Don Liunàrd era un personaggio particolare, noto da generazioni in tutta la penisola.Un ex navigante che pare avesse perso il senno in seguito alla prematura morte della moglie. Aveva una figlia, cresciuta ed educata in un istituto di suore, che lui vedeva periodicamente e che, quando si sposò, provò invano ad accudire il padre.
Era di alta statura e aveva una corporatura possente, con ampie spalle e muscolosi bicipiti, tipici di chi ha svolto lavori pesanti . Da sempre me lo ricordo calvo. Si rasava la testa e la barba sotto la fredda acqua corrente di una fontana pubblica.Si svegliava all’alba e girovagava per le strade, da quelle costiere a quelle più interne, a tutte le ore del giorno, anche sotto la fredda pioggia invernale o nella canicola di agosto.E non s’ammalava mai.
Non sapevo dargli un’età. So solo che molti anni fa si spostava in bicicletta, seguito da cani randagi , suoi compagni di vita. Più tardi invece iniziò a camminare a piedi, trascinando la bicicletta per il manubrio , cercando di non perdere tutte le pezze appese sulla canna e il copricapo del giorno. Talvolta le sue pezze, cioè gli abiti smessi che gli venivano regalati, testimoniavano il suo passaggio perchè ,ordinatamente allineate, stavano ben stese ad asciugare sulle ringhiere dei giardini pubblici. Infatti, pur vivendo per strada, era molto pulito. Ogni giorno si lavava nei bagni pubblici, si radeva e faceva il bucato. Ma era uno spirito libero: non voleva vivere in una casa, nemmeno in quella che aveva donato a sua figlia. Preferiva continuare a navigare tra la gente e le strade del paese e dormire negli uliveti e aranceti dietro il cimitero.
Aveva l’abilità di stupire con fogge sempre diverse, talvolta quasi da scena. D’estate indossava un pesante cappotto e d’inverno girava a torso nudo, incurante della temperatura delle stagioni, di tutto e di tutti.Spesso indossava un elmetto tedesco, una camicia bianca e sventolava una sorta di bandiera in segno di resa. A volte invece indossava una parrucca dai lunghi capelli biondi mettendo in mostra i pettorali. Non era per nulla femmineo, né volgare, anzi!Emanava l’innata fierezza di un guerriero in lotta contro i suoi fantasmi. Come quando nel bel mezzo di un comizio elettorale comparve con una casacca viola e un elmo da vichingo dalle lunghe corna che, chissà dove, aveva trovato.
Aveva sempre l’aria compita, anche quando la gente lo salutava scherzosamente chiamandolo per nome e sorrideva divertita del suo abbigliamento. Pareva quasi compiaciuto di attirare l’attenzione e far ridere di sé , o meglio, far sorridere la gente regalando un po’ della sua stravaganza… ma non lo dimostrava eccessivamente. Non parlava mai e di rado rispondeva ai saluti con un cenno del capo o della mano. Solo i suoi sguardi erano eloquenti.Non chiedeva nulla. A turno i pasticcieri, i baristi , i fruttivendoli e la gente del posto gli offrivano da bere, la colazione, la frutta, un pasto caldo. Lui accettava e ringraziava, ma non entrava nelle case per non disturbare. Andava su una panchina o in un giardino per consumare e dividere il pasto coi suoi cani, poi ripassava per restituire le stoviglie vuote.Non ha mai fatto male a nessuno. Anzi si raccontava che avesse messo in fuga dei ladri che aveva sorpreso di notte mentre cercavano di intrufolarsi in una casa.
Solo allo spuntar del sole e a notte fonda si sentiva riecheggiare la sua voce per le vie deserte. A volte cantava a squarciagola . All’alba, passando a piedi per la via principale e agitando un barattolo di latta dove bruciava incenso, urlava: “Scetatev, ch’a sorg!” (Svegliatevi, che sorge!) e con gli occhi fissi a est continuava “Tu sì, ch’a si n’omm e’ parola”(Tu sì che sei un uomo di parola). Suscitava chiacchiere ed ilarità quando sotto le finestre , tra il serio e il faceto , gridava “Scetat’, cornuto!” oppure“ ‘Sta signora, nun è ‘na signora” (Svegliati cornuto!…Questa signora non è una signora).
