile.
La matematica non si improvvisa. Si conquista gradualmente solo se si comprende. Bisogna farla propria per padroneggiarla procedendo secondo nessi logici. Tutto ciò la rende accessibile e consente di amarla. La sua mancata comprensione mette di fronte ad ostacoli che sembrano insormontabili e respingono, causano insofferenza o paura di cimentarsi e mettersi alla prova. Per apprenderla è necessario essere guidati e sostenuti, come in ogni processo di crescita lento e completo. In effetti sviluppa competenze basilari, aiuta a valutare, collegare cause ed effetti, considerare variabili per calcolare incognite, ipotizzare e dedurre, individuare e rivedere errori per trovare soluzioni, immaginare ed astrarre.
Vi par poco?
Bell’omaggio alla Matematica!
@Gianna:benvenuta nel blog! Sì e mi fa amare il mio lavoro :
Bellissimo!
Partecipa al Carnevale, vero?
@annarita: Se è adatto, te lo invio .
E’ adattissimo, Maria! Invia pure:). Grazie!
@annarita: ok provvedo al più presto. Grazie!
Questa è la vera passione! A parte la scorrevolezza del racconto su un tema così ostico, traspare un grande amore tra le righe. Ma tu che lavoro fai?
@Ambra: insegno matematica ecc… nella scuola primaria. Grazie per il commento e benvenuta!
Ciao,
Siamo vicini di carnevale, grazie al mirabolande ed enciclopedico lavoro di Annarita, così ho pensato di scriverti un saluto. Volevo farti i complimenti per questo grazioso post, scorrevole ed entusiasmante. Un bell’omaggio alla matematica e alla gioia di scoprire superando i propri limiti, solo in apparenza insormontabili.
Ancora complimenti
Spartaco
@Spartaco Mencaroni: ciao e benvenuto nel blog, vicino del Carnevale della Matematica !
Complimenti anche a te, ho davvero molto apprezzato il tuo post su Ada Byron Lovelace , altra straordinaria figura femminile che precorse i tempi. Meritava davvero di essere ricordata l’incantatrice dei numeri, prima programmatrice della storia,e ci sei riuscito molto bene
Naturalmente il “mirabolande” è una invenzione della tastiera virtuale…
@Spartaco Mencaroni: sempre ben accette sia la scrittura che la tastiera creativa 😀
Pingback: Sulla matofobia e altro | SkipBlog