L’acquazzone
Di nubi grigie a un tratto il ciel fu sporco;
e il tuono brontolò con voce d’orco.
Si cacciò avanti, lungo lo stradone,
carta foglie ed uccelli. il polverone.
Si udirono richiami disperati,
tonfi d’imposte e d’usci sbatacchiati.
Si videro donne lottare in un prato
con gli angeli impauriti del bucato.
Poi seminò la pioggia a piene mani
tetti e vie di danzanti tulipani;
tagliò il paesaggio, illividì ogni cosa
in un polverio d’acqua luminosa.
Quando si stava inebetiti e fissi
come sull’orlo d’infuocati abissi
dove il mondo pareva andar sommerso:
il cielo sulle case era già terso,
e nei vetri appannati del tinello
risorrise il paese ad acquarello:
sulla campagna dolcemente crespa
ronzò la chiesa d’oro come vespa.
Non rimaneva dell’orrendo schianto
che il gocciare di musicale pianto
della gronda, già buono già tranquillo:
lo raccolse morente il bruno grillo.
Coi tamburini gracili di pelle
le rane lo portarono alle stelle.
Corrado Govoni
Che bella!
@Baol:
Già tempo di acquazzoni, cara Marì, ma con le rime crepuscolari di Govoni accettare il cambio di stagione è più lieve
@Filo: è un’allegra danza che rende simpatico anche l’acquazzone di fine estate. Ciao!
Azzeccatissimo il momento della pubblicazione. Si sono appena visti i primi acquazzoni.
Govoni è un poeta immeritatamente poco conosciuto, mentre la sua poesia è melodiosa e così ricca di immagini.
@Ambra: inizia la stagione dell’ombrellino nella borsa, ma quando pioverà penserò agli angeli impauriti del bucato. 😀