Il paese è piccolo e pieno di devozione: tutti sanno tutto di tutti . Don Liunàrd più degli altri perchè sotto la sua aria distratta, assente o assorta, celava un acuto spirito di osservazione. Chissà a cosa pensava, quando non recitava sul palcoscenico del proprio Io. Secondo me, capiva…e anche bene.
In una fredda mattina di febbraio, imbacuccata in un cappotto nero, lo incontrai su un ponte mentre andavo a prendere il treno . Eravamo solo noi due. Nessuna automobile o camion dei rifiuti in circolazione. Lui avanzava a piedi, seguito dai suoi cani, oscillando l’ incensiere e parlando in dialetto con gli occhi rivolti verso il sole nascente. Non so se avessi più paura o soggezione di quel vate fuori dal tempo avvolto da una camicia bianca. Sta di fatto che non attraversai. Proseguii sul suo stesso marciapiede cercando di mantenere una regolare andatura. Man mano che mi avvicinavo, declamava a voce sempre più forte col suo interlocutore immaginario, l’uomo di parola. Dentro avevo un po’ d’ansia , ma mi imposi di vincerla. Circa a cinque passi da me, si fermò e ammutolì. Parve destarsi dal suo soliloquio. Avanzò , mentre i suoi cani trotterellavano festosi. Pure io, giovane e testarda, continuai a camminare, temendo qualche improvvisa invettiva.
Una fortuita coincidenza: due figure , una bianca e una nera in direzioni opposte sulla stessa scacchiera della vita. Forse entrambi in cerca di conferme, di promesse mantenute dalla sorte. Un ponte collegava la sua lucida follia alla mia lucida curiosità.
Quando ci incrociammo, mi disse con un tono di voce inaspettatamente pacato, quasi rassicurante : “Va’ sempr’ annanz co’ sole” (vai sempre avanti col sole). E mi benedisse con un’abbondante folata di incenso.
Anni fa ho saputo che Don Liunàrd se ne era andato solo e in silenzio dall’uomo di parola. I suoi cani l’hanno cercato per giorni tra gli uliveti e gli aranceti, finchè qualcuno li ha accolti.E mi par di rivederlo ogni volta che passo nei pressi della fontana, dei giardini pubblici e sul ponte. La sua tacita presenza , quasi scenografica, le sue grida, i suoi rituali appartengono ormai ad una sorta di leggenda, a quegli aneddoti che la gente di paese continua a rievocare con un po’ di nostalgia. Come quando su uno specchio, appannato dall’alito, si dissolve lentamente la traccia.
Ancor oggi in Liunàrd ognuno vede ciò che vuol vedere con una sorta di affettuosa riverenza per la sua diversità.
Don Liunàrd, nun te dicette sultanto:
-“Va’ sempe annanz’ cu ‘o sole”.
‘O sango te ‘ngannaie, pe’ chella paura
ca tenive ‘n cuorpo, e accussì nun
sentiste ca isso continuaie ‘a parlà,
dicenno: – Piccerè, ‘o core t’accumpagne –
Nun songo parole è ‘nu pazzo ‘nnammurato.
Te voglio bene assaje, ma sule comme pate.
Tirava’o viento e chiuveve ma pe’ furtune
tu cammennave spalle a me, e lacreme nun
ne vediste. E priaie ‘o mare ‘e se nfurià
pe’ nun me fa vedè ‘a te ca io chiagneve
comm’a ‘nu criaturo ca mò ‘uarda l’aquilone,
e doppo ‘ncoppa ‘e nave fuje dint’a ll’onne.
Saccio ca nun ce cride: chillu juorno, ‘ncopp’o
pontile, mi fuste cchiù figlia ‘e figliame carnale.
Marì comme si brava quanno te miett’ ‘a raccuntà. Se sente ca parla ‘o mare.
– Piccerè bonanotte – , dice muvenn’ ‘a capa don Liunàrd. E scioscia ‘o viento.
@Transit: sì, ascolto il mare e lo racconto.Ciao, poeta, grazie!
Incantevole come una favola vera. Grazie
@Spartaco Mencaroni: sì una storia vera, quasi una leggenda.
Mi è sembrato, leggendo, di averlo conosciuto. Grazie, Maria, di questa meraviglia.
@annarita: grazie a te, cara Annarita, da parte mia e anche di Don Liunard
Commovente. Grazie.
@alberto: grazie a te , Alberto. A volte persone sconosciute restano impresse nella mente. Non ho mai dimenticato le parole di Don Liunàrd.
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