Tutti al mare (prima parte)

Come è bello andare al mare!  Cercare di sdraiarsi al sole recuperando qualche centimetro di spiaggia in modo da non sentire l’odore degli abbronzanti e del sudore dei vicini ma, come sempre, non appena ho finito tutte le operazioni d’assetto da spiaggia,cioè la  sistemazione del telo da spiaggia e del libro o del quotidiano che leggo solo se la giornata non è ventosa, spalmatura dell’ olio ultraprotettivo che tanto non mi risparmia la scottatura di routine, attivazione del cellulare qualora decida di essere reperibile, arriva qualcuno che si piazza ai miei piedi. È il solito seguace dell’ aggregazionismo da luogo pubblico o aperto al pubblico . Questa è una sindrome che si manifesta in tutti i luoghi, aperti o chiusi, in cui si debba prendere posto: nei treni, nei cinema, su un prato, su una spiaggia. Non colpisce mai i primi arrivati, quelli veramente liberi che decidono di sedersi dove meglio credono, ma perlopiù i secondi arrivati e poi tutti gli altri, cioè quelli che, dopo vari tentennamenti, tendono sempre a sedersi nei pressi di chi li ha preceduti. Poiché mi pare brutto stare stesa al sole e dare i piedi in faccia a qualcuno, faccio una rotazione così se tutti sono allineati con la testa a nord e i piedi a sud, io ho una posizione divergente, da nord-ovest a sud –est.

 Poi cerco di concentrarmi sulla lettura. Di recente, grazie all’avanzare precoce di non so che per cui leggo automaticamente senza capire, ho scoperto che riesco a seguire di più la trama di un bel romanzo avvincente che a leggere un settimanale femminile che dovrei cercare di decodificare di continuo per i numerosi inglesismi  ma mi compiaccio che il livello medio culturale delle lettrici italiane sia in ascesa. Infatti ho l’impressione che le donne italiane stiano diventando “globalmente poliglotte”-ma forse sarebbe più corretto dire polliglotte ( linguaggio dei gallinacei e tipicamente femminile) .

Ad un certo punto desisto dalla lettura perché qualche mater matronissima inizia a sfoggiare con varie tonalità di voce il solito repertorio di raccomandazioni e  “ indicazioni educative da spiaggia pronte all’uso”, inefficaci dai tempi del nautilus ( provare per credere :) ).Quindi mi sforzo di rilassarmi in una sorta di training autogeno, durante il quale invece di ripetere mentalmente  “pensa al tuo corpo, estraniati da esso…” ripeto “ pensa ai fatti tuoi, che sono già abbastanza…”.

Poiché la curiosità è femmina, riesco sempre a captare qualche battibecco tra moglie e marito vacanzieri e mi auto discolpo dicendomi che può essere sempre utile la comprensione dei vari dialetti regionali . Gli argomenti più discussi riguardano le spese, il menu di mezzogiorno, il programma delle  vacanze e il carattere del coniuge.

 

Quando ormai la mia pelle fuma, inizio a osservare il mare per vedere se c’è almeno un metro quadrato libero per una piccola immersione. Di solito aspetto l’esodo delle 12.30. L’orologio biologico non perdona…mai! Allora assisto a  un repentino fuggi – fuggi di padri che smontano l’accampamento da bagnanti super attrezzati (ombrelloni, sedie, lettini, canotti , salvagenti) e di madri che raccolgono secchielli e palette, teli da spiaggia, ciabatte, maschere per poi svestire e rivestire bambini che piangono o scappano. Dopo queste frenetiche attività che durano almeno venti minuti, i vari nuclei familiari, finalmente ricomposti, sciamano sul lungomare per andare a rifocillarsi.

La spiaggia è più libera e posso osservare con calma la discesa dei bagnanti del secondo turno, cioè degli amanti della tintarella. Arrivano in gruppo o da soli: si spalmano per almeno mezz’ora con creme che emanano effluvi fino a  tre chilometri  di distanza e sanno resistere fermi al sole per ore, immobili come lucertole .Quando qualcuno inizia ad accendere la radio o a fumare, da buona discendente di Moby Dick, decido di andarmene a nuotare. È il momento più opportuno: mare – si spera – pulito, e sgombro da pedalò, canotti e da quelle signore che piuttosto si ustionano il cuoio capelluto ma non si bagnano mai i capelli e guai, se per caso, un po’ d’acqua osi sfiorare la loro messa in piega. Di solito quando risalgo a riva, provo a spostarmi in modo da non avere segnali di fumo nella mia direzione, decisa a prendere un po’ di sole finchè qualcuno nei paraggi comincia a parlare a voce alta dei fatti propri, di un lui o una lei di turno. Secondo me stare sdraiati sulla spiaggia induce le persone a rilassarsi e a comunicare, a fare una sorta di autoanalisi: è come se stessero su un lettino di uno psicanalista e via…vita morte e miracoli, storie di conquiste, tradimenti, sofferenze, riappacificazioni narrate a ruota libera, il tutto intervallato da una miriade di riferimenti a telefonate e conversazioni private o non. Altro che Beautiful !

Allora non mi resta altro da fare che una bella passeggiata fino alla doccia, di modo che al ritorno sposto nuovamente il telo.

 

Nonostante tutto continuo ad andare al mare, a lucertolare come tutti e mi consolo pensando che “la pazienza è la virtù dei forti” invece di ammettere che ho un’ incipiente forma di intolleranza estiva per quei rituali comuni a tanti, me compresa, tipici della fauna di qualsiasi spiaggia .

 

7 pensieri su “Tutti al mare (prima parte)

  1. Marì, alle dodici e trenta vai al mare per ustionarti! Io non sono ancora andata in spiaggia nemmeno una volta. Ciao a presto.
    @Alberto.quando vieni al paesello facci sapere che veniamo con Maria a mangiare una pizza da Lula.

  2. Pingback: Tutti al mare (seconda parte) | SkipBlog

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